lunedì 2 giugno 2014

Dello spirito della comunità

Se solo dovessi restringermi a cercare tracce di un Gesù storico nelle epistole paoline, sarebbe impossibile davvero scrivere una sua biografia. Il Gesù di Paolo ha molto meno personalità del Gesù dei vangeli, perfino del vangelo di Giovanni. È lo Spirito, il Figlio di Dio rivelato all'apostolo, il Secondo Adamo, il capo del suo corpo che è la chiesa. Ciò che troviamo di ''storico'' a suo riguardo sono solo riferimenti qua e là alla sua morte e risurrezione. Ma la morte del Cristo delle epistole non è il termine naturale di una vita umana: è qualcosa di metafisico, un dramma accaduto tra cielo e terra. La risurrezione è totalmente isolata da uno sfondo terrestre. Persino quando ne sono testimoni 500 ''fratelli'' in una sola volta. In che modo si deve pensare alla natura delle rivelazioni del Cristo? Come incidenti che accompagnano spesso le esperienze estatiche dei membri della comunità?
Dovunque troviamo nelle epistole paoline detti e precetti indicati quali ''parole del Signore'' o ''ricevute dal Signore'' come le disposizioni in materia di Eucarestia (1 Corinzi 11) o in tema di matrimonio (1 Corinzi 7), si tratta di regole canoniche delle quali non esiste alcun parallelo nelle parole di Gesù nei vangeli, e che nella stragrande maggioranza dei casi addirittura divergono totalmente dai detti di Gesù ''ricordati'' nei vangeli. Mentre invece generali esortazioni etiche, il comandamento dell'amore, l'amore del proprio nemico, evitare conflitti e l'eccessiva cupidigia, ecc. non sono basate per nulla sulle parole di Gesù ma indotte dalla coscienza personale dell'autore delle epistole. Quindi esattamente quelle idee che il cristianesimo attuale si fa in quattro per trattenere come estremamente caratteristiche della migliore essenza del Gesù storico più utile alla sopravvivenza dello spirito cristiano nei secoli, ebbene proprio quelle idee, lungi dall'essere trovate nel territorio di un Gesù storico, sembrano nelle epistole di Paolo totalmente indipendenti e avulse da un Gesù storico, per essere molto più probabilmente il semplice frutto della coscienza morale degli apostoli. E al contrario le regole della vita cristiana comunitaria, considerate dai folli apologeti mere espansioni successive, sono eplicitamente citate come comandi del Signore a pieno titolo. Il Gesù delle epistole paoline, lontano dall'essere testimoniato dalla Storia dai folli apologeti, è piuttosto un vivente atto d'accusa contro i folli apologeti stessi. Contro la loro ostinata fiducia nella storicità dell'entità ''Gesù di Nazaret''.

Circa due secoli or sono si pubblicò un articolo su una rivista tedesca (non saprei dire se scientifica o meno, come si accorgerà il lettore) per fornire una spiegazione dell'origine del cristianesimo da un punto di vista il più possibile razionalistico. Così esordiva l'articolo:
Io chiederei ai lettori che non sono familiari con il lavoro dello storico di formare uno scenario del nostro tempo analogo a quello dell'origine del cristianesimo. Ne verrebbe fuori qualcosa del genere:

