sabato 2 settembre 2017

Cristo: Mito o Realtà ? (XXIII)

(continua da qui)
Hans Küng sul Problema di Cristo
Padre Hans Küng è una figura degna di nota nel campo della teologia cattolica. All'età di trentacinque anni gli fu chiesto dal pontefice Giovanni XXIII di partecipare all'opera del Concilio Ecumenico del Vaticano Secondo come esperto e consulente personale del pontefice in materia teologica. Dopo il Concilio Küng ha pubblicato parecchi libri voluminosi. Nelle sue concezioni teologiche Küng, un prete cattolico e professore presso la ben nota Università di Tubinga, è abbastanza coerente: chiede un rinnovamento radicale di entrambe la dottrina teologica del cattolicesimo e l'organizzazione cella Chiesa. A causa delle sue visioni non ortodosse a Küng venne proibito dal Vaticano, sotto il Papa Giovanni Paolo II, l'insegnamento della teologia all'università di Tubinga.
 
In un'indagine sulla storia del cristianesimo (nel suo libro Christ sein) Küng vi ritrova un gran numero di diversi fenomeni religiosi, socio-politici ed ideologici: “Secoli di minuscole comunità seguite da secoli di vaste organizzazioni. I perseguitati divennero i dominatori e viceversa. La chiesa sotterranea diventò la chiesa di stato; dopo i martiri sotto Nerone subentrarono i vescovi di corte sotto Costantino. Periodi di amicizia tra monaci e studiosi si alternarono a periodi di ostilità tra loro — quelli furono i politici ecclesiastici.... Secoli di sinodi papali e secoli di concili riformisti intesi contro il Papato. L'età d'oro di umanisti cristiani come persone secolarizzate del Rinascimento e riformatori dell'ortodossia ecclesiastica. Secoli di ortodossia cattolica e protestante e secoli di risveglio evangelico. Un tempo di adattamento e un tempo di resistenza. Secoli di innovazione e secoli di restaurazione, di dubbio e di speranza ....” [28] Come dovremmo trovare le nostre conclusioni in questo caleidoscopio di eventi nella storia di 2000 anni della Chiesa? Qual è la cosa più importante, il suo fattore determinante?

 
Fino a poco tempo fa, come ha mostrato la nostra discussione in materia, non esiste una risposta chiara a questa domanda sia negli insegnamenti della Chiesa che nella letteratura teologica. Ora una risposta è data nel libro di Küng.

 
Il fattore decisivo nel cristianesimo è la personalità di Gesù Cristo e nient'altro. Abbiamo solo bisogno di spiegare in cosa consiste quest'immagine e sapremo cosa significa essere cristiani. Ma questo si rivela essere un compito difficile, se non impossibile.

 
Küng prende in considerazione con attenzione tutte le possibili soluzioni alla questione dell'immagine di Gesù. Dovremmo considerare Cristo come pietà personificata? Come un dogma personificato? Come lo avrebbero immaginato
sognatori oppure uomini di lettere ? Vi sono innumerevoli varianti di quelle immagini; perfino l'immagine canonica è così varia che diventa estremamente vaga. Apparentemente è più facile dire che cosa Cristo non fu piuttosto che dire che cosa egli fu. E Küng dimostra di essere un maestro della definizione negativa. Così, Gesù non fu né un prete, un teologo, un rivoluzionario, un monaco, un membro di un ordine, un asceta, né un avvocato; non si ritirò dal mondo, né divise il mondo in due parti come facevano i qumraniti; non riconosceva l'ordine gerarchico. Küng nega fortemente che Cristo avesse avuto qualche interesse nella rivoluzione sociale. È vero, Cristo aspettò l'imminente fine del mondo, ma non considerò mai possibile che il mondo sarebbe stato distrutto con mezzi umani. Egli “predicò una rivoluzione di non-violenza”, e come suo parallelo si può considerare, non Che Guevara o Camillo Torres, ma Gandhi e Martin Luther King (pag. 181-182). A questo punto il lettore si aspetta che Küng dica finalmente  chi fosse Cristo. Ma no, Küng continua nella sua vena precedente: “Cristo non fu né un filosofo né un politico, nè un prete nè un riformatore sociale. Fu un genio, un eroe, un santo o un riformatore? Ma non fu il più radicale dei riformatori?” (pag. 198-199). Egli fu più morale dei moralisti, più rivoluzionaro dei rivoluzionari. “Una cosa è chiara: Gesù fu qualcos'altro! ... Egli non poteva essere paragonato a nulla, allora come ora” (pag. 203).
 

