domenica 28 gennaio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del MitoNota introduttiva

Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?


(Kent Murphy)


Lo sforzo di minimizzare o eliminare la natura violenta del sacrificio espiatorio di Gesù, specialmente da sedicenti pacifisti cristiani, fa parte di un'agenda teologica, e non qualcosa che si possa mostrare su basi storiche o linguistiche. Perfino se non si accetta la visione di Anselmo della ragione per cui un uomo-dio doveva essere sacrificato, è chiaro che il Nuovo Testamento è saldamente all'interno di quelle tradizioni del Vicino Oriente che vedevano il sacrificio come un metodo per scongiurare l'ira divina o per ottenere un favore dalla divinità.
(Hector Avalos, The Bad Jesus, Sheffield Phoenix Press, 2015, pag. 149, mia libera traduzione)
Nei tempi primitivi la paura dell'ignoto era normale; la gratitudine ad un ignoto era impossibile.
(J. M. Robertson)


Mentre i moderni crociati del 21° secolo dell'Era Comune, ovvero i folli apologeti cristiani, predicano inutilmente alle masse che Gesù (che fu chiamato Cristo) fu un reale personaggio storico crocifisso in Giudea per ordine di Ponzio Pilato, nessuno afferma seriamente che Adone, Attis e Osiride fossero personaggi storici. Allo stesso modo, Mitra, il cui culto rivaleggiò col cristianesimo in tutto l'Impero romano, e Huitzilopochtli e Quetzalcoatl, le antiche divinità azteche, sembrano ovviamente mitologici. Perché, quindi, si fa un'eccezione solo al presunto fondatore del cristianesimo? Non può essere perché gli eventi miracolosi associati ai “cristi pagani” siano incredibili; in realtà non lo sono più di quanto lo siano le storielle evangeliche. Il fatto che le religioni degli antichi egizi, greci e aztechi non abbiano seguaci oggi non smentisce le loro affermazioni. Una storia può essere vera anche se nessuno ci crede. Infine, non si può sostenere che il cristianesimo ha introdotto un nuovo messaggio etico, e neppure, come corollario, che tale messaggio abbia recato il marchio di un singolare genio religioso, dal momento che, alla luce della cattiveria intrinseca del Gesù di carta, questa è l'ennesima menzogna apologetica montata ad arte dai tendenziosi propagandisti del culto.

 Per affrontare queste obiezioni e stabilire un caso a favore della tesi che Gesù fu mitologico al pari di Attis ed Osiride, è necessario dimostrare che tutti gli dèi salvifici, di tutto il mondo, condividono tratti comuni a causa di antecedenti comuni. Il punto del miticista J. M. Robertson non è che tutte queste sette abbiano avuto origine in un centro dal quale si dispersero, ma che tutte si siano evolute dallo stesso tipo di rituale primitivo: il sacrificio umano.

In Giappone, si diceva che sacrificare una donna in un fiume impetuoso avrebbe placato lo spirito che vi viveva, consentendo la costruzione di ponti e il passaggio sicuro delle barche. Nel mito greco, il re guerriero Agamennone decide di uccidere sua figlia in cambio di un vento favorevole sulla rotta per Troia. Gli egizi seppellirono alcuni loro faraoni con dozzine di servitori, assicurandosi che i loro bisogni fossero ancora soddisfatti nell'aldilà. Le grandi civiltà pre-colombiane d'America sacrificavano migliaia di esseri umani ai loro dèi.

Gli antichi avrebbero potuto ucciderti in un milione di modi diversi e darti un milione di motivi diversi per cui era necessario farlo. In gran parte del mondo pre-moderno, il sacrificio rituale era considerato necessario per il bene della società in generale ― l'unico modo per garantire, per esempio, un raccolto abbondante o un successo in guerra.

Oppure per ottenere la purificazione dei peccati.




Ma chi era J. M. Robertson?

John Mackinnon Robertson nacque nell'Isola di Arran il 14 novembre 1856 e morì nel 1933. Lasciò la scuola all'età di tredici anni e in seguito si istruì completamente. Nonostante i primi handicap, la sua indomabile volontà e la sua energia gli permisero di padroneggiare completamente sei lingue e acquisire l'erudizione che lo qualificò per competere alla pari con i principali studiosi dell'epoca. Non solo era riconosciuto come un'autorità nel campo della religione comparativa, ma era anche un critico originale di Shakespeare.
Egli fu anche un parlamentare politico liberale.