«Nella prussiana ''Galilea dei Gentili (si veda Matteo 4:15 con Giovanni 1:46; 7:41, 52), nel bellissimo distretto vicino Stalluponen, dove il lupo e la volpe ancora campano, nel notorio luogo in cui ufficiali affetti di liberalismo venivano esiliati durante la ribellione di cinquanta anni fa, ipotizzeremo che esisteva un piccolo carpentiere che si meritava una magra esistenza mediante la fabbricazione di baracche per agricoltori e artigiani. Suo figlio, uomo di forte percezione religiosa, è stimolato da un più anziano cugino, che predica ravvedimento tra il popolo pio, a riflettere sulla condizione religiosa della nazione.  Alla fine lui diventa consapevole che Dio gli ha affidato il compito di introdurre una vera religione al posto di un clericalismo superficiale. Un giorno il cugino attraversa la frontiera russa, esprime sé stesso troppo liberamente sulle condotte della corte di San Pietroburgo, viene spedito in Siberia, e cade vittima del sadismo del carceriere. Il suo giovane parente ora sente che è venuto il momento di completare la sua opera. Si sposta nell'estremo est della Prussia, tiene incontri, e aggiunge una dozzina di seguaci più strettamente alla sua persona -- una manciata di pescatori, un burocrate in pensione, e altri. Nel giro di un anno senza dubbio corre troppo lontano per il Concistoro. Il Messia si avventura a partecipare ad una festività a Konigsberg, viene arrestato su richiesta del Concistoro, e in un modo o nell'altro termina la sua esistenza a Konigsberg. I suoi immediati seguaci si disperdono, come ha già fatto la maggioranza. Alcuni di loro, comunque, in particolare i pescatori e un fratello del deceduto leader, il quale aveva biasimato all'inizio, al pari dei suoi altri parenti, le peripezie del Messia per la troppa eccentricità, per poi esserne convertito, percorrono la strada per Konigsberg. In questo centro di attività intellettuale, il luogo di nascita de la Critica della Ragion Pura -- e di una buona quantità di saccenza mentalmente limitata -- hanno successo nell'istituzione di una congregazione di Messianisti, i cui membri sono, con poche eccezioni, artigiani, operai, pescatori, serve, ecc. L'attiva rete di comunicazione del nostro tempo subito diffonde la nuova fede ad altre città d'Europa, un fabbricante di stoffe viaggiatore, un convertito al corpo ortodosso e una vera forte personalità, partecipando cospicuamente all'opera. Ma non è fino a trent'anni dopo che una seconda vasta congregazione fa la sua apparizione a New York, la quale è stata stabilita dagli apostoli della Prussia Orientale.

Non ho bisogno di seguire il parallelo più oltre. Il mio compito non è di mostrare come un potere che cambia il mondo si fosse sviluppato a partire da questa sottile agitazione locale. Dobbiamo solamente realizzare quanto dell'intera agitazione troverebbe pubblicità al nostro tempo. La stampa, e forse uno scrittore qui e là, noterebbe l'esecuzione del cugino in Russia, perchè il dispotismo russo è frequente materia di commento da parte della Stampa, e il cugino ha attaccato lo zar in persona, in quanto Filone e Flavio Giuseppe parlano di Giovanni il Battista che assale il sobrio Antipa.
Ma tutto quello che accade al Messia poteva rimanere completamente non notato. Un rapporto della polizia in qualche periodico e i documenti della polizia e della corte a Konigsber probabilmente sarebbero i soli riferimenti stampati o scritti dell'affare. Perchè la Stampa riserverebbe tempo e spazio per tali eventi poco significativi -- li considererebbe eccentricità religiose -- quando ha enormi questioni pubbliche dell'industria, della politica, ecc. da trattare ogni giorno? È solo quando la popolazione fanatica di New York tenta un attacco violento contro la comunità messianica ivi presente, trenta o quarant'anni dopo, perchè, al pari degli ufficiali, il popolo li prenda per anarchici macchiatisi di assassinio, e questo evento porta uno storico del tempo ad esaminare chi siano veramente quelle persone molto calunniate -- è solamente allora che potremo arrivare a trovare una notizia letteraria della setta, come quella che Tacito offre dei cristiani quando sta decrivendo la persecuzione neroniana».

A parte che non è affatto vero che Tacito parli di cristiani in relazione alla persecuzione nerioniana, tuttavia è degno di nota quale fu la reazione dei lettori di questo articolo: lungi dal considerare questo brano una vera e propria parodia sarcastica dell'origine del cristianesimo, troviamo i principali giornali dell'epoca che esprimono la loro soddisfazione e gratitudine all'autore dell'articolo per il suo ottimo lavoro di ricerca, al punto da avere del farsesco e del grottesco il fatto puro e semplice che esistano tuttora due opposti tipi di cristiani, coll'unico tratto in comune ad unirli il DOGMA della storicità di Gesù senza la minima percezione che il Gesù la cui storica realtà è appassionatamente affermata dai cristiani del primo tipo viene altrettanto energicamente rifiutato come antistorico dai cristiani del secondo tipo. Per la semplice ragione che un Figlio di Dio, Signore dell'Universo, nato da una vergine, e risorto dai morti, e il figlio di un umile falegname inebriato da una fede apocalittica al limite della sedizione, sono due cose totalmente diverse e mutualmente esclusive. Se uno era il ''Gesù storico'', l'altro certamente non è mai esistito, e viceversa.