È impossibile estrarre qualcosa da tutto questo che aiuti a risolvere la questione di cosa significa essere cristiani. Lo stesso Küng se ne rende conto: “Tutto quello che è stato detto finora delinea l'immagine di Gesù più in un modo negativo” (pag. 205). Nel prossimo capitolo del suo libro Küng si rivolge al problema di come definire l'essenza, il centro (die Mitte), dell'insegnamento di Cristo.
 
Questo “centro” è la predizione di Cristo circa l'imminente Regno di Dio. Non è chiaro se questo regno sarà stabilito in cielo o sulla terra. Ad ogni misura, “non è un territorio oppure un dominio della legge . . . esso è il potere di Dio” (pag. 205). Ricorrendo ancora una volta alla definizione negativa, Küng dice che cosa il Regno di Dio non è. “Non è una sovranità temporanea che Dio all'inizio della creazione fornì ai sacerdoti di Gerusalemme.... Non è una teocrazia politico-religiosa oppure una democrazia creata da rivoluzionari zeloti con mezzi violenti.... Non è un tribunale di vendetta a favore di un'elitè di persone perfette come gli esseni e i monaci qumraniti...” e così via. Ciascuna di quelle formule contiene un'antitesi positiva,  ma non si dice nulla di ben definito. L'intero punto sembra essere circa  “il Regno di Dio veniente alla fine del tempo”. Ancora non è chiaro se questo regno sarà nel cielo o sulla terra. In ogni caso, in questo regno, la sovranità di Dio sarà diretta, illimitata e universale (pag 206). Questa è una dichiarazione piuttosto enigmatica, poichè nessuna religione ha mai posto limiti alla sovranità di Dio nel mondo. Altri punti “positivi” menzionati da Küng sono altrettanto privi di sostanza: “La gioiosa annunciazione di un bene illimitato e della infinita misericordia di Dio. Un regno dove, grazie alla preghiera di Gesù Cristo, il nome di Dio sarà veramente santificato, la sua volontà sarà davvero manifestata anche sulla terra, la gente sarà pienamente ricompensata secondo il proprio merito, tutte le mancanze perdonate e tutto il male superato...” (pag. 206). 


E da ultimo in questo deserto verbale appare un'oasi di contenuto sociale: “Un regno dove, secondo le promesse di Gesù, i poveri, gli affamati, i sofferenti e gli oppressi saranno finalmente soddisfatti, dove le sofferenze e la morte scompariranno” (pag. 206). Tuttavia Küng non dice in quale modo concreto gli affamati e oppressi saranno soddisfatti. Così l'oasi si rivela un miraggio. 
 
Küng stesso si rende conto che la sua descrizione del Regno di Dio non è molto intelligibile. Mentre si lancia in un'altra discussione di concetti astratti (“giustizia completa, libertà senza limiti, amore indistruttibile, conciliazione universale,  pace eterna”) ammette che “il concetto non può essere descritto, ma solo rappresentato in immagini”. E le immagini sono: “Una nuova unione, messe che sta arrivando, un raccolto maturo, un grande banchetto, una festa regale” (pag. 206). Qui il confine tra il positivo e il negativo svanisce, perché né l'uno né l'altro hanno qualche significato reale. 

 
L'interrogativo più difficile per Küng è quando potremo aspettare che appaia questo desiderabile, seppure alquanto misterioso, Regno di Dio. All'inizio abbiamo una risposta laconica ed enigmatica: “Nel futuro assoluto” (pag. 208). In altre parole, può trascorrere un tempo indefinito prima che il Regno di Dio sarà stabilito. Ma Gesù aveva predetto che si sarebbe stabilito durante il tempo della sua generazione. Questa previsione non si rivelò vera ed è rimasta incompiuta per tutti i duemila anni successivi.   Gesù si era sbagliato? Con sorprendente franchezza Küng ammette che la situazione era una situazione confusa, ma poi procede subito in una discussione di argomenti astratti da cui si potrebbe capire che i pii cristiani non hanno niente da temere. Errare è umano e “se Gesù di Nazareth fu davvero un essere umano, egli poteva anche compiere errori”. Ciò è seguito da attacchi a quei teologi che “hanno più paura degli errori che del peccato, della morte e del Diavolo” (pag. 208).

