lunedì 1 settembre 2014

Del perchè l'ironia della Croce è la chiave del Segreto Messianico in Marco (VI)

Continua la sesta parte della mia recensione di Mark, Canonizer of Paul, di Tom Dykstra. Per l'intera serie si veda qui.



 Il capitolo quinto, Presenting Jesus as the Crucified One, descrive l'importanza data da Paolo (e dunque, a catena, da Marco) alla crocifissione di Gesù rispetto alla sua risurrezione.
Dykstra segue la tesi di M. Goulder secondo la quale tutto questo corrisponderebbe ad un preciso scopo: impedire che i credenti si crogiolassero nella chimerica certezza di vivere già in un invisibile Regno di Dio riflesso presente di un imminente Regno di Dio manifesto, dimenticando di essere assaliti dalla realtà con le sue pene e i suoi affanni quotidiani, e dunque impedendo l'istituzionalizzazione del movimento in seno al nuovo ordine mondiale (che era poi certamente uno degli interessi di Paolo).

Questo, se ho capito bene, è la posizione di Dykstra/Goulder. Tuttavia mi sembra una posizione fin troppo speculativa, seppure desidero appropriarmi delle loro sconvolgenti implicazioni (soprattutto per quanto riguarda Marco, come tra poco spiegherò). In realtà io ero già implicitamente arrivato al riconoscimento di quel dato fattuale - che Paolo predicava Cristo crocifisso, non il Cristo risorto - ma sulla base di altri presupposti, che ai miei occhi mi sembrano decisamente più concreti perchè non postulano ad hoc l'esistenza di un ipotetico vangelo dei Pilastri che spieghi i dati mancanti (un vangelo che non abbiamo, e dunque sul quale non possiamo speculare più di tanto per non commettere la fallacia del possibiliter) ma tengono semmai conto di un altro dato di fatto difficilmente contestabile: che Paolo subì persecuzioni di qualche sorta e di certo una forte opposizione perchè predicava al centro del suo vangelo un Cristo crocifisso, non perchè predicava un Cristo risorto.
Conclusivo e chiaro in tal senso è a mio parere Galati 6:12. 

Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo.

Forse erano gli ebrei non credenti che esercitavano una pressione sociale sui giudeocristiani costruingendoli a impedire a Paolo la predicazione della croce di Cristo, oppure erano, più probabilmente, unicamente i giudeocristiani a detestare questo aspetto centrale della predicazione di Paolo. La regola del gioco imposta dai nemici di Paolo che si può tranquillamente inferire da Galati 6:12 è la seguente: tu, Paolo, puoi pure continuare liberamente a predicare la croce di Cristo, ma solo se imponi ai pagani prima la circoncisione.

L'implicazione di questa imposizione è fin troppo chiara: in qualche modo l'opposizione anti-paolina ravvisava una pericolosa relazione di causa-effetto tra l'enfasi data da Paolo alla croce di Cristo e la sua intenzione di sbarazzarsi della Torah (e dunque di facilitare la perdita dell'ebraicità originaria del movimento).

Dunque, impedire a Paolo di sbarazzarsi della Torah doveva passare in qualche modo attraverso la cessazione della sua eccessiva enfasi sulla predicazione della croce (e non della risurrezione) perchè le due cose, crocifissione di Cristo e rinnegamento della propria ebraicità di fondo, erano evidentemente correlate.

Fin qui ci ero arrivato da solo: ero partito infatti nella mia ricerca dal desiderio di scoprire perchè Paolo subì persecuzioni, considerando che il motivo addotto dai folli apologeti cristiani (''i primi cristiani furono perseguitati perchè predicavano uno scandaloso Messia che muore e risorge'') mi fa letteralmente schifo in quanto pura spazzatura apologetica (come mi fa schifo che quella medesima spazzatura sia alimentata da Bart Errorman).

Finchè una conferma insperata dei miei sospetti, e una loro migliore inquadratura, mi giunse dalla lettura di questo splendido post di Neil Godfrey.


Ecco una libera traduzione del punto saliente:

Forse Paolo è stato perseguitato per aver predicato un messia crocifisso?

In 1 Corinzi 1:23 leggiamo che il messaggio di "Cristo crocifisso" era un "inciampo" o "offesa" per gli ebrei. Non vi è alcuna spiegazione che ci informi esattamente perché gli ebrei erano così offesi da un Paolo che predica che un Messia era stato crocifisso, ma ciò non ha impedito a molti lettori di conoscere la ragione, senza alcuna ombra di dubbio.

