lunedì 28 agosto 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (XVIII)

(continua da qui)
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Dal tempo in cui gli antichi ebrei giunsero a sperimentare grandi sofferenze si ritrovarono ad affrontare un inquietante interrogativo religioso: perché il popolo eletto da Dio fu sottoposto a tali terribili prove? Il Signore aveva promesso loro una protezione eterna; li avrebbe moltiplicati come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare” e dato loro prosperità e una posizione di dominio nel mondo. Tutte le altre nazioni si sarebbero inchinate davanti a Israele e l'avrebbero servito docilmente. Tuttavia niente di questo era accaduto.

Era possibile lasciare da parte la frase sulla
sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare come un modo per misurare la crescita della popolazione israelita. Ma le disgrazie sofferte dal “popolo eletto” sia nella propria società che come risultato di azioni da parte di forze straniere richiedeva una spiegazione. All'interno della nazione israelita, a parte una manciata di ricchi proprietari terrieri, prestatori di denaro e sacerdoti, la massa del popolo era assillata da perpetua indigenza; i contadini avevano poca o nessuna terra, gli artigiani conducevano una povera esistenza, e gli schiavi non possedevano alcuna proprietà di sorta. Come in ogni società di classe, i ricchi depredevano i poveri e non erano soggetti ad alcuna restrizione.

Potenti vicini avevano inflitto forti colpi uno dopo l'altro alla nazione israelita. Alla fine dell'ottavo secolo A.E.C. uno degli Stati ebraici (il regno settentrionale d'Israele) fu conquistato dagli assiri. La sua intera popolazione fu condotta in esilio mentre non-ebrei vennero a stabilirsi in questa parte della “Terra Promessa”. Circa un centinaio di anni dopo un destino simile si verificò sull'altro stato ebraico (il regno meridionale di Giuda). Esso fu conquistato da Babilonia all'apice della sua potenza. Il santuario più sacro degli ebrei, il Tempio di Salomone, fu completamente distrutto e le classi superiori della società ebraica furono esiliate a Babilonia. Quando mezzo secolo dopo Babilonia fu conquistata dal regno persiano e gli esuli potevano ritornare alla loro patria, Giuda rimase sottomesso. Per molti secoli dopo questo il popolo ebraico fu dominato da vari conquistatori: i persiani, i macedoni, i Tolomei di Egitto, i Seleucidi di Siria e infine, al tempo in cui si presume che fosse vissuto e morto Gesù Cristo, dallo schiavista Impero romano. È vero, durante tutto questo periodo ci fu quasi un secolo, dalla metà del secondo secolo A.E.C. fino al 63 E.C., durante il quale lo stato ebraico era indipendente e governato dagli Asmonei. Tuttavia, avere un loro “proprio” stato non migliorò le sorti della massa del popolo che rimase indigente come prima. E la sua condizione peggiorò quando Giuda fu ulteriormente indebolito sotto il dominio romano.

Tutti i tentativi di resistere all'oppressione interna ed esterna fallirono. Ripetute rivolte furono crudelmente soppresse e i loro partecipanti sottomessi ad una repressione spietata.

Come doveva essere spiegato il fallimento di Yahweh nel realizzare le sue promesse? Sicuramente non poteva essere accusato di infedeltà, tanto meno di perfidia. L'unica spiegazione era che il popolo stesso fosse da incolpare. Il suo fallimento nell'esecuzione dei suoi doveri di fronte a Dio aveva provocato la giusta collera di Dio. Il popolo d'Israele cessò di essere santo; avevano violato continuamente le condizioni del patto con Yahweh adorando altri dèi, non osservando i comandamenti dati loro tramite Mosè, macchiandosi di ogni tipo di eccessi e atti osceni. Tutte le disgrazie che caddero sulle loro teste anno dopo anno e secolo dopo secolo erano punizione di Dio. I babilonesi, i persiani e i romani furono semplici strumenti nelle mani di Dio.

Quale era, allora, la via d'uscita? La nazione di Israele era condannata all'estinzione? Un tale risultato era inaccettabile da un punto di vista religioso, e così un'altra soluzione venne trovata. La collera di Dio non era eterna. Essa doveva cedere il posto a misericordia e perdono. Prima o poi l'atto del perdono sarebbe stato eseguito, e questo sarebbe stato realizzato mediante un Messia.

La parola “Messia” (dalla parola ebraica “Mashiah”) significa “l'unto”. Tra gli antichi ebrei il rito dell'unzione del capo con olio fu eseguito per chi saliva sul trono.  Così, il Messia doveva essere un re degli ebrei che, come capo di uno stato ebraico indipendente, avrebbe condotto il popolo alla prosperità e al benessere. Tutti gli altri stati, compresi quelli che fino a quel momento avevano dominato sugli ebrei, avrebbero sofferto un'umiliazione e si sarebbero sottomessi alla volontà del popolo eletto. Le attese di un tale evento felice sono vividamente descritte in diversi testi dell'Antico Testamento.

Il libro di Isaia contiene la seguente famosa profezia:
Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti.”

“Verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore.”

Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra.”
(Isaia 2:2-4). E ci sarebbe stata una pace universale e una prosperità solamente quando l'unto (“Christos” nella traduzione greca) avrebbe soggiogato il mondo intero al popolo eletto.

All'inizio l'unto fu ritenuto una persona reale, uno statista e un leader militare che avrebbe usato mezzi terreni per raggiungere i suoi obiettivi, e non un'entità soprannaturale. Più precisamente, egli avrebbe avuto l'aiuto di forze soprannaturali. Infatti, il tempo in cui sarebbe apparso nel mondo e avrebbe eseguito i suoi atti, e il fatto che egli fosse stato scelto da Dio per compiere l'alta missione fu tutto deciso dalle potenze celesti. Ma ciò era tutto per quanto riguarda la natura soprannaturale della missione dell'unto. Anche in un documento relativamente tardo dell'Antico Testamento, il libro di Daniele, che apparve nel 165 A.E.C, la prospettiva di un Messia che sale al trono fu legata ad  una vera vittoria militare sui dominatori siriani della Giudea.

Nel tempo, tuttavia, la figura del Messia venne ad acquisire sempre più elementi soprannaturali nella fantasia religiosa degli ebrei. La sua immagine rassomigliò in modo crescente a quella di un'entità celeste che Dio aveva inviato sulla terra e che in termini di rango era simile ad un angelo oppure si avvicinava ad essere Dio stesso. Nel libro di Isaia, la nascita del Messia è descritta come un qualche tipo di mistero:
Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace” (Isaia 9:5). Qui il Messia è quasi identificato con Dio stesso. Più avanti, tuttavia, si dice che questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” (Isaia 9:7). È possibile che il passo che eleva il Messia al grado più alto sia un'inserzione successiva nel libro di Isaia, che risale alla fine dell'ottavo secolo A.E.C. Nel libro apocrifo di Enoch, che risale all'inizio della nostra epoca, il Messia appare essere esistito “da tempo immemorabile”.

Nel frattempo, l'immagine del Messia subì ancora un altro cambiamento importante. Accanto all'immagine di un capo militare
trionfatore che avrebbe unito il suo popolo e l'avrebbe portato a una vittoria decisiva su tutti i suoi nemici, apparve l'immagine di un martire che avrebbe espiato con le sue sofferenze i peccati del popolo di Dio e l'avrebbe portato alla prosperità.

L'immagine del Messia sofferente è descritta nel libro di Isaia dove si fa menzione di colui che
non ha apparenza né bellezza” (Isaia 53:2), che fu uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Isaia 53:3), che fu disprezzato dagli uomini, non stimato da loro. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori ... noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato” (Isaia 53:4). Fin qui il sofferente aveva sopportato i dolori a cui Dio l'aveva sottoposto. Più avanti, comunque, uomini furono detti responsabili delle sue sofferenze: Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca: era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Isaia 53:7). Infine, egli fu percosso a morte” e gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo” (Isaia 53:8-9). Tutto ciò accadde in accordo con la volontà di Dio: Ma al Signore è piaciuto prostrare lui con dolori” (Isaia 53:10). Per le sue sofferenze il misterioso “lui” riceverà una ricca ricompensa: “... vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. .... Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, ...” (Isaia 53:10, 12).

Come dev'essere spiegato il cambiamento dell'immagine del Messia? Qui sono all'opera due serie di leggi: socio-storica e ideologica, specialmente la seconda.

Poiché i pretendenti al ruolo di Messia avevano tutti sofferto una disfatta oppure erano stati uccisi, come i secoli passarono e il sogno di restaurazione del regno d'Israele, diventò chiaramente irraggiungibile, c'è solo da aspettarsi che la dottrina messianica avrebbe subito cambiamenti. Fattori terreni, reali devono aver lasciato il posto nelle menti dei credenti a forze soprannaturali capaci di compiere ciò che non si poteva raggiungere neppure con l'aiuto di Dio. Il cambiamento nell'immagine del Messia fu particolarmente evidente durante periodi di crisi sociali, militari e politiche, quando le masse furono sconfitte nella lotta di classe e l'intera nazione fu umiliata mentre le sue rivolte e insurrezioni furono represse. Alcuni studiosi credono che l'immagine del Messia come essere umano si fosse conservata più a lungo tra gli ebrei di Palestina e prevalentemente tra le classi privilegiate, mentre l'immagine del Messia come redentore celeste si diffuse più rapidamente e fu più facilmente accettata nella diaspora, specialmente tra le classi o sezioni meno prosperose della popolazione ebraica. 

Le stesse circostanze storiche spiegano anche la nascita dell'immagine di un Messia sofferente. Il Salvatore trionfante aveva mancato di apparire e la correlazione delle forze in quel momento era tale da rendere improbabile la sua apparizione. L'idea di un Salvatore trionfale non aveva retto chiaramente alla prova del tempo, mentre l'idea di un Messia sofferente si dimostrò più attraente. 

Le speranze messianiche vissero non solo nella tradizione orale, nella mente delle persone e nei sermoni dei sacerdoti. Esse trovarono un'espressione letteraria in un certo numero di documenti e scritti che sono arrivati fino a noi.

I libri biblici dei profeti contengono il seguente tema ricorrente: aspettate, figli d'Israele, un messaggero da Yahweh verrà e tutte le promesse di Dio al popolo eletto saranno soddisfatte. Gli scritti apocalittici diventarono diffusi; nessuno fu poi incluso nel canone cristiano o ebraico. Essi consistono principalmente di profezie sulla venuta imminente del Messia.

Un esempio è l'apocrifo Libro dei Giubilei. La data precisa della sua composizione non è nota; forse fu scritto alla metà del primo secolo. Il libro contiene una descrizione dettagliata del regno dei cieli che si stabilisce sulla terra dopo la venuta del Messia. Satana e il suo esercito scompariranno, e come risultato il popolo non commetterà più peccati e perciò non soffrirà più. I giusti (cioè gli uomini di Israele) godranno per sempre di tutti i beni immaginabili, e la gioia che deriverà da questo crescerà costantemente poichè assisteranno alla distruzione dei nemici di Dio. Un libro simile è l'apocrifo Assunzione di Mosè, che apparve probabilmente durante il primo decennio della nostra era.

Un monumento particolarmente interessante della letteratura apocalittica ebraica è l'apocrifo Libro di Enoc. La sua paternità è attribuita al patriarca Enoc dell'Antico Testamento, il padre di Matusalemme. Enoc visse 365 anni e fu portato in cielo mentre era vivo. Egli venne a sapere gli avvenimenti più importanti del cielo e della terra e anche le intenzioni dell'Altissimo. Il libro fu probabilmente scritto nella prima metà del primo secolo, con alcuni capitoli che forse furono aggiunti in seguito. Il libro di Enoc ha molto in comune coi libri del Nuovo Testamento in contenuto e forma.

Non meno interessante nel campo della letteratura messianica sono i libri sibillini.

Tra i greci e i romani negli ultimi due secoli prima della nostra era c'era una fede diffusa in una mitica profetessa chiamata Sibilla le cui predizioni furono ricordate in molti libri. Quattordici libri di oracoli sibillini sono giunti fino a noi. Furono compilati in un periodo di circa quattrocento anni — due secoli prima e due secoli dopo la nostra era. Alcuni di loro sono di origine greca (pagana), mentre altri sono di origine ebraica e cristiana. Di particolare interesse per il nostro soggetto sono le apocalissi giudeo-sibilline. 