 
Ancora, è necessario nascondere il fatto che il fondatore del cristianesimo potesse commettere errori. Küng comincia una lunga discussione casistica se il concetto di “errore” sia applicabile in questo caso. Poiché il soggetto qui riguarda una “conoscenza cosmica”, e un errore di questo livello non dovrebbe essere considerato un errore ordinario. Il nostro pianeta e l'umanità ebbero un inizio, che è confermato dalla scienza, e così loro devono avere una fine che senza dubbio è legata alla venuta del Regno di Dio. E se è così, “il concetto di ʻerroreʼ è indifferenziato e semplicemente inapplicabile in questo contesto” (pag. 209). Ciò è come dire che il nero può dirsi bianco, e viceversa. 

 
Così, a prescindere dal fatto che Cristo si sbagliò sul tempo in cui il Regno di Dio sarebbe venuto, il fatto importante è che esso infine verrà. Questo apparentemente significa che il male, la causa di così tante sofferenze nel mondo, scomparirà. Qui ci troviamo di fronte a un problema che era sempre stato una pietra d'inciampo per i teologi, e impedisce anche a Küng di completare la sua costruzione teologica. Il fatto che c'è sofferenza nel mondo è incompatibile con la dottrina che questo mondo fu creato da un Dio perfetto e che i peccati dell'uomo sono stati espiati e la gente salvata a seguito dell'avvento di Gesù Cristo. Ora, duemila anni dopo, la vita è diventata meno dura? Küng ammette che non lo è. 

 
“Dal tempo di Giobbe al nostro giorno” l'uomo ha chiesto: perchè soffro? È una questione che getta un dubbio sull'intera dottrina circa Dio e il suo disegno e anche sul tema della redenzione dell'uomo mediante la sofferenza di Gesù Cristo. Küng ha descritto accuratamente e acutamente la condizione dell'umanità: l'uomo “grida al cielo” — no, egli grida contro il cielo!” (pag. 419). 

 
Le cose arrivano ad un punto tale dove le persone hanno deciso che devono prendere il proprio futuro nelle proprie mani. Invece di affidarsi ad un Dio Salvatore, essi devono diventare i loro stessi salvatori e liberatori; l'uomo, non Dio, dovrebbe diventare il soggetto della storia. A Küng non piace questo. Per lui, nessuna rivoluzione tecnologica o socio-politica può salvare l'umanità. Nel suo libro dedica tantissime pagine (pag. 28-47) alla spiegazione dell'idea (che tuttavia fallisce di sostenere con argomentazioni convincenti) che sia futile per la gente cercare di porre fine ai mali sociali e agli altri. 

 
Chi dovrebbe, allora, salvare l'umanità? Secondo il dogma cristiano, è la volontà di Dio che Cristo dovesse fare questo assumendo una forma umana e sacrificandosi. Ma come accadde questo? Su questo punto Küng nutre considerevoli dubbi. 

 
Prima di tutto, non è chiaro perché questo sarebbe necessario. Küng ammette che è alquanto strano che le conseguenze del peccato originale dovrebbero essere eliminate tramite il sacrificio di Gesù. Sant'Agostino e papa Gregorio Magno considerarono la morte di Gesù il prezzo che Dio Padre pagò al Diavolo. Sant'Anselmo di Canterbury lo pose in forma giuridica: dal momento che è stato commesso un crimine, una pena deve seguire. Ciò funzionerebbe nella misura in cui sono interessati concetti giuridici antichi e medievali.  Ma allora cosa succede dell'amore, della misericordia e così via di cui si è parlato nei vangeli? Ciò che abbiamo qui non è la rivelazione di una verità divina, ma un riflesso del fatto che le idee di una persona sono storicamente limitate dall'epoca nella quale vivono. E noi viviamo in un'epoca diversa! Risulta che i cristiani del nostro tempo, secondo Küng, non sono obbligati a credere in questo. 

 
Tuttavia Küng insiste sul fatto che Gesù visse e che il rimedio della dottrina cristiana debba ricercarsi nella personalità di Cristo e nella sua predicazione. Ma a prescindere dal modo in cui dobbiamo trattare l'aspetto fattuale della questione — Küng stesso dice ripetutamente che l'aspetto fattuale significa poco per lui — il credente moderno vorbebbe sapere cosa accadde esattamente all'oggetto del suo culto.  


NOTE

[28] H. Küng, Christ sein, Monaco, 1974, pag. 113. Inoltre riferimenti e citazioni del libro di Küng sono indicati con numeri di pagina date in parentesi.

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