Robertson era talmente provvisto di oscure conoscenze che il puro peso dell'erudizione a volte rischia di eclissare la sua tesi finale eccetto per coloro la cui cultura è altrettanto profonda — e sono pochi.

Il fatto che dalla morte di Robertson il miticismo sia stato considerato fuori moda è dovuto ovviamente alla crescente infestazione dell'accademia da parte dei dementi teologi e folli apologeti cristiani sotto mentite spoglie di storici, come costui.

La vasta erudizione ostentata da Robertson nei suoi libri era necessaria quando ha avanzato la sua teoria per la considerazione degli studiosi suoi contemporanei; ma per il lettore non specialista la complessità dell'argomento e l'abbondanza di dettagli distraggono indubbiamente l'attenzione dal profilo essenziale della tesi mitica.


 Io mi sono limitato pertanto a tradurre solo il suo libro dove espone meglio la sua ricostruzione delle Origini, ovvero “Il problema Gesù”, la cui funzione di sintesi per sua stessa ammissione, è “a vantaggio della stessa teoria non meno che a beneficio di quei lettori che auspicano una dichiarazione condensata” (pag. 2).

La teoria di J. M. Robertson è che Gesù non sia mai vissuto, né avrebbe potuto vivere, come persona storica. Lui non era nato, non lavorò, non soffrì, non incontrò e superò ostacoli e tentazioni reali, e neppure morì. Era una figura ideale. Gesù deriva presumibilmente  dalla stessa radice di Giosuè ― il suo significato è “Salvatore”, “Liberatore” e “Guaritore”. Gesù è semplicemente una riapparizione di Giosuè, che fu in origine la personificazione deificata del concetto di salvezza degli ebrei. Il suo era il nome di un dio “che era adorato in certi ambienti della Dispora ebraica e per il quale venne inventata una storia umana e simbolica—un mito religioso rivestito di leggende”. (The Historical Jesus, Prefazione XV)

Questo presupposto dà adito ad un problema: come dobbiamo spiegare l'origine del cristianesimo se non ci fosse stato un reale personaggio storico a dargli slancio? Per Robertson, l'origine del cristianesimo non era nei tempi indicati nel vangelo, ma nell'era pre-cristiana. Il cristianesimo fu probabilmente il culmine di un'evoluzione all'interno dell'ebraismo.

Robertson sostiene che non ci sono valide prove storiche dell'esistenza di Gesù in carne e ossa. Tutti i riferimenti extra-biblici a Gesù sono soltanto interpolazioni posteriori. Nelle lettere autentiche e non interpolate di Paolo emerge la conoscenza soltanto di un Cristo spirituale. I vangeli sinottici sono solo una collezione di leggende successive, mera propaganda a supporto del mito.

Esistevano molte sette segrete esistenti prima dell'inizio dell'era cristiana. Tra questi parecchi culti segreti figurava un culto pre-cristiano di Gesù.

Le idee e le pratiche di questo culto particolare, a cui più tardi venne data forma negli scritti del Nuovo Testamento, sono copiate da antiche religioni e miti pagani.  Quindi l'origine del cristianesimo risale ad un culto segreto ebraico che probabilmente era concentrato a Gerusalemme. La sua ricostruzione essenziale si trova in una citazione del suo libro Pagan Christs:
“Emerge all'inizio dell'era cristiana un culto associato al nome quasi storico di Gesù, che potrebbe connettersi a un personaggio storico reale, una figura elusiva di un Gesù che sembra essere stato messo a morte per lapidazione e impiccato circa un secolo prima della morte di Erode. D'altra parte, il nome di Gesù nelle sue forme ebraiche e aramaiche aveva probabilmente un antico status divino, essendo portato dal mitico liberatore Giosuè e di nuovo dal quasi-messianico Sommo Sacerdote del Ritorno. Era quindi adatto sotto tutti gli aspetti per essere il nome di un nuovo Semidio che doveva combinare in sé le due qualità del Messia-Liberatore-Incarnato e del Dio sacrificale dei culti più popolari del mondo greco-romano, egiziano, e asiatico occidentale”.
(J. M. Robertson, Pagan Christs, pag. 91, mia libera traduzione)

Vorrei ricordare Robertson in questo blog soprattutto per la sua tesi principale, ossia che la religione attuale si sia evoluta da idee primitive e rituali selvaggi, in primis il sacrificio umano e il cannibalismo.