Le parti ebraiche dei libri sibillini appaiono ad Alessandria nel 140 A.E.C. circa. In termini di stile e messaggio generale sono una combinazione di temi greci ed ebraici. L'idea messianica vi è espressa chiaramente e vividamente. L'autore castiga la Grecia e i greci per la loro follia e le loro leggi, e contrasta a quei prigionieri nei peccati i pii che onorano il tempio del Dio onnipotente con libagioni, offerte di carne sacrificale, le ecatombi  sacre e l'uccisione di vitelli grassi in sacrificio. È a loro che Dio invierà un capo la cui apparizione segnerà un punto di svolta decisivo nella Storia mondiale.

Profezie circa l'arrivo del Messia trovate nei libri biblici, apocrifi e sibillini sono estremamente vaghe. Ci sono numerose varianti intrecciate atorno a numerosi temi riguardanti la personalità del Messia, il genere di atti che egli avrebbe eseguito e il tempo del suo arrivo. Qui indicherò solo alcuni dei punti più importanti che sono comuni a tutte queste varianti.

Come al solito, l'arrivo del Messia è legato ad una svolta radicale nei destini dell'umanità. Infatti, esso avrebbe segnato la “fine del mondo”, cioè del vecchio mondo, il vecchio ordine di cose. Da qui l'idea dell'inevitabilità di terribili cataclismi cosmici, il cui culmine sarebbe stato il giudizio di Dio su tutti i viventi e sui morti. I malvagi sarebbero stati puniti senza misericordia, mentre i giusti avrebbero vissuto in eterna beatitudine. Qui si può vedere la natura democratica dell'ideologia messianica. I malvagi erano innanzitutto i ricchi e potenti che oppressero e umiliarono la gente comune. Gli oppressi, invece, sognavano non solo un cataclisma cosmico ma anche una rivoluzione sociale, perché la venuta del Messia avrebbe portato cambiamenti nel sistema sociale. Non è chiaro quali sarebbero stati questi cambiamenti, ma si può supporre che, a causa dei cambiamenti, i poveri avrebbero punito i ricchi per i torti che questi ultimi avevano recato loro nel corso degli anni.

Quando sarebbe accaduto questo? Quando, finalmente, sarebbe arrivato il Salvatore a compiere ciò che il popolo non poteva ottenere per suo conto? Le risposte variavano, andando dal futuro prossimo ad un tempo relativamente lontano. Secondo il Libro di Daniele, che si occupa di calcoli piuttosto intricati, l'evento sperato avrebbe avuto luogo entro quarantadue mesi. Dal momento che il libro fu scritto negli anni sessanta del secondo secolo A.E.C., per la metà di quel secolo le persone avrebbero dovuto riconoscere il fatto che la profezia non era stata realizzata oppure avrebbero reinterpreato la data con l'aiuto di argomentazioni casistiche e rimandato il Giorno del Giudizio a qualche tempo futuro. Il Libro di Enoc fornisce una data abbastanza precisa della fine del mondo — 10.000 anni dalla creazione del mondo. Nell'Assunzione di Mosè è detto che dal giorno della morte di Mosè fino alla venuta del Messia “duecento e cinquanta tempi” devono passare. Se un “tempo” allude a sette anni, come riteneva la tradizione, allora il grande evento doveva accadere in 1750 anni. Ma quel tempo era passato durante i primi secoli della nostra era. Sembrava più conveniente, anziché fornire date definitive, esprimere l'idea in alcune frasi misteriose come “alla fine dei tempi”, “al tempo previsto” e simili. E più critici erano gli eventi reali, più violenti erano gli sconvolgenti nei quali gli uomini dovevano vivere, più vicino sembrò il giorno in cui l'evento inevitabile, straordinario ma salutare, si sarebbe realizzato, nella speranza del quale ci si doveva ravvedersi dei propri peccati e prepararsi al giudizio finale di Dio.

Nei libri dei Profeti dell'Antico Testamento c'è un'altra indicazione su quando apparirà il Messia: questo evento importante sarebbe stato preceduto dal ritorno sulla terra del profeta Elia, che era stato trasportato al cielo mentre era vivo. “Ecco”, è detto nel libro di Malachia:
Io vi manderò Elia, il profeta, prima che venga il giorno grande e spaventevole dell'Eterno” (Malachia 4:5). Così, gli eventi legati al Giorno del Giudizio non erano previsti accadere prima della ricomparsa sulla terra del profeta Elia. Tuttavia, questo non impedì ai predicatori di affermare che il Messia sarebbe venuto proprio nell'imminente futuro o addirittura che fosse già venuto. Infatti non erano mancate persone che pretendevano di essere Elia il profeta. Alcune erano persone reali — fanatici, eccentrici o ciarlatani  — mentre altre non sono mai esistite. Ma affinchè tra il popolo si diffondessero le voci che il Messia sarebbe arrivato presto oppure che fosse già venuto, l'apparizione di Elia non era necessaria. Era sufficiente che si diffondesse di bocca in bocca la diceria impressionante che Elia, il precursore del Messia, fosse già sulla terra, a predicare e invitare il popolo a prepararsi all'incontro del Messia, in altre parole, a ravvedersi dei suoi peccati.

La situazione è stata ben descritta dallo storico francese Albert Revill. Egli scrive: “Le disgrazie, le umiliazioni e le oppressioni subite dagli ebrei durante l'ultimo secolo prima della nascita di Cristo e i primi anni dopo di essa avrebbero prestato naturalmente una speciale importanza alla fede nel Messia. Questa speranza suscitò una grande eccitazione, ma allo stesso tempo indusse anche una sensazione di calma, a seconda dello stato d'animo di coloro che la nutrirono”. [73]

Durante i primi sessanta anni circa del primo secolo della nostra era, la Giudea stava ribollendo di disordini. Le cose vennero ad una svolta nell'anno 66 quando scoppiò la prima guerra ebraica. In un'atmosfera di attesa passiva del Messia, le condizioni erano favorevoli all'apparizione e alla diffusione di leggende messianiche, più precisamente, leggende circa Gesù, se considerato una persona reale oppure una figura mitica. Ma anche le ardenti aspettative della venuta del Messia avevano favorito la diffusione dei “vangeli” circa Gesù tra la popolazione ebraica dell'Impero romano.

La terribile disfatta subita dagli ebrei in due guerre sucessive di liberazione nazionale, nel 66-73 E.C. e nel 132-135 E.C., non poteva che provocare ancora di più una profonda sensazione di dolore e di delusione ed intensificare le speranze di una salvezza soprannaturale. Il credo in un Messia celeste declinò tra gli ebrei, almeno per il momento presente, sia in Palestina che nella Diaspora, mentre le speranze che un Messia divino sarebbe apparso e avrebbe compiuto la sua grande missione diventarono più ferventi che mai.

Ma non fu solo l'attitudine che prevalse tra gli ebrei ad essere importante. Nel giro di poco tempo dopo che il cristianesimo si sviluppò tra gli ebrei, esso si diffuse rapidamente tra altri popoli del mondo greco-romano. L'ebraismo non si trasformò nel cristianesimo. Al contrario, esso resistette alla nuova religione, e sempre più fortemente col passare del tempo. Presto il numero relativamente piccolo di giudeo-cristiani e cristiani vissuti tra gli ebrei furono tutti quanti sommersi nella massa dei cristiani appena convertiti tra i pagani. Anche questi ultimi erano storicamente e psicologicamente preparati ad accettare le idee messianiche? La risposta è decisamente sì. Queste idee non furono meno prominenti nelle loro ideologie e religioni che nell'ebraismo.

La base di ogni religione è la speranza che l'uomo, che è debole, possa ricevere aiuto da forze oltremondane, da un salvatore divino o comunque da un salvatore soprannaturale. Ma il ruolo del salvatore non è apparente nella vita quotidiana: la vita è dura, ai poveri è negata  giustizia e la gente deve sopportare ogni genere di calamità naturali e sociali. Da qui l'idea che per ragioni note solo a potenze superiori, il salvatore divino non si è ancora rivelato e non è intervenuto nella vita sulla terra. Oppure forse non è ancora nato; oppure, secondo credenze religiose più ampiamente diffuse, non è disceso dalla sua elevata “altezza”, incarnato in forma umana, nella nostra terra così tanto sofferente. In questo caso non si deve pensare che l'evento
agognato da lungo tempo avrebbe presto avuto luogo. Oppure forse il salvatore è già qui, ma i buoni effetti della sua presenza non si sono ancora pienamente manifestati.

L'idea che gli uomini saranno salvati dopo l'inevitabile vittoria delle forze soprannaturali del bene sulle forze soprannaturali del male si può trovare nella religione degli antichi persiani. Qui un ruolo decisivo è recitato da
Saoshyant, “figlio di una vergine”. Al momento deciso dal dio del bene Ahura Mazda, Saoshyant — è possibile che egli fosse stato identificato con il dio Mitra — apparirà sulla terra, e ciò  sarà la fine del mondo antico nel quale le forze del male sono così potenti. In un'aspra battaglia Saoshyant sconfigge il dio del male Arimane e precipita nell'inferno lui e il suo esercito. Quando ciò accadrà, i morti risorgeranno e appariranno al cospetto del tribunale divino. I peccatori, assieme ad Arimane e all'esercito da lui condotto, saranno puniti nell'inferno per mille anni, dopo di che saranno perdonati, e anche lo stesso dio del male sarà riconciliato con il dio del bene Ahura Mazda. Infine il regno di bontà e prosperità, da sempe agognato da un'umanità sofferente, sarà stabilito.

Negli antichi credi religiosi la personalità del dio-salvatore era associata all'idea di regalità.

Nell'antico Egitto i faraoni furono considerati divinità viventi. In alcuni miti il faraone è anche detto di origine divina. Alla giovane regina appare il più grande degli dèi nella forma di suo marito. Risvegliata dal profumo che lo circonda, lei gli sorride. Egli le si avvicina, ora nella forma del dio che egli è. Egli poi la lascia con la promessa che lei recherà un figlio che sarà il re d'Egitto. Così nasce un re-dio. E se in questo caso non c'è un'immacolata concezione, il futuro re è nondimeno di ascendenza divina. E sua madre apprende in anticipo (l'“annunciazione”) dell'evento straordinario che la attende.

Anche Alessandro il Grande fu acclamato come un dio, e con il suo pieno consenso. E i diadochi, i suoi successori ai troni degli stati ellenistici che emersero dopo la sua morte, seguirono le sue orme.

Proprio in questo culto ellenistico del dio-re ci sono certe idee che in qualche modo lo avvicinano al cristianesimo perfino più che al culto del Messia.

Qui per la prima volta la salvezza fu concepita non solo come salvezza dell'anima individuale. Le persone cominciavano a sentirsi ansiose non solo sulle condizioni della loro esistenza terrena, ma anche sulla loro vita successiva. Sarebbero in grado, dopo la morte, di sfuggire alle sofferenze legate alla prossima reincarnazione delle loro anime oppure alle loro punizioni nell'inferno per aver condotto un'esistenza empia sulla terra? La speranza dei credenti per la salvezza si basava sull'idea che il loro re-salvatore li avrebbe governati nell'aldilà, proprio come faceva sulla terra e, sebbene probabilmente non erano sempre soddisfatti del suo regno, esso fu in ogni caso qualcosa di familiare e perciò non così spaventoso.

Poi c'è l'immagine del figlio di dio. Ogni re-salvatore fu detto nato da un dio “reale”, e la sua missione doveva mediare tra dio il padre e gli uomini. Contemporaneamente, prese forma anche l'idea di una donna considerata degna di essere la madre di dio. E col tempo la maniera in cui lei arrivò a concepire suo figlio fu spiritualizzata: l'atto sessuale fu trasformato in immacolata concezione.

Un'altra idea delle religioni ellenistiche poteva aver influenzato la formazione dell'immagine cristiana del Messia. E quella è l'idea di una divinità incarnata in forma umana. La divinità doveva attraversare l'intero percorso della vita umana sulla terra e solo dopo la morte poteva ricongiungersi ad altri membri del Pantheon. Si deve notare che l'onore di essere un recipiente dell'essenza divina fu conferito soltanto a membri di famiglie reali.