L'ipotesi è stata generalmente che l'idea ebraica di un messia era un supereroe che avrebbe conquistato i poteri del male del mondo e fatto assumere  al popolo ebraico il regno dominante su tutti gli altri. Vi è un'ulteriore comprensione che gli ebrei odiavano a sufficienza Paolo da perseguitarlo perché il suo insegnamento sul Messia era troppo scandaloso e offensivo.

Proviamo il test di previsione su quest'ultima ipotesi.

Se il messia crocifisso di Paolo è stato davvero uno scandaloso polo opposto (in modo così opposto da essere virtualmente inconcepibile o blasfemo a molti ebrei) ad una idea messianica standard con cui gli ebrei nel loro insieme si identificavano, allora ci si aspetterebbe di trovare un Paolo che affronti quella contraria figura messianica da qualche parte e metta in chiaro il motivo per cui ne era privo e perché il suo messia crocifisso era davvero superiore.

Purtroppo non troviamo alcuna prova di tale polemica. Gli scritti di Paolo da nessuna parte suggeriscono di quel genere di scontro di opinioni.

E questo non è sorprendente quando cerchiamo di scoprire cos'era realmente al tempo di Paolo l'idea ''ebraica'' di un messia. Non ce n'era nessuno. O più correttamente, c'erano diverse idee assieme ad un'apparente mancanza di interesse per l'idea del tutto.

...

È, credo, abbastanza ragionevole immaginare che alcuni dei contemporanei di Paolo abbiano concordato con i suoi argomenti, mentre la maggior parte non era d'accordo. Ma non è facile immaginare gli ebrei dell'epoca che cercano di uccidere Paolo su quello che molti devono aver considerato solo una variante prospettiva in aggiunta. Dopo tutto, Paolo non stava affatto dicendo che il messia non fece le cose messianiche. L'argomento era interamente sui mezzi con cui il messia realizzò la sua grande vittoria e la salvezza.

Nella considerazione di Morton Smith ciò che univa gli ebrei era il loro riconoscimento di una comune fonte di autorità per la legge. Ciò non significa che tutti gli ebrei fossero d'accordo su ogni iota e apice. Ovviamente no. Ma il comune riconoscimento della sorgente permise  loro di discutere i dettagli come comunità. Questo è dove Smith credeva la sicurezza personale di Paolo trovata delle difficoltà.

     [L]e persecuzioni non possono essere spiegate unicamente col riferimento alle peculiari credenze messianiche dei cristiani, dal momento che le peculiarità di fede messianica sembrano essere state materia di indifferenza comparativa nel primo secolo, a condizione che non portassero a peculiarità della pratica. Quello che dobbiamo trovare, dunque, è qualche peculiarità della pratica cristiana primitiva sufficiente a spiegare la persecuzione. Questa peculiarità, ho sostenuto, fu l'insegnamento di Gesù di libertà dalla legge e le conseguenze libertine che lui e i suoi seguaci derivarono da esso. (The Reason of the Persecution, p. 262)

Smith spiega l'insegnamento di Paolo sulla legge in questo modo.

  1. Per Paolo la legge (cioè, la Legge mosaica) è "spirituale" e "santa, giusta e buona" (Rom. 7)
  2. È ancora valida in modo che accettare una parte di essa significa che si deve accettarla tutta intera (Gal. 5)
  3. Nessuno può rispettare perfettamente la legge.
  4. Così l'effetto del dono della legge era quello di trasformare persone ignoranti in trasgressori consapevoli e quindi peccatori colpevoli.
  5. Dio dunque ha dato il diritto di convertire gli uomini a Gesù per la salvezza.
  6. Le persone vengono liberate dalla legge dalla cerimonia magica del battesimo.
  7. Il battesimo permetteva ai convertiti di identificarsi indirettamente con la morte e la risurrezione di Gesù.
  8. La legge non ha crediti nei confronti di colui che è morto.
  9. Così la morte (il battesimo) rende liberi dalla legge.
  10. I cristiani liberati potevano ancora rispettare la legge al fine di evitare di offendere altri o di guadagnare proseliti, ma questo era ovviamente "pura finzione".


Qui noi  potremo benissimo avere motivi di reale offesa. Si può immaginare l'accusa di ipocrisia e di apparente libertinismo.