Lungi dal costituire un'eccezione, in realtà il cristianesimo è un esempio evidente di un'evoluzione del genere. Infatti, esso rappresentò in origine:
...un culto sacramentale semitico primitivo, il cui sacramento è incentrato in un Dio-Salvatore ucciso, un Gesù, che si è assimilato ad un'astrazione della vittima sacrificatagli annualmente ― come nel caso dei culti di Adone ed Attis, entrambi a loro volta asiatici. Del rito sacrificale, che nel culto storico è rappresentato nell'Ultima Cena e nella storia drammatizzata della Passione, la memoria fu preservata in particolare tramite un rito ebraico di un Gesù Barabba, Gesù il Figlio del Padre, in cui una vittima passa attraverso una finta incoronazione, finendo infine, forse, in una finta esecuzione, dove una volta vi era stato un reale sacrificio umano.
(Il Problema Gesù, pag. 202, mia libera traduzione)

Secondo Robertson, le storiella evangeliche dell'Ultima Cena, l'Agonia al Getsemani, il Tradimento, la Crocifissione e la Resurrezione costituivano tutte parte di un dramma misterico che finì per essere accettato come resoconto di fatti reali. L'origine di questo dramma rituale è un antico rito palestinese in cui una vittima annuale, conosciuta come “Gesù (Giosuè), il Figlio del Padre”, veniva realmente sacrificata.

Le rappresentazioni della passione costituivano un aspetto comune della religione popolare di Grecia ed Egitto. Al pari di Cristo, divinità pagane come Adone, Attis, Osiride e Dioniso erano uccise durante un rituale periodico, per poi risorgere in trionfo. La tesi di Robertson è che la finzione del dramma costituisce un'evoluzione della realtà più primitiva e selvaggia del sacrificio umano. Nel libro Pagan Christs egli raccoglie una quantità impressionante di prove che mostrano come l'evoluzione delle idee e delle pratiche religiose segue un modello simile in tutto il mondo.

Sappiamo che in Messico e in Perù il sacrificio umano su vasta scala era praticato nel sedicesimo secolo dell'Era Comune. Nel mondo greco-romano, tuttavia, si era praticamente estinto all'inizio della nostra era. Che un tempo fosse prevalente in Medio Oriente, Giudea compresa, è abbastanza certo, e la favola di Abramo e Isacco riflette sicuramente la pratica del sacrificio umano da parte degli antichi ebrei.

Lo schema generale dei rituali sacrificali fino al tempo del cristianesimo si può descrivere come segue.

 Tutte le vittime, animali o umani, erano uccise e poi mangiate. Oltre alle offerte agli dèi c'erano due tipi di sacrificio:

(1) Sacrifici totemici, in cui la vittima veniva divorata o nei panni del dio oppure come un modo per unirsi con l'antenato divino oppure come una specie totemica.

(2) Sacrifici umani, che in genere coinvolgono prigionieri di guerra, che venivano mangiati come offerte di ringraziamento per la vittoria, oppure come offerte di espiazione, come incantesimi di vegetazione, o per servire allo scopo di santificare nuovi santuari.

In una fase successiva troviamo l'idea del pasto sacramentale benedetto da un'apposita casta sacerdotale. Quando ciò richiede il sacrificio umano, la vittima

(a) rappresenta il dio,
(b) è un re o il figlio di un re,
(c) è un primogenito o un figlio unico.

Tra le antiche popolazioni semitiche il re, in un momento di pericolo nazionale, a volte diede il proprio figlio per morire come un sacrificio per il popolo. Così Filone Erennio, nella sua Storia fenicia, dice:
“Era una usanza antica in crisi di grande pericolo che il regnante della città o nazione dovesse dare il suo amato figlio per morire per tutto il popolo, come un riscatto offerto ai demoni vendicatori; e i bambini offerti così venivano uccisi con riti mistici. Così Crono, che i Fenici chiamavano Israele, essendo re del territorio ed avendo un figlio unico Jeoud (poiché nel linguaggio fenicio Jeoud significa ‘unico-genito’), lo vestì in abiti regali e lo sacrificò su un altare in un periodo di guerra, quando il paese era in grande pericolo da parte del nemico”. 

Man mano che la civiltà progredisce, il sacrificio del figlio del re viene modificato col sacrificio di chi lo sostituisce, un criminale o un animale. Il cannibalismo nella sua fase più antica, costituito dal consumo collettivo della vittima, diede origine, a poco a poco, alla comunione simbolica a base di pane e vino. Riti paralleli all'eucarestia cristiana si trovano nel culto di Mitra e Dioniso e delle antiche divinità azteche.