Il culto del dio-re divenne diffuso
anche nella Roma imperiale. A partire da Giulio Cesare, gli imperatori pretendevano di essere considerati divinità. In effetti, molto tempo prima della costituzione dell'Impero, si ritenne che i romani fossero governati da eroi e semidèi, se non dagli dèi stessi. Alcuni di loro realizzarono imprese simili a quelle attribuite più tardi a Cristo nei vangeli. Per esempio, Romolo, uno dei fondatori di Roma, improvvisamente scomparve in presenza di un senatore e subito ascese al cielo dove poteva essere visto mentre prendeva il suo posto  tra gli dèi. Ciononostante il culto del dio-re diventò ben consolidato solo nell'epoca imperiale. Non solo Cesare e Augusto, ma anche Caligola e Claudio, che furono per metà folli, e Tiberio e Nerone, che furono assetati di sangue, e altri come loro, vennero considerati dèi. Per il nostro soggetto, però, è l'idea stessa che è importante, e non le forme concrete che acquisì. E l'idea è che un uomo diventa dio e la sua missione è salvare persone, e perciò la sua stessa apparenza sulla terra è una “buona notizia” (un vangelo) per tutti.

Anche la terminologia che era stata elaborata fu più tardi canonizzata dal cristianesimo. Un'iscrizione (dell'anno 9 E.C.) che dichiara una festa pubblica il compleanno dell'Imperatore Augusto, recita: “Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza, che segna il limite e il termine del pentimento di essere nati ... Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita ... a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore.... E il giorno genetliaco del dio fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci a lui collegati ... tutte le comunità abbiano un solo e identico capodanno”. [74] Anche se ignorassimo la lode conferita ad Augusto da cortigiani e ufficiali adulatori, resta il fatto che qui il linguaggio della preghiera fu usato in relazione ad un essere umano. Un linguaggio simile sarà presto utilizzato dai cristiani in relazione a Gesù Cristo. Si potrebbe ricordare che nei vangeli Cristo è riferito come re degli ebrei; in altre parole, la concezione del dio-re è presente qui.

Quelli esempi tratti dalla storia del culto di un dio-re hanno tutti a che fare con persone reali che diventarono deificate tramite una fantasia religiosa.

Ancora più spesso il ruolo del dio-re e del Messia si assegnò non a persone viventi ma a personaggi mitologici. In Egitto il Salvatore era Serapide, noto anche come Osiride; la Vergine Madre era Iside, che nello stesso tempo era considerata la moglie di Dio. In Asia Minore il ruolo del Salvatore fu recitato da Attis, e quello della Vergine Madre da Cibele. Tra i babilonesi c'erano Tammuz e Marduk. Secondo i miti, entrambi morirono in primavera e resuscitarono di nuovo. Alla loro morte c'erano elaborati riti funebri accompagnati da lamenti ad alta voce di folle di pellegrini. Tra i fenici il ruolo del Salvatore fu recitato da Adone, e in Tiro da
Melqart. Miti e culti simili vennero scoperti in un certo numero di città-stato dell'Asia Minore.

Soprattutto diffuso era il culto del dio frigiano Attis. È importante ricordare che nel 54 E.C. l'imperatore Claudio inserì questo culto tra le religioni ufficiali dell'impero romano, come risulta nel calendario delle feste statali. Attis morì a seguito di intrighi dalla gelosa dea Cibele e resuscitò tre giorni dopo. Violenti riti funebri cominciarono il 22 marzo, seguiti tre giorni dopo da grandi festività per ricordare la resurrezione del dio. (per inciso, i riti associati a questo culto rassomigliano ai riti pasquali della chiesa cristiana.) Un ritratto di Attis si seppelliva nella sua bara e poi, nel momento in cui si credeva che la resurrezione del dio fosse avvenuta, il tempio diventava improvvisamente illuminato di luci e la bara si apriva da sola, indicando che il dio era risorto. Questo era seguito da una gioia tumultuosa. I miti di Attis e i culti a lui legati avevano molto in comune con le festività mitologiche e religiose associate a Dioniso in Grecia e ad Osiride in Egitto. Nella mente della gente quei personaggi mitologici assumevano aspetti di personaggi reali che erano vissuti una volta sulla terra.

Opponente: qui è ancora un altro punto debole nel tuo argomento. La deificazione di un essere umano vivente fu in effetti diffusa nel mondo greco-romano. Ma l'attribuzione di tratti umani ad un dio è una materia molto più complessa. Dato che è così, la trasformazione di Cristo il dio in Gesù l'uomo sarebbe probabilmente l'unico esempio del suo genere. È pertanto altamente improbabile.

Autore: “Dato che è così”, hai detto. Ma non è così.

La tendenza religiosa e filosofica associata ad Evemero, il filosofo greco del quarto-quinto secolo A.E.C., è ben nota. Ma la dottrina razionalista che venne ad essere chiamata Evemerismo (secondo la quale l'origine della religione risiede nella deificazione di persone reali) non fu fondata da lui, essa era esistita molto tempo prima di lui. Come indica lo storico francese Gaston Boissier, Evemero “semplicemente descrisse la dottrina in un trattato che era altamente leggibile e diventò davvero popolare”. [75] La sua idea principale è che tutti gli dèi dell'Olimpo e del Pantheon romano — Giove, Saturno, Cadmo, Venere e altri — furono una volta persone reali. Per esempio, Cadmo era il cuoco del re di Cidonia; Venere fu una donna sensuale che, per non apparire diversa da altre donne di Cipro, dove viveva, distolse l'intera popolazione femminile dell'isola dal percorso della virtù.

Ma forse l'evemerismo fu una tendenza isolata e poco conosciuta nel mondo greco-romano? Per nulla affatto. Come nota Boissier, il poeta romano Ennio tradusse il romanzo di Evemero e da allora in poi questa dottrina diventò ben nota fra i romani e fu apparentemente accettata completamente da loro. Questo lo si osserva dal fatto che essi cominciarono a gareggiare l'un con l'altro nell'attribuire  tratti umani ai loro dèi. Non c'è nessun'assenza di materiale fattuale su questo soggetto. Ecco come Boissier caratterizza la religione romana del periodo: “Qualsiasi cosa in essa assunse una forma incredibilmente precisa. Le fantasie più improbabili sembravano non differire dalle narrazioni più autentiche”. [76] Fantasiose biografie terrene degli dèi  furono non solo passate di bocca in bocca, ma furono anche riprodotte in opere letterarie particolarmente dettagliate. Per vividezza dei dettagli quelle biografie terrene degli dèi evemerizzati non sono inferiori
in alcun modo alla vita di Gesù raccontata nei vangeli. 

Nella storia dell'ideologia e, in particolare, della storia della letteratura si possono trovare esempi di sorprendente somiglianza tra il cristianesimo e l'immagine di Cristo da un lato, e la cultura pre-cristiana, dall'altro. In realtà, i teologi cristiani furono costretti a volte ad accettare certe tradizioni come cristiane, anche se indubbiamente precedettero il cristianesimo e furono totalmente slegate da esso. Un buon esempio è la quarta ecloga delle Bucoliche di Virgilio, il poeta romano del primo secolo A.E.C. e famoso autore dell'Eneide.

La quarta ecloga delle Bucoliche di Virgilio prevede la nascita di un infante miracoloso che segnerà la sostituzione dell'età del ferro con un'età dell'oro. L'antica chiesa cristiana considerò il poema un'opera cristiana. Sant'Agostino, citando alcuni suoi versi, disse che essi potevano solamente riferirsi a Cristo: a chi altri potevano essere rivolte parole simili? Nel suo discorso al Consiglio di Nicea (325 E.C.), l'imperatore Costantino citò molti versi di Virgilio per sostenere l'idea della natura divina di Cristo. È possibile che Virgilio avesse in mente il fondatore del cristianesimo?

A meno di dover assumere che i miracoli siano possibili, dobbiamo rifiutare l'idea che il cristianesimo recitasse qui qualche ruolo di sorta. Inoltre, Virgilio predisse che la nascita del bambino miracoloso avrebbe avuto luogo nello stesso anno in cui fu scritta l'ecloga. Secondo i vangeli, Cristo era nato 40 anni dopo. “Un tale errore”, osserva Boissier drasticamente, “sarebbe inescusabile in un profeta”. [77]

Virgilio è considerato dalla Chiesa cristiana, se non un profeta, almeno come qualcuno con grande lungimiranza. Nel Medioevo egli fu considerato importante quanto Mosè,  Isaia, Davide e altri personaggi che si credeva avessero predetto la nascita di Cristo. In realtà Virgilio dette
semplicemente voce a speranze e idee diffuse nel suo tempo. E naturalmente, queste opere letterarie come la quarta ecloga delle sue Bucoliche svolsero un certo ruolo, forse anche un ruolo notevole, nel preparare il fondamento ideologico alla diffusione della dottrina circa un nuovo Messia.

Se i Padri della Chiesa trovarono che la quarta ecloga li poneva di fronte ad alcune domande imbarazzanti, fu persino più difficile per loro spiegare le numerose somiglianze tra le storie raccontate nei vangeli e quelle raccontate nei miti risalenti ad un periodo molto più antico.  In qualche maniera questo fatto imbarazzante doveva venire spiegato, poiché essenzialmente esso screditava l'idea che il cristianesimo fosse unico e che la sua nascita non dovesse nulla ad altre tradizioni culturali. Per esempio, Firmico Materno affermò che i pagani tentarono di introdurre nei loro culti elementi attinti dal cristianesimo e di sostituire i loro stessi racconti empi e superstiziosi alle verità rivelate da Dio. Qui Materno ovviamente trascurò il fatto, ben noto anche al suo tempo, che il “paganesimo” era molto più antico del cristianesimo. Così, se qualche copiatura ci fu, essa fu nell'altra direzione. Tertulliano attribuì all'azione del Diavolo  tutto ciò che metteva in dubbio il credo che unicamente il cristianesimo offrisse la salvezza: il Diavolo, il nemico della razza umana, propagò deliberatamente tra i suoi seguaci idee e opinioni che anticipavano il cristianesimo pur di  screditarlo. Naturalmente, questo non può essere confutato, ma nessuno interessato seriamente ad un'analisi scientifica della questione può accettare una spiegazione simile.

Esiste un'altra pratica nei culti antichi che poteva facilitare in misura anche maggiore l'accettazione della leggenda circa Cristo; l'offerta
di suo figlio da parte di un padre come sacrificio agli dèi. Per esempio, il dio fenicio Moloc veniva ingraziato mediante il sacrificio di bambini (i bambini venivano arsi nelle fauci bollenti di una statua di rame del dio). Nell'Antico Testamento ci sono molti indizi che i bambini, specialmente i primogeniti, erano sacrificati e questo fu praticato non solo dai vicini di Giuda e Israele, ma anche tra gli stessi ebrei antichi. A noi questo potrebbe sembrare assurdo, ma nei tempi antichi tale pratica era tradizionale e pertanto era considerata normale e accettabile. Potremmo ritenere strano che Dio dovesse sacrificare il proprio figlio. E quella che è una domanda ancor più enigmatica, a chi poteva Dio offrire un simile sacrificio? Ma in quei giorni la gente non deve aver considerato nulla al di fuori dell'ordinario, poichè fu costume del capo famiglia ricorrere a questa pratica rituale quando necessario.

In uno studio dedicato a questo argomento, Il Dio Sofferente nelle Religioni del Mondo Antico, Martin Brückner ricava parecchie analogie tra le antiche religioni orientali e la leggenda cristiana circa Gesù. In entrambi i casi, “al centro dell'adorazione e del culto vi era un credo nella morte e nella resurrezione di un dio-salvatore che fu subordinato ad un dio supremo”. In alcuni casi il dio-salvatore era considerato il figlio del dio supremo: in entrambi i casi “la morte e la risurrezione di dio avevano per i credenti il significato di salvezza”. I credenti perciò traggono speranze nella loro resurrezione personale dopo la morte e nella vita eterna. E in molti casi la morte e la resurrezione del dio salvatore avvenivano di primavera, mentre la resurrezione si svolgeva il terzo o il quarto giorno dopo la morte del dio. [78]

Quelle analogie diventano sempre più significative se si considera che i culti in questione furono particolarmente diffusi in quelle località presso cui esistevano antiche comunità cristiane. Questo significa che i popoli di quelle località non solo erano storicamente preparati ad accettare leggende legate a Cristo; ma potevano anche, forse, creare miti simili per conto loro.