Così che cosa fa Smith del nostro celebre passo di 1 Corinzi 1:23 che dice che gli ebrei furono scandalizzati dalla dottrina del Messia crocifisso?

     È vero che lui una volta si riferisce alla sua predicazione di "un Messia crocifisso" come di "uno scandalo per i giudei" (I Cor. 1:23) senza fermarsi a spiegare perché dovrebbe essere così. Ed è anche vero che di questo versetto è stato fatto il pelo su cui appendere montagne di sciocchezze sulla resistenza ebraica alla sostituzione di un Messia militare con un Salvatore spirituale. Ma la reale indifferenza ebraica ai capricci della speculazione messianica è stata sopra notata, e richiede che un'altra spiegazione debba essere trovata per I Corinzi 1:23.

Questa spiegazione è indicata da Galati 5: 11:

Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione [come ho fatto quando ero un fariseo], perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della croce.  

 Evidentemente gli oppositori cristiani nomistici di Paolo stavano andando ad affermare che lui segretamente ammetteva che la circoncisione fosse necessaria alla salvezza, ma celava questa dottrina ai suoi pagani convertiti nelle fasi elementari della loro istruzione, al fine di guadagnarne di più. La risposta di Paolo a questo dà per scontato che l'unico motivo che qualcuno potrebbe presumere per la sua persecuzione sarebbe stato il suo rifiuto della Legge (non il suo insegnamento che il Messia era stato crocifisso). Naturalmente egli insegnò che Gesù era il Messia, e, naturalmente, il fatto che il Messia era stato crocifisso era essenziale per la sua teologia, ma era indispensabile solo come un mezzo per un fine: esso era meramente la via alla morte, e la morte era solo la via alla risurrezione, e la risurrezione era solo la via alla nuova vita libera dalla Legge, e questa vita e questa libertà erano ciò che contava. Erano gli elementi esperienziali, le fonti del potere della teologia di Paolo; gli elementi precedenti erano semplicemente il suo tentativo di spiegare e giustificare la vita libera. (pag. 263)

Per Smith Galati 6:12 è ancora più chiaro:

Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo.

Questi avversari erano cristiani; devono aver predicato che Gesù era il Messia; non vi è alcuna indicazione che avevano negato la sua crocifissione (e se avessero fatto così, Paolo certamente li avrebbe attaccati per quello). Così loro, come Paolo, stavano predicando un Messia crocifisso. Quindi il verso deve indicare che essi potevano farlo impunemente, purché si fossero disturbati di far finta di osservare la legge; vale a dire a condizione di non trarre, dalla morte di Gesù, le conclusioni di Paolo.
La causa della persecuzione, dunque, non fu la predicazione della crocifissione, ma l'insegnamento aperto e la pratica della libertà dalla Legge. Si noti l'accusa di Paolo che anche coloro che sono circoncisi non rispettano, proprio loro, la Legge (Gal. 6.13). Evidentemente ci furono elementi di libertinismo perfino nei più conservatori dei primi partiti cristiani. . . . . (pag. 264)
(mia libera traduzione e mia enfasi)




Ecco spiegato, dunque, la ragione di così tanta cruciale enfasi attribuita alla croce di Cristo rispetto alla sua risurrezione in Paolo: predicare la croce di Cristo per lui era in pratica tutt'uno col predicare l'annullamento della Torah (e quindi la minaccia alla stessa identità ebraica di cui la Torah era il simbolo).
Tutto questo si riverbera per inevitabile necessità nel vangelo del paolino Marco.


La storia di Marco di Gesù con la sua forte enfasi sulla passione e sulla crocifissione descrive la stessa vista: oggi la vita comporta umiliazione, pena, sacrificio, offesa, e perfino la percezione di essere abbandonati da Dio. La risurrezione non è ancora. Come Focant osserva, perfino sulla croce stessa, il Gesù di Marco impedisce l'ascoltatore dall'anticipare la risurrezione troppo rapidamente. Il grido di Gesù ''Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?'' è la prima parte di un salmo che infine termina proclamando vittoria, ma Marco deve avere una ragione per riportare solamente il suo grido di disperazione. Come in Paolo, la sola immagine di Cristo che è lasciata dopo la lettura di ''questa storia della passione con un'estesa introduzione'' è quella di un Gesù spezzato e crocifisso -  nessuna immagine di un Cristo risorto da trovarsi nel libro.
(pag. 94, mia libera traduzione e mia enfasi)


Assicuratomi dunque questo punto, ovvero la centralità della crocifissione di Cristo nella teologia paolina come immediato preludio alla fine dell'ebraicità quale prerequisito indispensabile per il credente, posso dunque fare mie le profonde implicazioni che Dykstra fa seguire da queste premesse per Marco.