Da queste origini primitive l'utilizzo di sostituti è un passo naturale verso società più civilizzate. Poi sono gli animali a prendere il posto della vittima umana, e quando anche i sacrifici di animali diventano discutibili il rito antico viene compiuto simbolicamente. Ora c'è un dramma misterico, per esempio, in cui un attore impersona un dio ucciso ingiustamente. Con l'ulteriore espansione del potere sacerdotale si forma un rituale ufficiale e quella che una volta era una festa cannibalistica si evolve e si raffina in una comunione simbolica, dove il pane e il vino vengono sostituiti a carne e sangue reali.

Da questo punto di vista, Il cristianesimo non è affatto unico. Nel culto di Dioniso la comunione con il dio è attuata per mezzo del vino. Nel culto di Mitra la comunione è compiuta tramite pane e  acqua, e i primi folli apologeti cristiani furono così scioccati dalla sua somiglianza con la Cena del loro Signore che la descrissero come un'invenzione di Satana per ingannare i fedeli. Nelle parole schiumanti di rabbia del folle apologeta cristiano Firmico Materno:
HABET ERGO DIABOLUS CHRISTOS SUOS.
 (De errore profanarum religionum 22.3)

C'erano altri, sorprendenti paralleli connessi ancor più chiaramente a un passato selvaggio e primitivo. La salvezza e la vita eterna erano conferite ai seguaci di Mitra mediante il battesimo con il sangue di un toro o di un ariete, da cui la derivazione dell'irrazionale frase cristiana “lavato nel sangue dell'agnello” e dell'altrettanto irrazionale invocazione “agnus dei qui tollis peccata mundi”.

La stretta connessione del rito centrale della Chiesa cristiana con riti simili, i quali costituiscono a loro volta raffinamenti di una consuetudine ancestrale del sacrificio umano, non elimina la possibilità di un Gesù storico però la mette seriamente in dubbio. Tutta questa consapevolezza richiede di diritto un riesame della storiella evangelica alla luce di ciò che si sa della religione antica.

Dopotutto, se piuttosto spesso nell'era pre-cristiana il sacrificio rituale dava origine ad una recita della Passione, non è forse possibile che la narrazione evangelica non sia a sua volta non “Storia ricordata” bensì la sceneggiatura di un dramma? Tale ipotesi si può verificare facilmente. Riceverebbe conferma se alcuni dettagli della storiella evangelica si possano spiegare una volta messi in parallelo con le procedure del sacrificio umano primitivo. 

Uno di quei dettagli, per Robertson, è il nome completo del fittizio personaggio di Barabba: Gesù Barabba”, come recita uno dei più antichi manoscritti del vangelo di Matteo (27:16), lettura attestata già dal folle apologeta cristiano Origene.

Robertson suggerì che la storiella del Nuovo Testamento sullo scambio di Gesù con Barabba (che significa "figlio del padre") derivò dalla tensione tra nuovi e vecchi settari dell'antico culto di un dio Gesù, o Giosuè.

In accordo con la convenzione primitiva che identificava la vittima con il dio, Giosuè “Figlio del Padre” sarebbe diventato lo stile e il titolo del dio stesso, e sarebbe rimasto tale quando il sacrificio fu interrotto. Quando la storiella della crocifissione di Gesù fu fatta circolare per la prima volta in un dramma sacro, gli ebrei fecero notare che si trattava semplicemente di un rifacimento dell'antico e, agli occhi degli ebrei, deplorevole mito di “Giosuè figlio del Padre” ―  alias “Gesù Barabba”. Per respingere questa denuncia, i cristiani inserirono nei vangeli una storiella che mostrava che il loro Gesù e “Gesù Barabba” erano due diversi personaggi, e che in realtà furono gli stessi ebrei ad aver salvato Barabba e mandato a morte al suo posto il vero Messia.

Ci sono molti esempi nelle religioni antiche della deificazione della vittima umana del sacrificio rituale durante il suo stesso processo. Un esempio che fortunatamente è passato sotto gli occhi di un osservatore scientifico si è verificato fino alla metà del diciannovesimo secolo nella provincia indiana dell'Orissa. Presso una tribù primitiva locale, quella dei Khondi, il sacrificio rituale prevedeva addirittura una crocifissione (!), l'offerta da bere alla vittima (!!), e la formula che la vittima fosse stata “comprata pagando un prezzo” (!!!). 