Che la comunità sia il punto di partenza e il centro del cristianesimo può essere chiaramente intuito da una attenta lettura del Nuovo Testamento. L'esistenza della comunità è assunta a priori come un dato di fatto nemmeno tanto implicitamente sullo sfondo persino dal Gesù di Matteo, quando ammonisce:
Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
(Matteo 18:15-17)

E lo stesso Matteo fà del suo Gesù il principale garante dell'apostolo che garantisce a sua volta per lo stesso Matteo, ovvero Pietro:
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
(Matteo 16:18)

Anche per il quarto vangelo la comunità cristiana è la più esplicita espressione dell'ideale comunitario, dell'assoluta unità dei membri l'un con l'altro, con Dio, e con Cristo.
...perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
(Giovanni 17:21)

Nelle epistole di Paolo ogni cosa si volge infine a beneficio della comunità. È l'incarnazione di Cristo, il corpo visibile del Signore, che è lo Spirito. È nella vita della comunità che Cristo si incarna la prima volta. Non prima. Chiunque pecca contro la comunità pecca contro Cristo, e le sue regole di condotta provengono da Cristo.


Persino se la prima notizia ufficiale dei cristiani in nostro possesso non dice esplicitamente che i cristiani erano da numerare tra le religioni misteriche dell'epoca,
Affermavano inoltre che tutta la loro colpa o errore consisteva nell’esser soliti riunirsi prima dell’alba e intonare a cori alterni un inno a Cristo come a un dio, e obbligarsi con giuramento non a perpetrare qualche delitto, ma a non commettere né furti, né frodi, né adulteri, a non mancare alla parola data e a non rifiutare la restituzione di un deposito, qualora ne fossero richiesti.
(dalla lettera di Plinio il Giovane a Traiano)


...l'intera letteratura cristiana dichiara ripetutamente senza eccezioni che dal principio Cristo era il centro e il fine del culto collettivo. Al punto che da Cristo la comunità decise di chiamarsi cristiana. Gesù non avrebbe mai potuto occupare questa posizione di così grande rilievo nella comunità cristiana come storico individuo che aveva impartito delle dottrine e aveva ''originato'' una nuova religione. Esistevano certamente sette nell'impero romano che prendevano il loro nome da un particolare individuo, da un filosofo, o da un re. Ma erano sette diverse da quelle che si riunivano in virtù di un culto comune e assumevano il nome dall'oggetto di quel culto.

Una setta fondata da un predicatore ebreo, Gesù, poteva aver preso il proprio nome, o parte del nome, dal fondatore, ma ad ogni caso non sarebbe mai stata certamente una setta nata allo scopo di adorarlo e venerarlo: nessun inno sarebbe stato cantato in suo onore, nessuna eucarestia celebrata per lui, nessun pasto comune consumato per la sua memoria. Nulla di tutto questo. Al massimo si sarebbe ricordato qualche suo detto ignorandone la circostanza della sua genesi, facendone una figura fondativa illustre di cui vantarsi. Ma sarebbero stati decisamente più interessati ad usare un tale ''Gesù'' come controfigura storica di un'entità angelica pre-esistente, magari indotti più dall'insopprimibile desiderio di storicizzare quest'ultima e dare così maggior lustro, come effetto collaterale, al proprio ''fondatore'' e dunque alla propria particolare comunità a quel punto, piuttosto che indotti a farlo sotto l'impulso provocato da quell'ignaro individuo sulla terra firma.