Anche per gli antichi ebrei, i culti orientali di un salvatore che moriva e risorgeva di nuovo non erano niente di nuovo o di insolito. Nell'Antico Testamento esistono molti indizi che gli ebrei erano a contatto con quei culti e con i miti sui quali erano basati. Il profeta Ezechiele parla di “donne che piangevano per Tammuz” (Ezechiele 8:14), e lo fecero nel posto più inappropriato, alle porte del tempio di Salomone. Così un culto pagano era penetrato nella cittadella dell'ebraismo. Anche il re Salomone peccò quando fu persuaso dalle sue mogli straniere ad adorare le divinità dei pagani. Anche altri re di Giuda e di Israele adorarono gli dèi pagani, come illustra l'Antico Testamento. Così, verso l'inizio del primo secolo, gli ebrei erano senza dubbio familiari coi miti circa quelle divinità, in particolare, coi miti circa salvatori che morivano e risorgevano.

Da tutto quanto sopra non segue che la dottrina cristiana su Gesù fosse stata copiata direttamente da una religione più antica. Quella sarebbe una conclusione errata. Le storie e le leggende in cui si rivela l'immagine di Gesù rappresentano un intero complesso di idee di una nuova religione che fu scaturita dalla vita stessa, da condizioni sociali, storiche e di altro tipo. Ci sono due punti che dovrebbero essere tenuti a mente qui. Innanzitutto, questo nuovo complesso ideologico poteva aver abbracciato idee e concezioni a cui il popolo era stato abituato da lungo tempo. In secondo luogo, ciò che emerse dalla fantasia religiosa del cristianesimo primitivo, che si stava muovendo nella stessa direzione, seguì i percorsi di credi popolari esistenti da lungo tempo. A chi visse nella seconda metà del primo secolo le idee del messianismo, proprio come l'immagine di un dio-re che reca salvezza all'umanità, non sarebbero sembrate strane o straordinarie. E quando la situazione sociale e storica dette origine alla corrispondente condizione ideologica, le speranze messianiche degli oppressi e afflitti trovarono forme pre-confezionate che stimolarono ulteriormente la loro fantasia religiosa. Qui un ruolo determinante fu svolto dalla dottrina messianica dell'Antico Testamento così come da molti altri credi e nozioni dei popoli dell'Oriente antico e del mondo greco-romano.

Per la creazione di un'immagine sincretica del Messia che avrebbe avuto un'attrazione popolare, la fantasia religiosa dei popoli del Mediterraneo durante i primi secoli della nostra epoca possedeva un ampio materiale da cui attingere. Tale materiale si poteva trovare nei credi pre-cristiani risalenti a tempi antichi, e sopratutto all'ebraismo. Quello che era necessario fu l'appropriata condizione sociale e storica che l'avrebbe spinta in quella direzione. E condizioni simili non erano assenti.

Le condizioni storiche sociali di tutti i popoli dell'Impero romano, sottomessi dal potente stato schiavista, fornì un terreno fertile allo sviluppo di idee e leggende messianiche.

I popoli che vissero sotto il giogo di ferro dell'Impero romano non avevano alcuna speranza di sorta di liberarsi con mezzi terreni. Successivamente alle sconfitte dei movimenti di liberazione nazionale e delle rivolte di schiavi, vi emerse una realizzazione della totale futilità di una resistenza armata. I popoli potevano solo guardare all'aiuto di forze soprannaturali. Durante quel periodo sorsero e prosperarono culti messianici per tutto l'Impero romano. A causa di una serie di circostanze storiche, di tutti quei culti, il messianismo ebraico dimostrò di avere l'attrazione più ampia tra la popolazione dell'Impero romano.

La leggenda circa Cristo e il suo culto relativo erano originariamente una di diverse varianti del messianismo ebraico. Non fu popolare tra gli ebrei, che avevano aspettato con ansia l'arrivo di un messia guerriero promesso dai profeti, un messaggero attivo e coraggioso di Dio sotto la cui guida il popolo eletto avrebbe prima o poi raggiunto i suoi obiettivi. Ma dopo essere stata trasferita in un ambiente “straniero”, essa rapidamente guadagnò un'accettazione tra ampie masse. Nel processo subì cambiamenti significativi così che in sostanza cessò di essere ebraica. Soprattutto, essa dovette abbandonare il concetto di Israele come popolo eletto di Dio; divenne una dottrina religiosa cosmopolita. Anche la stessa motivazione per la salvezza dell'umanità da parte di un Messia dovette essere modificata.
 

Nel Messianesimo ebraico la missione del Messia fu quella di salvare il popolo eletto dalle conseguenze dei suoi peccati commessi contro Yahweh. Tra i gentili, comunque, quest'idea doveva essere espressa in modo diverso. Così emerse un'altra idea, secondo la quale gli uomini soffrirono a causa della maledizione nella quale erano incorsi in conseguenza del peccato originale, e che il Messia non sarebbe venuto a riconciliare gli ebrei e Yahweh, ma ad espiare i peccati di Adamo ed Eva e portare alla riconciliazione tra l'umanità intera e un Dio universale. Allo stesso tempo furono introdotti cambiamenti nel culto per rendere possibile ai gentili aderire alla nuova religione: diverse leggi ebraiche, comprese le leggi rituali relative ai pasti come pure alla circoncisione, furono abolite. Così, la nuova religione si allontanò completamente dall'ebraismo.

Mentre si diffuse tra i popoli dell'Impero romano, il cristianesimo giunse ad assimilare molti temi mitologici, idee religiose e riti che erano già esistiti tra quei popoli. Questo èlo si osserva soprattutto nell'immagine di Gesù come il Messia, un'immagine di origine ebraica. Diventò intrecciata con elementi delle immagini e culti di vari dèi-salvatori locali che anche soffrirono, morirono e risorsero. Di conseguenza, una miscela di molti elementi formò l'immagine di Gesù Cristo.

Tuttavia, ciò che è fondamentale in questa immagine è il Messia ebraico. Ciò è evidenziato dal fatto che la vita di Gesù raccontata nei vangeli si basa fortemente sulle profezie dell'Antico Testamento intorno alla venuta del Messia.

Oltre all'idea generale del Messia, molti dettagli sulle narrazioni evangeliche sono copiate direttamente dall'Antico Testamento. Così, Gesù entra in Gerusalemme
seduto su un'asina, e un puledro figlio di bestia da soma (Matteo 21:5). Come  osservato in precedenza, non è chiaro come qualcuno potesse sedersi contemporaneamente su due animali. La fonte di questa strana raffigurazione è il libro del profeta Zaccaria: ...ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino (Zaccaria 9:9). Le parole con le quali il popolo salutò il “figlio di Davide”Benedetto colui che viene nel nome del Signore” — ripete quasi del tutto un verso da uno dei salmi (Salmo 118:26). Il prezzo di trenta pezzi di argento per cui Giuda tradì Gesù fu anticipato nel libro di Zaccaria: Ed essi mi pesarono il mio salario: trenta sicli d'argento” (11:12). Anche il modo in cui Giuda dispose di questo denaro —  egli buttò i pezzi d'argento nel tempio — si trova nel Libro di Zaccaria dove è detto che secondo le istruzioni di Dio Io presi i trenta sicli d'argento e li gettai nella casa del Signore per il vasaio” (11:13). Le parole pronunciate da Gesù nell'ultima cena — “In verità vi dico che uno di voi mi tradirà” (Matteo 26:21) — riecheggiano il Salmo 41:Anche l'amico con il quale vivevo in pace ... e che mangiava il mio pane, si è schierato contro di me” (41:9). Anche la descrizione della crocifissione di Gesù ricorda uno dei passi dell'Antico Testamento. A Gesù sulla croce fu dato “aceto mescolato con fiele” (Matteo 27:34); nel Salmo 71 leggiamo: Hanno messo fiele nel mio cibo, e mi hanno dato da bere aceto per dissetarmi” (69:21). Le ultime parole di Gesù prima della sua morte sono prese direttamente dal Salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46, Salmo 22:1). Anche alcuni dettagli nella fantastica immagine raffigurata nell'Apocalisse sono copiati dall'Antico Testamento, e specialmente dal libro del profeta Daniele: la bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e sulle teste nomi blasfemi” e circa il leopardo i suoi piedi erano come quelli dell'orso e la bocca come quella del leone” (Apocalisse 13:2).

Quelle coincidenze possono anche essere interpretate in una maniera diversa. Per preti e teologi conservatori esse confermano la sapienza dei profeti dell'Antico Testamento che hanno predetto quello che è avvenuto parecchi secoli dopo. Ma un approccio scientifico esclude una simile interpretazione. Il senso comune punta ad un'altra, più ovvia, conclusione. Alcuni documenti furono scritti prima e altri in seguito, i documenti più antichi erano noti agli autori dei documenti successivi; e così se ci sono coincidenze tra i testi precedenti e i testi successivi, significa che gli autori dei testi successivi copiarono da quelli precedenti. Pertanto, gli storici e i teologi che impiegano metodi scientifici non sono troppo lontani dalla verità quando essi dicono che si fece parecchio utilizzo dei testi dell'Antico Testamento nella creazione della biografia di Gesù Cristo raccontata nei vangeli. Per esempio, il teologo protestante Martin Dibelius ha affermato che i testi dell'Antico Testamento “crearono Storia”, a significare che la storia di Gesù fu fabbricata sulla base dell'Antico Testamento. Certamente, questo è alquanto esagerato, perché la fantasia degli autori dei vangeli fu alimentata da molte altre fonti oltre all'Antico Testamento.

Infatti, verso l'inizio del primo secolo il sistema ideologico e religioso dell'Antico Testamento non è più percepito nel suo senso tradizionale e letterale. Dal tempo di Aristobulo, e in particolare negli scritti di Filone di Alessandria, gli si attribuì un significato allegorico.

Engels, al pari di Bruno Bauer, definì Filone il padre del cristianesimo. Quale fu il contributo di Filone alla formazione dell'immagine di Gesù Cristo?

La fondamentale tendenza religiosa e filosofica delle opere di Filone è gnostica. Secondo lo gnosticismo, Dio, essendo la divinità suprema, non ha alcuna relazione diretta con il mondo materiale, che è inferiore. Il legame tra Dio e il mondo viene mantenuto attraverso certe forze intermediarie che sono allo stesso tempo fisiche e spirituali e che, in qualche maniera misteriosa, emanano da Dio. In quelle “ipostasi”, “eoni”, “idee” (termini di Platone), che assumono una forma fisica accessibile alla percezione umana, sono incarnate l'uno o l'altro aspetto o proprietà dell'infinita e insondabile divinità.

Tra le varie idee dello gnosticismo,  gli eoni o le ipostasi, oppure Sofia (Sapienza) e Logos (parola) in greco, sono le più conosciute. Il concetto di Logos svolge un ruolo particolarmente importante nella filosofia di Filone. Filone considera il Logos intermediario tra Dio e il mondo; egli caratterizza il Logos come l'interprete dell'intenzione di Dio, il rappresentante e il messaggero di Dio, il figlio primogenito di Dio, e a volte Dio stesso o un secondo Dio. Questa concezione è espressa nel vangelo di Giovanni che inizia con un riferimento al Logos: “All'inizio era la Parola, e la Parola era con Dio e la Parola era Dio” (Giovanni 1:1).

Il Logos non è un essere umano, ma qualche mistico essere incorporeo. Al comando di Dio diventa incarnato e assume una forma umana. Questa peculiare qualità del Logos rese possibile alle idee gnostiche influenzare la dottrina messianica. Sotto questa influenza il Messia fu trasformato da un essere umano, perfino uno rivestito di un potere supremo, in un essere soprannaturale in forma corporea. Di conseguenza, anche l'aspettativa popolare dell'apparizione del Messia subì un cambiamento.

Tra i culti che contribuirono a quel miscuglio di elementi eterogenei che insieme costituirono l'immagine di Cristo ci fu lo gnosticismo ebraico. Ma la concezione del Messia come il Logos non poteva in sé formare il fondamento di questa immagine. Era filosoficamente troppo sottile e astratta per essere accettabile da un punto di vista religioso e mitologico. La coscienza religiosa delle masse ha bisogno di qualcosa di figurato e concreto, e non di astrazioni metafisiche. Il Logos gnostico poteva influenzare il cristianesimo solo in una forma che fosse più coi piedi per terra. Engels sottolineò che “il fatto che fu dalla versione popolare di nozioni filoniche e non dalla stessa opera di Filone che scaturì il cristianesimo è provato dal Nuovo Testamento”. [79] Egli notò la “forma abbassata e volgarizzata” che le idee gnostiche assunsero nel cristianesimo. Allo tesso tempo egli sottolineò che in uno studio delle origini del cristianesimo quelle idee devono essere prese in considerazione.