È precisamente questo contesto che può far senso di un enigma che ha piagato gli studiosi biblici per più di un secolo: cos'è il significato o lo scopo del ''segreto messianico'' in Marco?
(pag. 95, mia libera traduzione e mia enfasi)

Perchè il Gesù di Marco ci tiene a non rivelare la sua identità durante tutto (o quasi tutto) il vangelo? E perchè, perfino se Gesù fallisce ogni volta di ottenere il desiderio desiderato sui suoi miracoli (scatenando invece l'esatto opposto), la gente perfino allora è totalmente ottusa, goffa e idiota nel non riconoscerlo per il Messia che in realtà è? Neppure i suoi 12 discepoli? Neppure l'ottuso Pietro?

Il grande William Wrede ritenne giustamente che la risposta a tutti gli enigmi la dà il Gesù letterario di Marco in persona:
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti.
(Marco 9:9)

Dunque Marco si inventò questo tema del misterioso auto-nascondimento di Gesù per giustificare apologeticamente l'ovvia conseguenza del brusco passaggio dall'originaria alta cristologia dell'Inno ai Filippesi e di Paolo alla sua prima menzione (cioè: nello stesso vangelo che Marco stava scrivendo) di un Gesù più umano che diventò Messia al suo Battesimo, quando lo Spirito Santo discese su di lui: come poteva un Essere Metafisico così Gigantesco non essere stato riconosciuto, nè come messia tantomeno come figura storica,  quando discese sulla Terra? (Ovviamente tale problema non si poneva prima del battesimo di Gesù, dato che perfino l'evangelista sta assumendo nella sua fiction che per allora di Gesù nessuno sapeva nulla, in pieno rispetto all'archetipo dell'eroe mitico: un vuoto di ''conoscenza'' che i successivi vangeli avrebbero prima o poi colmato).
La spiegazione che Paolo non ha mai fornito la fornisce dunque Marco in sua vece: Gesù nascose deliberatamente la sua identità fino alla sua risurrezione.


Questa in effetti è per me la spiegazione migliore anche a livello inconscio - dunque perfino se Marco non ne fosse consapevole: non esiste infatti modo migliore di confermare la discesa di un Messia inesistente (e dunque invisibile) sulla Terra se non assicurando che era effettivamente venuto, non visto e non riconosciuto come messia durante la sua ''esistenza'' sulla Terra, a causa della innata e colpevole ''cecità'' del popolo e perfino dei suoi stessi discepoli.

Così Marco poteva, perfino ammesso che nemmeno lui riusciva a realizzarlo, spiegare perchè solo i primi cristiani - gli originari Pilastri prima, e Paolo poi - avevano ''visto'' il Messia Gesù: solo loro infatti erano vittime di allucinazioni, non tutti gli ebrei.

Il grande William Wrede esplicitò questo punto, allorchè disse che il Segreto Messianico in Marco fu inventato per spiegare la ragione del puntuale, mancato riconoscimento della messianicità di Gesù durante il suo passaggio sulla Terra. Nelle parole di Tim Widowfield:

Quello è esattamente il punto di Wrede. Non un'anima solitaria comprese il significato del segreto di Gesù fino a dopo che egli risorse dai morti. Noi dovremmo non essere tentati di assumere che i discepoli erano semplicemente lenti per catturare il punto, che essi avevano ''l'idea sbagliata'' su Gesù e progressivamente, sebbene lentamente, capirono la verità. Per nulla affatto. Il vangelo di Marco è chiaro sulla materia:

Essi non capirono nulla.

(mia libera traduzione  e mia enfasi)



Tim Widowfield ha ragione a ribadire il punto di William Wrede correggendo il pur ottimo Dennis MacDonald (laddove quest'ultimo credeva che, come Odisseo rivela alla fine la sua vera identità ai Proci, Gesù avrebbe rivelato la sua identità almeno di fronte al Sinedrita che lo accusava di blasfemia): nessuno in tutto il vangelo di Marco riconosce Gesù, neppure il sinedrita allorchè si stracciò le vesti gridando alla bestemmia. Nessuno.