Quindi la comunità cristiana condivide con tutte le religioni misteriche dell'Antichità l'impulso fondamentale all'associazione a scopi di culto. Il loro Cristo è il patrono della comunità, il genio della società, che dà il suo nome a tutti quelli che a lui si uniscono per adorarlo. Assente è ogni individualistica concezione del sacro tutta moderna. La religione diventa personale solo in un'epoca che è già stata capace di isolare tra loro le personalità.  Ma nel passato il suo ruolo era vitale per la società. È una religione di Stato che non ha nemmeno bisogno di impadronirsi delle leve statali per svolgere quella funzione civile. È una religione tribale che non si scomoda a discriminare una particolare tribù dalle altre per poter essere tale. L'aspetto sociale della religione si traduce naturalmente nelle libere associazioni misteriche che si formano entro i limiti della tribù e dello stato particolari che si ritrovano ad ospitarle. E solo entro quei limiti germoglia interamente lo spirito religioso, che è tutt'uno con lo spirito della comunità, radicandosi totalmente in essa.
La religione dell'individuo era follia per i primi cristiani più di quanto la predicazione del Cristo crocifisso lo fosse per i pagani. Ed era scandalo per i primi cristiani più di quanto la predicazione della croce lo fosse per gli ebrei più ortodossi. Perchè significava peccare contro lo Spirito Santo, perchè lo Spirito Santo era lo spirito dell'unità della chiesa, della concentrazione religiosa, dell'assoluta subordinazione del gregge sotto la guida dei pastori. La religione dava spazio alla persona solo mediante la mediazione della comunità, neppure scomodando un clero per quel compito, giacchè tutto era spirito comunitario. Coltivare una religione personale era eresia prima ancora di essere bollata come tale: inconcepibile quanto l'idea che un singolo potesse separarsi dal corpo di Cristo. Separarsi dal corpo significava ipso facto entrare in un'altra comunità circostante, mai nel concetto tutto anacronistico di una ''religione personale''.
E persino quando l'ira del profeta di turno dell'Antico Testamento contro tutto e tutti sembra dare espressione al più radicale paradosso moderno della denuncia di una società circostante filistea e farisaica (nell'accezione di ipocrita), ancora una volta Dio, ovvero il Dio del popolo e dunque lo spirito del popolo è dietro di lui, e quello che ordina al profeta e che il profeta intima al popolo non è un desiderio personale del profeta, ma un'intima tendenza della comunità che rappresenta e di cui è espressione e portavoce. Le parole del profeta, di Giovanni il Battista o di Isaia, a dispetto della tetra solitudine che è dietro di lui, sono dirette non al singolo individuo perchè si converta, ma alla comunità, e costituiscono di fatto la manifestazione religiosa più compiuta ed auto-evidente della coscienza della comunità che emerge vividamente nello spirito del profeta ribelle.



Il cuore e l'essenza del Mito di Cristo è la morte e risurrezione di Gesù. I vangeli dall'inizio mirano alla tragedia della croce. L'idea centrale è che Cristo deve morire e risorgere di nuovo.

Le lettere di Paolo rendono addirittura ancor più chiaro dei vangeli la dipendenza del cristianesimo alla morte e risurrezione di Gesù, tramite la chiara intimidazione che questa morte e risurrezione di Cristo non è un'esperienza individuale, ma un'esperienza della comunità. La morte e risurrezione di Gesù va a identificarsi completamente con la morte e risurrezione della comunità. Tramite il battesimo la comunità rinasce con Gesù ad una nuova vita, dopo essere sepolta con Cristo.
O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte?
(Romani 6:3)

Come sta scritto: 
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello.

(Romani 8:36)

Ed è consapevole della vittoria, e della fine imminente, fiduciosa del trionfo finale su tutte le forze del male. Proprio come Cristo fu crocifisso, e tuttavia vive alla destra di Dio, così accadrà ai cristiani.
...e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me.
(Galati 2:20)

Alla stessa maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo frutti per Dio.
(Romani 7:4)

Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri.
(Romani 12:4-5)

Tutti i cristiani, una volta che divenivano battezzati, al di là di quanto fosse complicato il rituale iniziatico del battesimo e quante fasi prevedeva come in ogni religione misterica degna di questo nome, divenivano figli adottati da Dio, e dunque nella posizione di essere fratelli l'uno all'altro, dal momento che partecipavano della medesima fratellanza con il primogenito di Dio, il Figlio spirituale.