Per l'ebraismo ortodosso, la deificazione di un essere umano era impensabile, perché sarebbe blasfemo dal punto di vista dell'Antico Testamento. Per il modernizzato ebraismo filonico di quel periodo, tuttavia, sarebbe la deificazione non di un essere umano, ma di qualcosa di astratto che emana da Dio ed è racchiuso in Dio stesso. Con l'aiuto di tale ragionamento le nazioni pagane degli esseri umani che erano allo stesso tempo divinità e la cui missione era la salvezza dell'umanità diventarono “nobilitate” e rese accettabili agli ebrei in una certa misura. Ma solo ad una certa misura, e come la storia dimostra, ad una misura davvero piccola. Infatti il cristianesimo non si diffuse tra gli ebrei. Il cristianesimo dovette cercare convertiti tra gli altri popoli dell'Impero romano e in questo riuscì interamente.

Così, elementi di concetti religiosi e mitologici  che esistevano tra diversi popoli circa un Messia-salvatore si “fusero” per realizzare un'immagine più o meno uniforme di Gesù Cristo. Diciamo “più o meno” perché l'immagine non diventò veramente uniforme. Le sue ovvie contraddizioni interne sono la prova che essa doveva la sua origine ad una grande varietà di fonti. Tuttavia, qualcosa di nuovo emerse, e questo è il ritratto di Gesù Cristo dato dai vangeli, che dopo fu canonizzato nei testi sacri e nei dogmi della religione cristiana.

L'immagine di Gesù Cristo, come abbiamo visto, non sbucò dal nulla. Il terreno per esso fu preparato da sviluppi precedenti. Lo stesso vale per i suoi insegnamenti. La profezia sulla fine imminente del mondo e l'invito al pentimento, l'esortazione ad abbandonare la prosperità terrena per salvare l'anima nel prossimo futuro, il disprezzo della ricchezza e dei ricchi, l'amore del prossimo e la non-resistenza pacifica al male come base della morale fu tutto attribuito a Gesù Cristo dai vangeli. Eppure furono presenti nei movimenti religiosi sociali e nelle dottrine che precedettero il cristianesimo.

Nel romanzo Una Reliquia dello scrittore portoghese
Eça de Queirós, dice rabbì Gamaliele, riferendosi al cristianesimo: “Beh, che cosa c'è di nuovo o speciale? Oppure immaginate che un rabbino nazareo ricavò quei dogmi dal fondo del suo cuore? Ma il nostro credo è pieno di quei dogmi.... Voi volete ascoltare circa l'amore, la misericordia, l'uguaglianza? Leggete il testo di  Gesù, il figlio di Sidra.... Tutto questo fu predicato dal vostro amico Iokonan [un riferimento a Giovanni il Battista — I.K.], che era finito così tristemente nella prigione di Macheronte”. [80]

In effetti, i principi morali predicati da Rabbi Hillel, ad esempio, che visse nel primo secolo, erano davvero vicini allo spirito del Discorso della Montagna. Quando gli fu chiesto l'essenza del suo credo, Hillel rispose: 


Non fare agli altri ciò che hai in odio, questa è tutta la Torà, il resto è commento”.

 Ma non è senza motivo che Gamaliele menziona i pagani, sebbene egli faccia così con un pò di disprezzo. Infatti anche tra i pagani esistevano principi morali formulati
chiaramente che somigliavano a quelli esposti nei vangeli e che risalgono ad un periodo più antico. Possiamo ricordare a questo proposito il filosofo romano stoico Seneca che Engels proprio per questo motivo chiamò lo zio del cristianesimo. Questo tutore di Nerone spiegò la morale della parabola sull'uomo ricco e Lazzaro, anche se Seneca stesso, un uomo ricco, poteva sicuramente essere stato l'uomo ricco nella storia. Ma a prescindere dai motivi personali di Seneca, che senza dubbio fu un esempio eccezionale di  ipocrita, il suo insegnamento etico differisce poco da quello dei vangeli. Per inciso, difficilmente qualcuno dei seguaci di Seneca, antichi o moderni, è molto inferiore a Seneca quando si tratta di ipocrisia e di divergenza tra parole ed atti ....

Riassumendo, vediamo che verso l'inizio della nostra epoca, il pensiero sociale di popoli diversi offrì materiale sufficiente per la creazione dell'immagine di Gesù. Questo materiale poteva essere stato utilizzato con l'aiuto della fantasia religiosa per arricchire l'immagine di qualcuno che esistette realmente, oppure un'immagine mitologica di questa persona poteva essere stata creata. Abbiamo esaminato in dettaglio la prima di quelle ipotesi. La seconda, mi sembra, è la più probabile.

Il luogo più probabile per la nascita della leggenda cristiana non è la Palestina, ma uno dei paesi della Diaspora ebraica, in particolare l'Egitto o l'Asia Minore. Il più antico dei testi del Nuovo Testamento, l'Apocalisse, era rivolto a tutte le sette comunità cristiane dell'Asia Minore. I frammenti più antichi dei manoscritti evangelici noti agli studiosi furono trovati in Egitto. Non c'è nessuna prova che i testi dell'Antico Testamento fossero originariamente scritti in ebraico o in aramaico. L'unico testo noto è in greco e il testo greco è zeppo di aramaismi e di ebraismi. Questo può significare solo che i loro autori erano ebrei che vissero fuori dalla Palestina, entro i limiti della cultura ellenistica, e che la loro padronanza della lingua di questa cultura non era così perfetta da impedire di far sentire la loro origine ebraica. Si potrebbe sostenere che la lingua greca fosse abbastanza ben nota anche in Giudea in quel tempo e così i libri del Nuovo Testamento avrebbero potuto essere scritti in greco. Questo è però un argomento debole. La lingua scritta in Giudea a quel tempo era l'aramaico, non il greco. Inoltre, questi testi erano ovviamente destinati alle persone comuni della Giudea che, naturalmente, non potevano leggere in greco.

Cerchiamo di figurarci il clima ideologico nelle città della Diaspora all'inizio della nostra era. Il suo elemento principale era l'attesa febbrile della venuta del Messia, che era legata alle speranze di una trasformazione radicale dell'intero ordine esistente e della restaurazione del regno ebraico in tutta la sua potenza e gloria. Il cuore degli esuli e degli emigranti era rivolto alla Giudea e a Gerusalemme dove il Messia, un discendente della casa di Davide, doveva apparire. E di tempo in tempo c'erano voci dalla Giudea che egli era venuto o era prossimo a venire. Ma ogni volta quelle dicerie eccitanti si dimostrarono infondate. Le persone si sentivano scoraggiate e tradite. Ma continuavano a sperare, perché avevano un forte desiderio di libertà e prosperità, per liberarsi dall'oppressione nazionale e sociale. Vecchie dicerie erano sostituite dalle nuove. Alcune di loro si dimostrarono dubbie oppure mancarono di soddisfare i requisiti ideologici del momento e presto vennero dimenticate, mentre altre furono trovate più accettabili e misero radici, attirando sempre più seguaci che cominciarono ad abbellire la leggenda originale con nuovi elementi. In questo processo di “selezione naturale” la leggenda associata al nome di Gesù Cristo sopravvisse e alla fine trionfò.

Che cosa rese questa leggenda così attraente? Che cosa le permise di mettere giù radici così forti?

Come tutte le leggende messianiche, la leggenda cristiana fu attraente perché ispirò speranze di liberazione da una situazione apparentemente senza speranza. Ma essa aveva un altro aspetto che le assicurò un vantaggio più importante: non poteva essere verificata nella realtà. Chiunque avesse aspirazioni messianiche avrebbe dovuto dimostrare la legittimità delle sue rivendicazioni con azioni reali, mediante vittorie militari o di altro tipo, per mezzo di alcune imprese che avrebbero significato l'adempimento della volontà di Yahweh, che aveva deciso di perdonare e salvare il suo popolo eletto e di condurlo alla gloria. E quando dalla lontana Giudea venne la notizia che ancora un altro Messia aveva fallito nella sua missione, la fine della leggenda era vicina. Se questa leggenda si fosse basata su un uomo immaginario, anch'essa sarebbe stata inevitabilmente screditata. Col passare degli anni ci sarebbero state meno e meno voci su di lui, e poiché la sua “azione” non aveva portato ad alcun risultato reale, la leggenda si sarebbe estinta di una morte naturale. La leggenda circa Cristo ebbe un destino diverso.

Il suo concetto principale è che il Messia non avrebbe dovuto trionfare nel mondo reale e visibile, ma avrebbe dovuto perire in esso. Il mondo sprofondato nelle spire del male avrebbe incontrato la sua “soluzione finale” soltanto in un qualche lontano futuro. Il popolo era abituato ad aspettare questo futuro: l'intera ideologia messianica fu costruita su  tali aspettative. Ma qui si trattava di più della semplice attesa. La leggenda fece percepire alle persone che qualcosa era stato compiuto e realizzato, mentre allo stesso tempo ci fu ancora spazio per sperare. La leggenda fu tanto più vitale dal momento che la domanda se qualcosa fosse stato davvero realizzato non poteva essere verificata.

Se la leggenda cristiana si fosse originata in Palestina e fosse di una natura mitica essa poteva essere stata vulnerabile. Ci sarebbero state richieste perchè sbucassero fuori testimoni oculari o partecipanti agli eventi e tutti gli “entusiasti”. Quanto alle persone che vissero al tempo a Gerusalemme e in altre località dove, secondo la leggenda, accaddero gli eventi, loro potevano facilmente confutarla; esse avrebbero semplicemente detto che niente del genere fosse accaduto. Ma se gli eventi accaddero in una distante Palestina parecchi decenni prima, non c'era nessun modo di accertare la verità. Il Messia era nato (in una maniera miracolosa!); egli predicò e operò miracoli; egli fu perseguitato e crocifisso, poi egli resuscitò e ascese al cielo; Come si poteva verificare tutto questo se gli eventi avvennero in un luogo lontano in un tempo non specificato? Quanto a quello che poteva essere verificato, ciò sarebbe accaduto solo nel futuro. Così non si poteva fare altro che mantenere la propria fede e aspettare.

È vero, qui è il tallone d'Achille della leggenda. La prossima venuta di Cristo “in tutta la sua gloria” fu promessa come un evento importante che sarebbe dovuto avvenire nel prossimo futuro, durante il tempo di quella generazione. Il fatto che non fosse avvenuto poteva seriamente compromettere la nuova fede. Tra il tempo in cui furono poste le fondamenta della leggenda cristiana e il tempo in cui fu formulata come un sistema di dogmi erano passate
numerose generazioni. Nel frattempo, la seconda venuta non si era verificata. Molto probabilmente un gran numero di seguaci della nuova dottrina si allontanò di conseguenza. Ma molti — potevano essere la maggioranza ma potevano anche essere una minoranza — diventarono soltanto rafforzati nella loro fede. Questo fu in parte reso possibile dal tipo di argomenti che furono usati: ciò che fu detto fu interpretato in modo errato, ci fu un errore nei calcoli per quanto riguarda la data in questione, e simili. Questi argomenti sono ancora utilizzati nel nostro tempo per riscattare una profezia che aveva mancato di verificarsi. Com'è noto, gli Avventisti a questo stesso giorno continuano a credere che il Giorno del Giudizio sia vicino a dispetto del fatto che i loro calcoli sul soggetto della leggenda cristiana sono ovviamente stati sbagliati. Così il punto vulnerabile della leggenda cristiana risulta non essere così minaccioso dopotutto.

In un certo senso la leggenda circa un Messia che era nato e morto nella distante Giudea poteva essersi originata e diffusa “dal nulla” tra gli ebrei che vissero nella Diaspora, a significare che non fu basata su una persona reale. Ma una volta che la leggenda apparve tra gli ebrei della Diaspora essa poteva essersi diffusa molto rapidamente tra quei popoli con cui gli ebrei furono in costante contatto economico e culturale-ideologico. Come osserva Robertson, “ebrei e gentili non erano reciprocamente separati, ma mescolati quotidianamente nelle città mediterranee, coi più poveri ebrei che propagavano la loro visione di un Messia venturo e nel processo vi assimilavano il sogno dei gentili più poveri di un dio redentore che trionfa sulla morte”. [81] Nella continua diffusione di idee tra i popoli del mondo culturale ellenistico la leggenda circa Cristo guadagnava via via sempre più seguaci con ogni decennio. Nel frattempo, stava per essere costantemente arricchita da ciò che le recarono i nuovi seguaci dalla loro propria esperienza storica e religiosa.