La finta incoronazione di Cristo ricorda anche la festa babilonese delle Sacee. In tutti i casi in cui era difficile da procurarsi una vittima annuale, c'era l'esca di un lusso illimitato e di una completa e assoluta libertà per l'intero intervallo di un anno. Alla fine di questo periodo, in Asia come in Messico, la vittima doveva essere derisa prima di essere uccisa. Costituiva una pratica comune anche l'offerta di un narcotico per alleviare il dolore durante l'esecuzione.

Per tutto l'Egitto e il Medio Oriente è un fatto indiscutibile l'esecuzione di drammi misterici che mettevano in scena un sacrificio rituale. Gli egizi recitavano la morte di Osiride. Si usavano le effigi di Adone e Attis nelle rappresentazioni della loro morte e resurrezione. Così anche per la sepoltura di Mitra e la sua resurrezione trionfante dalla tomba. Non sarebbe affatto sorprendente se l'originario mito cristiano non fosse stato a sua volta drammatizzato. Paolo, in Galati (3:1) sembra riferirsi alla personificazione di Cristo crocifisso. Una prova che la storiella della Cena, della Passione, del Tradimento, del Processo e della Crocifissione è basata su un dramma è data dalla compressione degli eventi per ragioni ovviamente drammaturgiche. Una prova evidente è la preghiera messa in bocca a Gesù quando nessuno avrebbe potuto udirla, visto che i vangeli stessi dichiarano che gli unici presenti (i suoi idioti discepoli) erano addormentati.  Solo nella trascrizione di un dramma sacro avrebbero potuto sorgere incongruenze del genere.

Nel caso del mitraismo e del cristianesimo, la memoria di questo culto primitivo e barbarico fu perduta, ma le vestigia residue possono essere riconosciute sotto la superficie simbolica del dramma religioso. Quello che un tempo era la consumazione letterale di una presunta vittima divina diventò la comunione con il dio in un rito simbolico. Coloro che parteciparono devotamente alla rappresentazione drammatica della morte e della resurrezione del dio, nonché alla sua consumazione , divennero persuasi che Mitra o Cristo fossero personaggi reali. Al pari di molti altri dèi salvatori, si trattava di personificazioni emerse da un rito.

A quel punto, il mito avrebbe solo potuto crescere, non diminuire. E avrebbe potuto farlo soltanto istanziandosi inevitabilmente nei mille rivoli di fittizie leggende e dicerie finalizzate a “spiegarlo” in un'evemeristica maniera, ovvero rifornendo deliberatamente il dio di un'intera Non-Vita sulla Terra, con tanto di madre umana, padre putativo e fratelli e sorelle, nonché di discepoli, cospiratori ebrei e carnefici romani. Ma per quel tempo, la fede nell'esistenza letterale del dio era già stata assicurata.
 IL PROBLEMA GESÙ
 UNA RIAFFERMAZIONE DELLA TEORIA DEL MITO
DI
J. M. ROBERTSON

Londra: 
Watts & Co. 
17 JOHNSON'S COURT, FLEET STREET, E.G. 4
1917


NOTA INTRODUTTIVA

La maggior parte delle proposizioni in mitologia e antropologia contenute in questo libro sono basate su elementi di prova dati nelle opere più grandi dell'autore. È sembrato giusto, perciò, riferirsi a quelle opere invece di ripetere centinaia di riferimenti là indicati. Lettori interessati alle questioni sono quindi invitate e abilitate a farlo. Per brevità, Christianity and Mythology  è citato come C.M. ; Pagan Christs come P.C. ; e le  Short Histories  del cristianesimo e del libero pensiero come S.H.C. e S.H.F., rispettivamente. Nei primi tre casi i riferimenti sono alle seconde edizioni; nell'ultimo caso, al terzo. The Evolution of States è citato come E.S. Un altro lavoro spesso riferito è il grande dizionario di Sir J. G. Frazer, The Golden Bough, che è citato come G.B., i riferimenti sono alla scorsa edizione. Altri nuovi riferimenti sono dati nel solito modo. L'Ecce Deus del professor W. B. Smith è citato nell'edizione inglese. I passaggi tra parentesi, non in grassetto, possono essere trascurati ad una prima lettura da parte dei lettori interessati principalmente a seguire la teoria costruttiva. Tali passaggi trattano polemicamente di contro-polemica.

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