Ci furono continue rivelazioni dell'identità di Gesù per tutto il vangelo di Marco - al battesimo, durante gli esorcismi, durante i miracoli, alla Trasfigurazione, al processo, e finalmente alla croce. Tuttavia, a dispetto di quelle rivelazioni, l'identità di Gesù rimane nascosta, celata, segreta, occultata, perchè la piena comprensione è impossibile se non dopo la risurrezione.

Tuttavia Wrede è ancora troppo fiducioso, perfino lui, nella capacità dei discepoli di Gesù in Marco di poter riconoscere Gesù ''almeno dopo la sua risurrezione'': il problema è che il racconto della risurrezione è assente in Marco.
Il Gesù letterario, cioè l'autore del vangelo, in Marco 9:9 :
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti.

non presuppone che i discepoli capiscano la vera identità di Gesù dopo la risurrezione, a causa della risurrezione.

Bensì che i discepoli capiscano la vera identità di Gesù dopo la risurrezione, ma a causa  della sua crocifissione. Quel ''dopo'' indica solo il momento temporale della comprensione, non è un ''dopo'' causale: serve a registrare il momento in cui, rileggendo gli eventi finalmente con ''occhi per vedere e orecchie per udire'', comprendono nella crocifissione la vera identità di Gesù. Ogni lettore del vangelo di Marco messo al corrente del suo esoterico significato comprenderà allora, a differenza degli hoi polloi, qual è il Segreto Messianico alla fine della lettura del vangelo.

La ragione addotta da Dykstra per spiegare il Segreto Messianico ha il grande merito di tener conto della più autentica teologia paolina da cui Marco era profondamente influenzato: Cristo rivelò la sua vera identità non con migliaia di miracoli e guarigioni ma solo sulla croce, e perfino allora solamente per coloro che lo amano,
Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria. Nessuno dei dominatori di questo mondo l’ha conosciuta. Perchè, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come sta scritto: 

Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,
né mai entrarono in cuore di uomo,
Dio le ha preparate per coloro che lo amano. 

Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito.

(1 Corinzi 2:6-14)


 vale a dire, per coloro che in Marco hanno ''occhi per vedere e orecchie per udire'', ma solo dopo la risurrezione. La risurrezione serve solo come limite temporale dopo il quale può essere realmente compresa, con gli giusti occhi, la messianicità di Gesù nella sua crocifissione.


Corollario inevitabilmente legato a tutto questo, e che a questo punta, è allora:

L'IRONIA DELLA CROCE.
Il vangelo di Paolo che si focalizza così univocamente su qualcosa così terribile come la croce e la crocifissione può solamente essere ''una buona novella'' perchè il messaggio della croce è essenzialmente un messaggio di ironia: quando altri vedono la crocifissione come una disfatta, Paolo sa che è una vittoria; quando altri vedono la sofferenza come causa di dolore, Paolo la vede come qualcosa di cui gioire e di cui ringraziare. Ironia di questo genere pervade le epistole di Paolo perchè al nucleo del suo vangelo è il messaggio che gli insiders vedono una realtà che è l'opposto del modo in cui gli outsiders la vedono. ''La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio.'' Si può difficilmente leggere ogni dato capitolo delle epistole di Paolo senza percepire qualche espressione di questa ironia.
(pag. 96, mia libera traduzione e mia enfasi)

La stessa ironia è disseminata nel resto del vangelo di Marco.

Ad esempio: non sono i Pilastri ''figli di Zebedeo'' a sedere alla destra e alla sinistra del Cristo ma ironicamente i due ladroni.

Oppure il grido di Gesù sulla croce, ''Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato?'' sembra un fallimento ma è in realtà ironicamente un inno di trionfo se letto fino alla fine nelle parole originali di Isaia prestate al Gesù morente.

Varie spiegazioni sono state offerte del motivo per il quale Marco si basa così fortemente sull'ironia. Ma considerando tutta l'altra evidenza dei temi paolini, può difficilmente essere una coincidenza che entrambi Paolo e Marco non solo la rendono centrale al loro testo, ma anche la impiegavano principalmente allo scopo di veicolare il messaggio paradossale della croce.
(pag. 97, mia libera traduzione e mia enfasi)


Dunque solo i veri cristiani, ovvero i seguaci di Paolo, possono essere in grado di capire, contro il parere dei più, che Cristo è il Messia allorchè fu crocifisso, eliminando il vincolo della Torah assieme al peccato e al potere della morte. Chi si aspettava di capire che Cristo è il messia perchè faceva moltissimi miracoli e guarigioni non troverà supporto nel vangelo di Marco. Come pure non troveranno appoggio nel suo vangelo coloro che pensano che Gesù rivelò di essere il Messia allorchè fu risorto, dato che la risurrezione non figura del tutto nel vangelo di Marco.