Delle due possibili varianti perchè io considero più probabile quella secondo cui le leggende evangeliche non hanno un nucleo storico nella forma di un personaggio reale?
 

L'altra variante ha fin troppi punti deboli; vi è fin troppo che non può essere spiegato. Non si tratta semplicemente del “silenzio del secolo”, anche se questo naturalmente è di notevole importanza. Non meno significativo è il fatto che la storia dell'immagine di Gesù rivela uno scenario abbastanza chiaro di un'evoluzione non di un Dio da un uomo, ma di un uomo da un Dio.

Più antica è la data della composizione di un libro o di un documento del Nuovo Testamento, più chiaramente Gesù Cristo vi appare come un dio, come l'agnello sacrificale portato al macello per rimuovere per sempre i nostri peccati, come Logos, come un soprannaturale principio astratto, e non come un uomo di carne ed ossa con una biografia storicamente concreta. E viceversa, più tarda è la data della composizione del libro o documento del Nuovo Testamento, più contiene elementi di una biografia terrena di Gesù. Ovviamente, le generazioni successive non potevano ricordare che cosa non sapevano le generazioni precedenti. Da quale deposito di memorie potevano ricavare quest'informazione? L'unica provenienza di una simile informazione fu la fantasia religiosa delle persone che fu costantemente stimolata dalla situazione storica e dalle condizioni sociali di quei gruppi sociali e nazionali tra cui presero forma i credi e i miti del cristianesimo primitivo. 

Uno dei teorici più importanti della scuola mitologica, Arthur Drews, ha scritto: “La non-storicità di Gesù è altrettanto fermamente stabilita  scientificamente al pari della non-storicità di Licurgo [Un antico eroe spartano — I. K.], Romolo e Remo, i sette re romani, Orazio Coclite e Guglielmo Tell”. [82] Si potrebbe concordare con questo, ma con una sola riserva,  in particolare, date le fonti oggi disponibili, e questo è tanto più vero dal momento che c'è un serio dubbio tra gli studiosi se alcuni dei personaggi nominati da Drews fossero mitici. Non si dovrebbe escludere la possibilità che qualche volta nel futuro si possano scoprire nuovi materiali e documenti  che richiederebbero un nuovo sguardo alla questione su Cristo. La possibilità è remota perché il quadro che noi ora possediamo è abbastanza chiaro.

La tesi che Gesù Cristo non è esistito come una reale personalità storica si basa su una ricca e lunga tradizione nella letteratura storica. Questa tradizione può essere rintracciata fin dai primi secoli del cristianesimo. Nel suo Dialogo con Trifone Giudeo Giustino fece dire al suo avversario:

“Voi state seguendo false dicerie, vi siete inventati Cristo per voi stessi ... se egli era nato davvero, e visse da qualche parte, è completamente sconosciuto”. [83]

Successivamente parecchi autori hanno espresso un dubbio circa la storicità di Cristo in osservazioni e commenti distinti. Ma un'interpretazione mitologica dell'immagine di Cristo apparve come una tendenza definitiva solo alla fine del 18-esimo secolo.

Nei loro studi sulla storia della religione C.F. Volney e specialmente Charles Francois Dupuis, partecipanti alla Rivoluzione Francese
borghese, espressero la consapevolezza che Cristo fosse una figura mitica e sostanziarono la loro visione sulla base di quello che allora era noto alla scienza storica. [84] Entrambi gli autori consideravano l'immagine  una rappresentazione del dio Sole, il cui concetto fu copiato dal cristianesimo da precedenti religioni antiche orientali e greco-romane.

La successiva prospettiva nello sviluppo della scuola mitologica fu l'opera dell'importante studioso tedesco del Nuovo Testamento, Bruno Bauer (1809-1882). Le visioni di Bauer sull'argomento subirono un cambiamento piuttosto drastico. Nelle sue prime opere egli non dubitò dell'esistenza storica di Cristo, sebbene perfino allora la base fosse stata posta per un punto di vista opposto. Già nel terzo volume della sua opera principale Una Critica della Storia Evangelica dei Sinottici e del Vangelo di Giovanni, Bauer formulò i principi di un'interpretazione mitologica dell'immagine di Cristo. [85] Sulla base di un'analisi approfondita dei vangeli, egli dimostrò che essi erano completamente inaffidabili come fonti storiche. Nelle sue numerose opere pubblicate in seguito Bauer fece una analoga analisi accurata dei rimanenti libri del Nuovo Testamento, il che rafforzò la sua convinzione che l'immagine di Cristo fosse mitica in origine.

Engels considerò altamente importanti gli studi di Bauer. Essi mostrarono, scrisse Engels, che “... quasi nulla dell'intero contenuto dei vangeli risulta storicamente dimostrabile cosicché l'esistenza storica di un Gesù Cristo può essere messa in discussione”. [86] Come si vede, Engels non prese una posizione categorica sulla questione dell'esistenza storica di Cristo, che per lui rimase solo incerta. Egli espresse la speranza che le scoperte e la ricerca future avrebbero gettato più luce sul soggetto.

Alla fine del secolo attuale l'interpretazione mitologica della personalità di Cristo ricevette nuovo sostegno dalla ricerca accademica. In Germania, nei Paesi Bassi, in Francia, in Gran Bretagna e in altri paesi sono comparsi un gran numero di opere in cui diversi autori esposero l'approccio mitologico.

Dagli anni 1870 molti ricercatori nei Paesi Bassi respinsero
inequivocabilmente la tesi che Cristo fosse un personaggio reale. Il primo di questi fu A. Hoekstra, che nel 1871 pubblicò La Cristologia del Vangelo Canonico di San Marco. [87]  In esso egli sostanziò la tesi che i vangeli non sono un documento storico ma opere di poesia simbolica e perciò tutti i personaggi relativi possono essere considerati semplicemente il prodotto di una fantasia letteraria. Questo punto di vista fu completamente approfondito e portato avanti da un altro studioso olandese A. Pierson, in Il Discorso della Montagna e altri Frammenti Sinottici, che apparve nel 1878. [88] Un'opera interessante in termini di concezione e maniera di presentazione è Osso duro di C. Naber, un altro rappresentante della scuola olandese. [89] Naber rivolge ai teologi ortodossi quaranta domande relative all'interpretazione delle epistole di Paolo e di altri libri del Nuovo Testamento. Naber credeva, e piuttosto giustamente, che quelle domande sarebbero per i teologi un “osso duro” da schiacciare.

Successivamente, altri studiosi olandesi contribuirono alla letteratura sulla cristologia. In molte delle loro opere essi esposero, sulla base di un'analisi approfondita dei libri del Nuovo Testamento, la tesi sull'origine mitica dell'immagine di Gesù Cristo (A. D. Loman, W. C. van Manen e G. J. Bolland). Nel 1912 G. A. Berg pubblicò un libro che sintetizza le opinioni e i risultati della scuola mitologica olandese, con il titolo Critici Radicali Olandesi del Nuovo Testamento. [90]

Lo stesso periodo vide la pubblicazione di una serie di opere di sostenitori inglesi e statunitensi della scuola mitologica. Dal 1900 un certo numero di studi di J. Robertson e T.
Whittaker (Gran Bretagna), W. B. Smith (Stati Uniti) e altri furono pubblicati. Nei suoi numerosi studi J. Robertson rintraccia la storia pre-cristiana dell'immagine di Cristo, mostrando i legami genetici tra essa e l'antico culto ebraico di Giosuè e altri culti con radici che risalgono ai tempi antichi. W. B. Smith mostra che all'inizio l'immagine di Gesù prese forma come immagine di Dio, e non di un uomo. Una delle opere più importanti di Smith è intitolata Ecce Deus, [91] in contrasto alla frase evangelica “Ecce Homo”.

All'inizio del 20-esimo secolo i teologi cristiani ufficiali intrapresero una feroce campagna contro gli studiosi tedeschi che sostennero la concezione mitologica. Quest'ultimi comprendevano A. Kalthoff e Samuel Lublinski, seguiti da Arthur Drews, [92] probabilmente il più conosciuto fra di loro. Si potrebbe dire senza esagerazione che il nome di Drews divenne quasi un sinonimo della scuola mitologica. Lenin disse che i marxisti dovrebbero stabilire “un'alleanza coi Drewsiani”, [93] riferendosi naturalmente non ad una comunità di vedute ideologiche e politiche, infatti non c'era una comunità del genere, ma ad un comune approccio al problema della storicità di Cristo.

Nelle sue numerose opere, la prima delle quali è Il Mito di Cristo (1909), Drews riassume tutti gli argomenti precedenti contro la storicità di Cristo e stabilisce le proprie opinioni sul tema. Il suo approccio alle origini del cristianesimo coinvolge l'ipotesi che lo gnosticismo ebbe un'influenza decisiva sull'ascesa della dottrina cristiana e anche che questa dottrina poteva essere fatta risalire a fonti astrali. Questa ipotesi non è sufficientemente giustificata. Ma nella sua critica della basilare concezione “storica” di Cristo l'uomo, Drews si colloca su un terreno solido, adducendo materiali e argomenti che sono indiscussi.

Gli studi di Drews scatenarono una forte reazione da parte dei custodi della teologia ufficiale. Quando i liberi pensatori dell'“Unione dei Monisti” tennero due discussioni pubbliche a Berlino sulla questione della storicità o dell'origine mitica di Cristo, i teologi le presero per una sfida e decisero di condurre la loro battaglia dalle pagine della stampa accademica all'arena del dibattito pubblico, che avvenne presso un circo e una cattedrale. [94] Essi fallirono, comunque, di presentare qualche argomento serio contro la concezione mitologica. Il punto principale del loro argomento era che Drews non era un teologo e perciò era un dilettante su materie relative alla religione. Questo argomento, naturalmente, non sembrò davvero convincente.

All'inizio del ventesimo secolo i sostenitori della tendenza mitologica apparvero anche in altri paesi. Essi comprendevano A. Niemoyewski (Polonia), P. L. Couchoud, Prosper Alfaric ed Edouard Dujardin (Francia), e Georg Brandes (Danimarca). [95] Le opere di questa tendenza erano anche conosciute in Russia prima della Rivoluzione d'Ottobre del 1917, anche se non erano diffuse ampiamente a causa della censura. Quando il libro di Drews Il mito di Cristo, tradotto in russo da Nikolai Morozov, un noto rivoluzionario e un membro della Narodnaya Volya, fu pubblicato nel 1910, i censori avevano bruciato l'intera stampa. A. Niemoyewski fu imprigionato per un anno per aver pubblicato i suoi libri in russo.
 

Nella storiografia sovietica la scuola mitologica mantiene un posto importante per quanto riguarda l'argomento delle origini del cristianesimo. È vero, la prima opera su questa questione pubblicata dopo la rivoluzione, nel 1918, argomentava a favore della storicità di Cristo. Il libro Gesù e le Prime Comunità Cristiane fu di Nikolai Nikolsky, un noto studioso progressista. [96] Il suo argomento, tuttavia, era debole e non venne veramente a fare i conti con le tesi principali della scuola mitologica. Nello stesso anno fu pubblicato un libro dal titolo La Nascita del Cristianesimo di Robert Vipper, un importante storico del nostro tempo. [97] Dopo aver esaminato tutta la letteratura su questo soggetto, Vipper giunse alla conclusione che la concezione di Gesù come una concreta personalità storica mancava di una seria dimostrazione documentale. Sin da allora la storiografia sovietica ha preso fermamente una posizione che rifiuta la storicità di Cristo.