È davvero singolare allora che sotto quelle circostanze, se Paolo avesse voluto rivolgersi ad una comunità piena di individui dal nome piuttosto comune Giacomo, una comunità dove tutti i cristiani battezzati erano considerati fratelli del Signore, semplicemente non avrebbe usato l'espressione ''fratello del Signore'' per indicare qualcuno distinto per qualche ragione da un adottato fratello del Signore. Avrebbe usato al contrario un'espressione molto più specifica.
Non devi immaginare che Paolo stia scrivendo a te, persino se tu sei un folle apologeta, ma devi ricordarti che sta scrivendo ai suoi lettori del 50 EC, lettori che conoscono più di un Giacomo che è fratello del Signore.
Prova a immaginare che in Galati 1:19 Paolo intenda riferirsi a Giacomo il Pilastro. Costui non può essere, a detta degli storicisti, il fratello di un ipotetico Gesù storico, tuttavia per via della sua autorità sarebbe il miglior candidato ad essere riconoscibile all'istante solo menzionandone il nome. Prova a immaginare che oppure quel Giacomo sia un non-apostolo, oppure che sia un apostolo ma non il Pilastro Giacomo, oppure un Giacomo del tutto marginale (e che quindi è un generico fratello del Signore), oppure ancora Giacomo che non sia un fratello di Pietro di nome Giacomo.
In tutti questi casi, la probabilità che Paolo abbia voluto utilizzare l'espressione del tutto generica ''fratello del Signore'' per selezionare un ipotetico fratello biologico di Gesù, al di là del suo ruolo o importanza nella chiesa, è, per contrasto, persino più improbabile del più improbabile dei casi particolari appena elencati. E né si può far affidamento sulla presenza dell'articolo determinativo per trarre qualche differenza di significato tra la traduzione ''Giacomo, il fratello del Signore'' e ''Giacomo, un fratello del Signore'', espressioni che nel greco antico non erano realmente neppure distinguibili per significato inteso.
Perciò, che Giacomo sia chiamato ''il fratello del Signore'' non prova la storicità di Gesù.
Se tutti i cristiani erano ''fratelli del Signore'' allora Giacomo, che è un cristiano, è chiamato da Paolo ''il fratello del Signore''. La premessa è dimostrata, e la conclusione segue senza aver bisogno neppure di ipotesi in aggiunta.
Nel caso migliore, Gesù è esistito con 1 probabilità su 3.
Se un ipotetico Gesù storico avesse avuto fratelli biologici, allora ''fratello del Signore'' riferito a Giacomo fratello biologico di Gesù non sarebbe riuscito a discriminarlo a dovere dal resto degli altri ''fratelli del Signore'', a meno di maggiori, più utili specifiche così da permetterne più facilmente l'identificazione. Ma di quelle specifiche non esiste alcuna traccia, la benchè minima evidenza. Perciò si possono solo assumere gratis. E solo per trarre d'impaccio lo storicista (a questo punto folle apologeta) in difficoltà. Ma questo non significa che quelle specifiche non siano mai esistite nel passato reale. Forse esistevano. O forse no. Solo, non possiamo saperlo. Al 50% di probabilità potevano esistere, al 50% non esistevano. Perciò se approfitti di quell'assunzione, ipotizzando che esistevano delle specifiche che permettessero di discriminare a dovere un fratello carnale di Gesù da meri fratelli adottati del Signore, allora riduci della metà la probabilità della tua tesi generale che Giacomo fosse il fratello di Gesù detto Cristo. Ma l'ipotesi opposta non riduce di metà la sua probabilità di essere vera. Dunque l'ipotesi mitica ha il doppio di probabilità dell'ipotesi storicista in merito alla vera identità di Giacomo ''il fratello del Signore''. E quella probabilità potrebbe persino aumentare se dovessimo considerare particolarmente pressante la necessità che non solo un ipotetico Gesù storico, ma anche suo fratello e i suoi fratelli, affiorino in superficie nelle epistole di Paolo: una necessità puntualmente frustrata e mai soddisfatta.



Persino nei vangeli trasportare la croce per seguire Gesù, mutuando il detto particolare da un ambiente zelota, ne fa condizione necessaria di appartenenza alla comunità, e di attesa della venuta del Signore della gloria. Nelle epistole Cristo è il capo, la comunità il corpo. Ma il capo è un membro del corpo: è tanto piccolo senza un corpo quanto lo è il corpo senza un capo. Nel quarto vangelo Cristo è la vite: la comunità rappresenta i tralci.
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla.
(Giovanni 15:5)

Ma la vite è fatta di tralci, e la prima non può essere concepita senza i secondi, e viceversa.

E così Gesù nei sinottici:
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato.
(Luca 10:16)

Qui nuovamente Gesù vive nei suoi discepoli, nella sua comunità, fino alla condivisione estrema della medesima offesa, del medesimo torto, del medesimo disprezzo. E della medesima attesa di vendetta celeste.

Quello che i vangeli danno sotto forma di una storia di Gesù sulla terra firma è la stessa cosa che offrono le epistole come dottrina teologica e senso comunitario di stretta identità con il Cristo celeste, essere uno con l'angelo Gesù. La comunità partecipa della morte e risurrezione dell'angelo Gesù, è crocifissa e risorta di nuovo dai morti ad una nuova vita. L'angelo Gesù era lo spirito della comunità che collettivamente soffre e muore e perennemente subisce una risurrezione.


Non esiste, da questa prospettiva, nessuna differenza se dei fatti capitati ad un solo individuo -- la crocifissione di un Gesù da parte di Ponzio Pilato, o una cruenta sommossa del sedizioso Giuda il Galileo -- siano stati assorbiti o meno nella fiction del Gesù dei vangeli, cristalizzandosi in alcuni episodi di quelle storie. Apocalittici e sediziosi messianici spuntavano ogni giorno tra gli ebrei. Ma le loro circostanze erano del tutto isolate da quelle della comunità, per quanto ad essa in ultima istanza subordinate e in vista di essa, da ultimo, realizzate. Per quanto parecchi ebrei e schiavi fossero stati crocifissi o decapitati o lapidati per sedizione o blasfemia, il Gesù crocifisso dei vangeli non figura nel loro numero, persino assorbendoli dentro di sè in questo o quell'episodio fittizio della sua Non-Vita. Il Gesù dei vangeli è dunque l'ideale punto di connessione di tutti loro nella crocifissione dell'intera comunità, quella vecchia di appartenenza, inevitabile preludio alla sua rinascita sotto forma di un nuovo spirito ebraico ellenizzato e de-tribalizzato, lo spirito della comunità cristiana.



Nel racconto evangelico la morte e la risurrezione di Gesù sono inseparabili e folle, prima ancora che folle apologeta, è chi tenta invano di separarle. Ma non può mai esserci, neppure come vaga ipotesi storica, una risurrezione per un ebreo crocifisso sotto Ponzio Pilato, ma al più solo una vaga e astratta ipotesi di un'allucinata visione, del tutto svuotata di realtà storica, se non a patto di rifugiarsi nelle rassicuranti e illogiche ''spiegazioni'' dei folli apologeti e dell'infinito stuolo di improbabili, dementi teologi al loro seguito.
“Si può dimostrare che i numerosi tentativi recenti di delineare un Gesù storico, uno il cui ritratto può essere derivato convincentemente come ''un ebreo marginale'' (John P. Meier), ''un contadino mediterraneo'' (John Dominic Crossan), un hasid galileo (Geza Vermes), un rivoluzionario simil-zelota (S.G.F. Brandon, Robert Eisenmann), un mago popolare (Morton Smith), uno sciamano (S.L. Davies, Gaetano Salomone), un esseno qumranico (Barbara Thiering) o un saggio in stile cinico (Gerald Downing, Burton Mack) sono per sé stessi altrettanto numerosi tentativi di storicizzare la figura apparentemente mitica di Gesù che ci viene incontro nei vangeli. Ciascun libro tenta di mostrare che la storia sembra in buona quantità meno fantastica se soltanto la si rispiega in termini immanentemente storico-culturali.”
(Robert. Price)


Tuttavia per la comunità la risurrezione fu reale, più reale che mai. Non poteva finire annientata nella persecuzione, ma sempre restaurata a nuova forza e a nuova vita. Il mito ancestrale del dio che muore e risorge aveva alla fine trovato un'espressione umana, morale e sociale in questa allegoria che fu il primo vangelo. Questo semidio crocifisso e resuscitato sulla terra firma fu d'ora in poi l'anima, la forza vitale trainante, della comunità cristiana.
Ma in questa fede nel loro Gesù vivente e per sempre, fede che da sola permetteva la sopravvivenza in un mondo ostile, ritroviamo il significato radicale che la comunità cristiana attaccò da ultimo e da principio a sé stessa.

Lo spirito della comunità, prima e ultima autentica incarnazione del Cristo Gesù sulla terra, reclamò pretese illimitate e rivendicazioni incontrastate e assolute sul mondo che voleva convertire prima dell'inesorabile Fine.


Un epilogo sulla soglia del metafisico, ed un tragico punto di svolta che era anche un nuovo inizio, erano già in parte accaduti e intravisti parzialmente nel 70 EC.

E fu meramente una presentazione teologica in forma di parabola -- e la rappresentazione allegorica di quelle medesime pretese e rivendicazioni -- che permise di attribuire all'angelo Gesù un'esistenza sulla terra, prima e al di là di un mondo, e di un popolo, colpevole solo di non averlo mai visto.