Un vasto progetto fu intrapreso per tradurre e pubblicare in russo alcune opere di autori appartenenti alla scuola mitologica. Gesù il Dio di A. Niemoyewski fu pubblicato nel 1920, seguito tre anni dopo dalla sua opera Filosofia della Vita di Gesù. [98] Dal 1924 furono pubblicati vari libri di Arthur Drews, compreso Il Mito di Cristo, la sua opera principale, e Negazione della Storicità di Cristo nel Passato e nel Presente, [99] che è uno studio della storia della scuola mitologica. Oltre a quelle pubblicazioni, apparvero in russo opere tradotte di P. L. Couchoud, E. Moutier-Rousset, E. Hertlein, G. Brandes, C.F. Volney e altri. [100]

Furono pubblicate anche alcune opere di autori appartenenti alla scuola storica. Gesù contro Cristo di Henri Barbusse [101] suscitò un vivace commento nella stampa sovietica. Più tardi, Le Origini del Cristianesimo di Archibald Robertson, specialista inglese della storia religiosa e un comunista, arrivò in due edizioni. In articoli che accompagnano il libro, lo storico sovietico S. Kovalev espresse opinioni opposte a quelle di Robertson. [102]

Per un periodo di diversi anni, a partire dal 1924, fu pubblicata un'opera multivolume intitolata Cristo di Nikolai Morozov. [103] Questa è un'opera curiosa. In sostanza, Morozov rifiuta tutta la storia dell'antichità come invenzione del Medioevo. Il Gesù, come descritto nei vangeli, secondo Morozov, non è esistito, ma visse una persona nel quarto secolo conosciuta come Basilio il Grande ed è lui che dev'essere identificato con Gesù Cristo. La tesi di Morozov si basa su un confronto piuttosto avventato e arbitrario di dati storici e fenomeni astronomici, che sono apparentemente simboleggiati in quei dati e su un'interpretazione altrettanto arbitraria del significato dei nomi che appaiono nelle fonti storiche. Per esempio, il nome greco Basilio (basileus) significa “re”, i vangeli ripetutamente menzionano Cristo come il re degli ebrei. Morozov considera questa coincidenza una ragione sufficiente per identificare Basilio il Grande con Cristo. Nei suoi confronti astronomici Morozov seguì ad una certa misura gli argomenti di Volney, Dupuis e Niemoyewski e ad una misura considerevole quelli di Drews e dello storico sovietico N. Rumyantsev. Casualmente, Rumyantsev si dissociò dalle opinioni radicali di Morozov e dissentì con quest'ultimo. Nel complesso le opinioni di Morozov non furono accettate dalla storiografia sovietica.

Gli storici e gli specialisti sovietici di storia religiosa basarono l'interpretazione mitologica dell'immagine di Cristo su uno studio accurato delle fonti originarie, nonché sugli scritti classici di autori stranieri intorno al soggetto. A questo proposito, una menzione speciale si dovrebbe fare degli studi di N. Rumyantsev, A. Ranovich, R. Vipper, S. Kovalev e Ya. Lentsman. [104] In loro la generale concezione marxista di Cristo è legata alla concezione generale marxista delle origini del cristianesimo e ad un'analisi delle radici sociali e di classe di questa religione. La ricerca sovietica su questo problema si basa sugli studi di Engels della storia del primo cristianesimo e sui principi metodologici indicati da Lenin.

Si deve notare che di recente alcuni sovietici tendevano a respingere l'interpretazione mitologica. Per esempio, nel libro Dalla Comunità alla Chiesa, I. Sventsitskaya considera l'esistenza storica di Cristo, fondatore del cristianesimo, come un fatto stabilito che non necessita di verifica. [105] Sventsitskaya dichiara che “gli scavi archeologici hanno mostrato i resti di un insediamento” nell'area dove Nazaret fu situata al tempo di Gesù, ma non dice chi eseguì gli scavi o dove sono pubblicati i risultati del lavoro archeologico. In precedenza abbiamo considerato brani del libro di Thompson che indicano chiaramente che tali resti non sono stati trovati.

Quindi, i principali argomenti della scuola mitologica rimangono validi. Riassumiamoli.

In primo luogo, le fonti storiche del primo secolo non contengono nessuna menzione della personalità e dell'attività di Cristo, perfino in quei casi dove, sembrerebbe, la figura di Cristo e la sua vita non potevano che attirare l'attenzione di autori di opere storiche, filosofiche o pubblicistiche oppure riflettersi in alcuni documenti ufficiali o semi-ufficiali. In secondo luogo, nell'antica letteratura cristiana, l'immagine di Cristo si evolve cronologicamente secondo lo schema “da un Dio ad un uomo”. Più antico è il documento, meno concreta è l'immagine di Cristo come un uomo, più imprecisa è la sua biografia terrena e più vicina è la sua immagine a quella di Dio.

Fino a quando non si trova almeno una singola testimonianza dell'esistenza di Cristo, una testimonianza che risalga ai primi trent'anni oppure non più tardi della metà del primo secolo e che provenga da un testimone oculare o da un partecipante agli eventi descritti nei vangeli oppure da chi trasmise direttamente la testimonianza di un testimone oculare, fino a quel momento, la storicità di Cristo rimane una tesi non supportata da fatti e basata esclusivamente sulla tradizione cristiana che si formò alla fine del secondo secolo. Per quanto riguarda la tesi sull'evoluzione dell'immagine di Cristo, non solo rimane valida ma ha acquistato negli ultimi anni una rilevanza ancor più grande.

Tra i quattro vangeli, il vangelo di San Giovanni fu ritenuto l'ultimo, cronologicamente parlando. È probabilmente l'unico vangelo che contraddirrebbe lo schema di evoluzione sopra menzionato dal momento che in esso gli aspetti terreni e umani dell'immagine di Cristo sono meno pronunciati che nei sinottici. Nel vangelo di Giovanni non c'è alcuna descrizione della nascita o dell'infanzia di Gesù, mentre l'enfasi dell'intero racconto è sulla Parola (Logos):
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio (Giovanni 1:1). Ora, in considerazione del fatto che il vangelo di Giovanni è vicino allo spirito dei documenti di Qumran e anche alla luce della scoperta di un papiro da parte di John Rylands, alcuni autori considerano il vangelo di Giovanni il più antico dei quattro vangeli. Se noi accettiamo quest'ipotesi, cade la suddetta obiezione alla tesi dell'evoluzione dell'immagine di Cristo.  Di fatto, si potrebbe dire che la tesi viene rafforzata. Infatti in questo caso il vangelo di Giovanni si inserisce “perfettamente” nello schema logico di sviluppo della leggenda cristiana tra le epistole e i sinottici e questo può solo confermare la tesi circa l'evoluzione “da un Dio ad un uomo”.

Le scoperte future potrebbero forse smentire tutte le considerazioni logiche che finora hanno supportato la teoria mitologica. Fatti nuovi possono dare origine ad una “nuova logica” e portare così a conclusioni diverse da quelle che abbiamo raggiunto. Ma solo una persona dotata di un approccio prevenuto e tendenzioso procederebbe da “possibili” scoperte future ignorando
al contempo i fatti indiscutibili ora in nostro possesso.

 Alla luce della fase attuale della storiografia, il problema delle origini del cristianesimo dovrebbe essere approcciato senza un riferimento alla personalità di Cristo e alla sua azione, le quali dal punto di vista teologico tradizionale costituiscono il punto di partenza della storia del cristianesimo. Ciò che è di interesse qui è solo come prese forma gradualmente l'immagine di Cristo, come diventò storicizzata e trasformata dall'agnello mistico e dalla Parola in un reale essere umano provvisto di una concreta biografia.

Nell'evoluzione dell'immagine di Gesù si possono osservare due parti costituenti del dogma cristiano. In primo luogo, il Messia era già stato sulla terra e verrà di nuovo qualche tempo nel futuro. E in secondo luogo, con tutta la sua santità e divinità, il Messia era un essere umano con una reale biografia terrena, uno che nacque in questo mondo e morì (o comunque la cui esistenza venne ad una fine). Entrambi gli aspetti di questo processo di storicizzazione trovarono espressione nei documenti del Nuovo Testamento del secondo secolo, precisamente, le epistole di Paolo e i vangeli. E se supponiamo che questo processo cominciò con le epistole, esso sembra essere completato nei vangeli. 


Per comprendere il processo con cui Cristo fu trasformato in una personalità storica, è necessario stabilire le ragioni ideologiche (che sono socialmente condizionate) della necessità di una simile trasformazione. Perché Gesù non poteva rimanere nella fantasia dei suoi seguaci un agnello mistico oppure un Dio che doveva solo discendere sulla terra qualche tempo nel futuro e non apparire come un uomo ma come un essere divino?

A causa di circostanze storiche una simile variante della nuova religione sarebbe stata inadeguata. La nuova religione era in costante lotta contro l'ebraismo. Il dogma cristiano deve essere visto in possesso di nuovi elementi, ed essi dovevano procedere oltre l'attesa ebraica ortodossa della venuta del Messia.  La dottrina che il Messia fosse già venuto e aveva sostanzialmente adempiuto la sua missione fu un elemento nuovo che attirò i primi cristiani. Fu particolarmente significativo in un momento in cui i movimenti di liberazione vennero repressi da Roma, quando le speranze per l'arrivo di un Messia militante e vittorioso furono frustrate dall'argomento più convincente, cioè, la vita stessa. Ma se il Messia era già venuto, allora si doveva solo sapere come accadde, in che modo i suoi atti furono eseguiti, che genere di personalità fu, dove nacque e come morì, e così via.

I nemici del cristianesimo esigevano sempre più nuovi argomenti che avrebbero confermato la sua veridicità. Quando il Messia era venuto, essi dicevano, cosa fece, quando visse, cosa insegnò, come e in quali circostanze si ritrovò nel mondo soprannaturale? Gli antichi cristiani potevano trattenere quei colpi solo elaborando una biografia di Cristo con l'aiuto dell'immaginazione.

Un culto fu formato, e nuovi riti, che furono copiati spesso da religioni “straniere”, emersero e divennero consolidati. Nella mente dei cristiani, tuttavia, la loro spiegazione o giustificazione doveva fluire da un nuovo ambiente mitologico. Sorsero nuovi miti eziologici che dovevano essere legati alla personalità di Cristo e diventare parte della sua biografia.

La posizione del clero — l'istituzione di presbiteri e vescovi - stava crescendo sempre più forte; la formazione della chiesa cristiana era in corso. Ma non fu sufficiente che la chiesa avesse concentrato nelle sue mani un potere amministrativo ed economico. Aveva bisogno di una sanzione ideologica. Era necessario provare che Cristo ebbe discepoli, gli apostoli che posero le fondamenta della chiesa e come loro sacro dovere consegnarono la loro autorità alla generazione successiva di funzionari ecclesiastici. In un episodio descritto nel vangelo di Matteo Gesù ingiunge all'apostolo Pietro di costruire la chiesa e governarla (Matteo 16:18-19). Questo fornisce una base alle pretese di vescovi e presbiteri di essere stati loro i successori di Cristo, i suoi autorevoli rappresentanti. Ma perché tale associazione sia convincente essa dev'essere parte di una completa biografia di Cristo.

Lo stesso vale per il sistema etico della nuova religione. I principi morali da essa prescritti avrebbero ottenuto rispetto se si potesse dire che furono insegnati da Cristo stesso. Ma la domanda di quando e in quali circostanze egli li insegnò poteva essere risposta soltanto riferendosi a episodi corrispondenti della sua biografia. Questo fornì uno stimolo aggiuntivo all'abbellimento della biografia nella fantasia dei seguaci del cristianesimo.
 

Tuttavia, questo non spiega perché doveva essere la biografia di un essere umano e non di un Dio. Infatti sembrerebbe che le predicazioni e gli insegnamenti sarebbero più autorevoli se provenissero da una divinità piuttosto che da un essere umano.

Qui la nuova religione fu influenzata da ciò che i suoi seguaci recarono con loro dalle fedi e dai culti più antichi. Nell'ebraismo e nelle religioni del mondo ellenistico salvatori divini sono spesso sia dèi che uomini, e non “pure” divinità. Secondo l'Antico Testamento il Messia dev'essere un discendente di re Davide ed essere un re egli stesso, in altre parole, un essere umano. In un'altra versione del messianismo ebraico, fondata sul cinquantatreesimo capitolo del libro di Isaia ed altre fonti dell'Antico Testamento, il Messia è concepito come colui che soffre e si sacrifica per i peccati dell'uomo. Anche qui, il messia è un essere umano con le sue debolezze e le sue sofferenze. Come è noto, nelle religioni ellenistiche il culto dei dèi salvatori che muoiono e risorgono era diffuso. Cominciando da Prometeo, quei salvatori sono sia dèi che uomini, eroi e semi-dèi dotati di biografie terrene accuratamente elaborate.

La fede nell'uomo Gesù rese il cristianesimo particolarmente attraente alla gente. L'umanità di Gesù, le sue limitazioni e le sue debolezze, la sua capacità di compassione, di sofferenza, la sua umiltà e, in alcuni casi, la sua impotenza — tutto questo lo rese, sia come dio che come uomo, molto più vicino a coloro che credevano in lui di quanto potesse esserlo un dio perfetto e infinitamente distante che dimorava in uno stato di beatitudine. I fedeli, senza dubbio, si sentirono  particolarmente attratti da colui che fu perseguitato, che soffrì e fu crocifisso. Per loro egli fu uno di loro e poteva perciò comprendere le esigenze di coloro che soffrivano ed erano oppressi.

Qui si trova uno degli aspetti paradossali della religione. Logicamente parlando, è improbabile che il dio che non è capace di salvarsi dalla sofferenza sia in grado di liberare l'umanità da essa. Ma questa è una contraddizione inerente ad ogni religione. Le corrispondenti idee fantastiche presero forma storicamente e diventarono
gradualmente cristallizzate, e poiché le persone vi sono abituate non sono impressionate dalla loro evidente incoerenza.

Nell'elaborazione di una biografia terrena di Gesù Cristo, i primi cristiani nella seconda metà del primo secolo attinsero da vari credi ebraici e dalla mitologia di tutte le terre del mondo ellenistico, di cui parecchia gente si associò alle comunità cristiane. Un grande ruolo qui fu giocato dai culti, diffusi nella regione mediterranea, di un dio che soffriva, moriva, e risorgeva. Tuttavia, nei documenti religiosi, vale a dire i libri del Nuovo Testamento, dove è introdotta la biografia di Cristo, si fanno riferimenti solo all'Antico Testamento e alle profezie che contiene.

Il materiale di base con cui i primi cristiani fabbricarono una biografia dell'uomo Gesù fu copiato dall'Antico Testamento. Questa tendenza della fabbricazione biografica del mito può essere vista nelle epistole di Paolo (Galati 3:8; 1 Corinzi 15:4).

Questa tendenza è  seguita più coerentemente nei vangeli. Gesù fu quel re ebreo della casa di Davide che Yahweh aveva ripetutamente “promesso” al suo popolo tramite i profeti (Isaia 11:4, Daniele 7:13-14). Egli era nato a Betlemme (si veda Michea 5:2), e così gli evangelisti fecero sottoporre ai suoi genitori uno strano viaggio da Nazaret a Betlemme dove doveva essere fatto un censimento. E Nazaret fu necessaria allo scopo di giustificare perchè il Messia doveva chiamarsi “Nazireo” (Giudici 13:5, 16:17; Amos 2:11). Eppure, comunque, gli evangelisti apparentemente non riuscirono a capire che la parola “Nazireo” non si deriva etimologicamente dal nome del villaggio di Nazaret. Nella biografia di Gesù fornita nei vangeli, troviamo un certo numero di riferimenti e allusioni ai passi dell'Antico Testamento, compresi alcuni che suonano alquanto strani. Così, Gesù cavalcò due asini quando entrò a Gerusalemme, un parallelo a un passo del Libro di Zaccaria (9:9); i soldati romani citarono l'Antico Testamento quando strapparono il mantello di Gesù e se lo divisero (Salmo 22:18, Giovanni 19:24) e così via.

Le epistole di Paolo erano di così grande importanza nella stesura del dogma cristiano che, secondo alcuni storici protestanti, è Paolo, e non Cristo, che fu il fondatore del cristianesimo. C'è tanta verità in questo. Perché è impossibile, sulla base delle predicazioni, aforismi e parabole di Cristo, costruire i dogmi che divennero il fondamento della fede cristiana e delle successive elaborazioni teologiche cristiane. Ma è possibile ricavare simili principi basilari dalle epistole di Paolo.

Secondo uno di quei principi, Cristo apparve nel mondo per decidere il destino non solo del popolo ebraico, ma di tutta l'umanità. Poiché il cristianesimo doveva acquisire un carattere universale nel primo semestre del secondo secolo, era necessario cambiare il suo principale postulato dogmatico. Questo significò  una rottura con la dottrina dell'esclusività del “popolo eletto” e della dottrina ebraica nazionalista del Messia. E se il Messia sarebbe venuto allo scopo di salvare l'umanità intera dalla sofferenza, una nuova spiegazione delle cause della sofferenza fu richiesta. Non poteva più essere soltanto un problema degli ebrei che commettevano peccati contro il loro Dio Yahweh col loro culto degli “dèi di un altro popolo”. Ciò doveva avere a che fare con fattori dal significato universale per tutta l'umanità. Il più importante di quei fattori fu il mito dell'Antico Testamento sulla Caduta di Adamo. È per espiare la disobbedienza di Adamo che il figlio di Dio deve morire sulla croce (Romani 5:12-19). È difficile descrivere la concezione sottostante di questo principio basilare del cristianesimo in qualche maniera logica. Dal punto di vista del senso comune, tutto qui è illogico, a cominciare dalla caduta di Adamo ed Eva e finendo con la sua espiazione. Tuttavia, questa concezione fu formulata e affermata nelle epistole di Paolo nel secondo secolo ed è rimasta una concezione cristiana basilare fin da allora.

Esiste una vasta letteratura dedicata all'autenticità delle epistole di Paolo e alla storicità di Paolo. L'ala più radicale della scuola mitologica considera figure mitologiche Paolo così come Cristo e tutti gli altri apostoli. A nostro parere, questa conclusione non è ben fondata. Il numero “dodici” indubbiamente possedeva un significato simbolico. Si trova in molte religioni antiche, in particolare nell'ebraismo. Possiamo ricordare i dodici figli di Giacobbe e le dodici tribù degli israeliti. Tuttavia, un fatto non è in dubbio: un ruolo importante nella propagazione del cristianesimo in quei giorni fu giocato da predicatori itineranti che viaggiarono per tutta la regione mediterranea, cercarono convertiti e formarono comunità. Se tra loro ci furono persone provviste di “quelli stessi nomi” oppure se i nomi li vennero attribuiti in seguito per prestare loro autorità non è di grande importanza. Laddove non c'è nessuna prova diretta contro l'autenticità di un nome particolare, non ci sono motivi per non accettarla. Quanto a Paolo, probabilmente egli ha una pretesa migliore alla storicità rispetto ad ogni altro degli apostoli.

Quanto agli altri, il fatto che viene dato loro il ruolo di compagni e collaboratori di Cristo nei vangeli potrebbe ben farci dubitare se avessero o meno un'esistenza reale. Nel considerare Cristo una personalità mitica, in una certa misura noi stiamo considerando pure i suoi compagni delle personalità mitiche. Nel caso di Paolo, le cose sono leggermente diverse. Paolo “vide e ascoltò” Cristo solo in uno stato di estasi, che poteva significare che egli fu in uno stato di allucinazione. La personalità e l'attività di Paolo in fasi cruciali della sua esistenza sembrano abbastanza plausibili. Non ci sono ragioni per dubitare dell'esistenza di qualcuno che visse e predicò verso la fine del primo secolo e durante i primi decenni del secondo secolo, che egli fosse un fanatico e, allo stesso tempo, un seguace di talento della nuova religione e avesse non solo organizzato comunità religiose per tutta una vasta regione nel Mediterraneo ma anche sistematizzato i suoi dogmi. Il suo nome poteva essere Paolo, oppure Saul in ebraico. Ma questo non significa che tutti gli episodi della sua biografia come descritta negli Atti e nelle Epistole siano storicamente autentici. E neppure è impossibile che Paolo fosse l'autore delle epistole che egli inviò a comunità cristiane e ai loro capi.  


 NOTE

[73] A. Revill, Vie de Jesus, Parigi, 1897, pag. 200.

[74] Citato da N.V. Rumyantsev, Gesù Cristo È Esistito?, Mosca, 1937, pag. 9 (in russo).

[75] G. Boissier, La religion romaine d'August aux Antonius, Parigi, 1906, Volume 2, pag. 122-123.

[76] Ibid., Volume 1, pag. 262-263.

[77] Ibidem.

[78] Martin Brükner, Der sterbende und auferstehende Gottheiland in den orientalischen Religionen und ihr Verhältniss zum Christentum, Tubinga, 1908.

[79] K. Marx, F. Engels sulla Religione, pag. 173.

[80] Eça de Queirós, Una Reliquia, Porto, 1927, pag. 167.

[81] A. Robertson, op. cit., pag. 76-77 (edizione inglese).

[82] Arthur Drews, Die Leugnung der Geschichtlichkeit Jesu in Vergangenheit und Gegenwart, Karlsruhe, 1926, pag. 215-216.

[83] Opere di San Giustino, Filosofo e Martire, Mosca, 1892, pag. 28 (in russo).

[84] C.F. Volney, Les ruines ou meditations sur les revolutions des empires, Parigi, 1791; Charles Dupuis, Abrégé de l'Origine de tous les cultes ou la religion universelle, Parigi, 1794.

[85] Bruno Bauer, Kritik der evangelischen Geschichte der Sinoptiker und des Johannes, Volume III, Braunschweig, 1842.

[86] K. Marx, F. Engels sulla Religione, pag. 171.


[87] A. Hoekstra, De christologie van het canonische Marcusevangelie, Amsterdam 1871.  

[88] A. Pierson, De Bergrede en andere Fragmenten, Amsterdam, 1878.

[89] C. Naber, Nuculae, Amsterdam, 1888.

[90] G.A. Berg van Eysinga van den, Die hollandische radicale Kritik des Neuen Testaments, Jena, 1912.

[91] J. Robertson, Christianity and Mythology, Londra, 1900; The Jesus Problem, London, 1917; W.B. Smith, Ecce Deus, Jena, 1911.

[92] A. Kalthoff, Das Christusproblem, Jena, 1902; S. Lublinski, Die Entstehung des Christentums aus der antiken Kultur, Jena, 1910; Arthur Drews, Die Christusmythe, Jena, 1909; Arthur Drews, Die Entstehung des Christentums aus dem Gnostizismus, Jena, 1924; Arthur Drews, Das Marcusevangelium als Zeugnis gegen die Geschichtlichkeit Jesu, Jena, 1921; Arthur Drews, Der Sternhimmel in der Dichtung und Religion der alten Volker una des Christentums, Jena, 1923.

[93] V.I. Lenin, Opere Collezionate, Mosca, Volume 33, pag. 231.

[94] Arthur Drews, Negazione della Storicità di Cristo nel Passato e nel Presente, Mosca, 1930, pag. 105 (in una traduzione russa).

[95] A. Niemoyewski, Filosofia zycia Jeswza, Varsavia, 1925; P. L. Couchoud, Le mystère de Jésus, Parigi, 1924.

[96] N.M. Nikolsky, Gesù e le Prime Comunità Cristiane.

[97] R. Vipper, La Nascita del Cristianesimo, Mosca, 1918. Vipper è autore anche di due altre opere che trattano problemi del cristianesimo: L'Emergenza della Letteratura Cristiana, Mosca-Leningrado, 1946; Roma e il Cristianesimo Antico, Mosca, 1954 (tutto in russo).

[98] A. Niemoyewski, Gesù il Dio; A. Niemoyewski, La Filosofia della Vita di Gesù, Moscoa, 1923 (in russo).

[99] A. Drews, Il Mito di Cristo, Volumi 1-2; Arthur Drews, Gesù È Esistito?, Mosca, 1928 (in una traduzione russa).

[100] E. Moutier-Rousset, Cristo È Esistito?, Mosca, 1929 (in russo); P. L. Couchoud, Il Mistero di Gesù, Ryazan, 1923 (in russo); Eduard Hertlein, Cosa Sappiamo Circa Gesù?, Mosca, 1925 (in russo); Georg Brandes, Il Mito di Gesù, Mosca, 1920 (in russo); C.F. Volney, Rovine o Meditazioni sulle Rivoluzioni dell'Impero, Mosca, 1928 (in russo).

[101] Henri Barbusse, Gesù Contro Cristo, Mosca, 1928.

[102] A. Robertson, Le Origini del Cristianesimo, Mosca, 1956; seconda edizione, Mosca, 1959 (in russo).

[103] N.A. Morozov, Cristo, Volumi 1-7, Mosca, 1924-1930 (in russo).

[104] N.V. Rumyantsev, Il Cristo Pre-Cristiano, Mosca, 1926; N.V. Rumyantsev, La Morte e Resurrezione del Salvatore, Mosca, 1925; N.V. Rumyantsev, Gesù Cristo È Esistito?; A.B. Ranovich, op. cit.; S.I. Kovalev, Domande Basilari Circa le Origini del Cristianesimo, Mosca e Leningrado, 1964; Ya.A. Lentsman, Le Origini del Cristianesimo, Mosca, 1959 (tutto in russo).

[105] I.S. Sventsitskaya, Dalla Comunità alla Chiesa, Mosca, 1985 (in russo).

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