La dipendenza letteraria di Marco dalle lettere di Paolo è indubbia.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
(Marco 8:31-33)

Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».
(Galati 2:11-14)

Pietro nella Storia si oppose alla (evidentemente, interessata) enfasi data da Paolo alla croce di Cristo perchè sapeva che per Paolo il messaggio in codice implicito dietro il ''Cristo crocifisso'' era la fine della Torah e dell'essere ebrei.

E lo stesso Pietro nella fiction vorrebbe impedire a Gesù di finire sulla croce.

Contro Pietro e tutti i giudeocristiani che, come lui, si oppongono all'inevitabile conseguenza della predicazione della Croce (ovvero la fine della Torah), Paolo così si indignò:
Quanto a me, fratelli, se predico ancora la circoncisione, perché sono tuttora perseguitato? Infatti, sarebbe annullato lo scandalo della croce.
(Galati 5:11)

Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo.
(Galati 6:12)

L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!
(Galati 1:9-10)

Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi.
(Galati 2:12)

Nella Storia
Pietro fu ''condannato'' da Paolo per via della sua opposizione alla croce (e quanto annesso e connesso).


Nella fiction è ''Gesù''/Paolo che rimprovera Pietro dandogli del ''Satana'', che è poi l'equivalente di ''condannato''.

Nella Storia Paolo rimproverò l'''ipocrisia'' di Pietro di fronte a tutti, mentre nella fiction è ''Gesù''/Paolo a rimproverare Pietro, ''guardando i suoi discepoli''.


Nella Storia Paolo fu accusato da Pietro di ''ricercare il favore degli uomini non di Dio'', ma ora quell'accusa è scagliata nella fiction contro lo stesso Pietro, e stavolta da ''Gesù''/Paolo in persona.

Anche la terminologia usata da Marco è squisitamente paolina, a ennesima riprova della sua dipendenza letteraria dalle epistole.
Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.
(Marco 8:35)

Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo.
(Filippesi 3:7-8)

La forte dicotomia tutta paolina ''vergogna versus gloria'' è istanziata da Marco 8:38.
Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

La crudele ironia di Marco si abbatte sui Pilastri e sulle loro storiche rivendicazioni di autorità contro il nuovo venuto Paolo.
Se già Paolo faceva della sua apparente debolezza un punto di forza:
Ultimo fra tutti apparve anche a me come all'aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.
(1 Corinzi 15:8-9)

Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero.
(1 Corinzi 9:19)

a Marco non resta che esasperare il paradosso già implicito in nuce nell'apologia personale di Paolo, portandolo alle sue estreme conseguenze, senza nessun scrupolo nell'inventarsi vignette ad hoc:
Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
(Marco 9:34-35)

Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.
(Marco 10:43-44)

Per ognuno che ascolta entrambe le parole di Paolo e le parole di Gesù, le implicazioni sono chiare: i discepoli vogliono essere i più grandi ma mancano l'intero punto della croce; Paolo chiama sé stesso ultimo e comprende e accetta la croce e quindi è in realtà il più grande apostolo.
(pag. 102, mia libera traduzione e mia enfasi)


Gesù è Paolo quando pronuncia queste parole rivolte ai suoi ottusi discepoli giunti a sentore delle folli pretese dei Pilastri ''figli di Zebedeo'' Giacomo e Giovanni:

Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati [οἱ δοκοῦντες] i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore,
(Marco 10:42-43)

allo stesso modo in cui Paolo è Gesù quando scrisse ai Galati:

Ma non ricevei nulla da coloro che son reputati [των δοκουντων] essere qualche cosa; quali già sieno stati niente m'importa; Dio non ha riguardo alla qualità d'alcun uomo; perciocchè quelli che sono in maggiore stima [οι δοκουντες] non mi sopraggiunsero nulla.
...
e riconoscendo la grazia a me data, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti Pilastri
[οι δοκουντες στυλοι ειναι], diedero a me e a Bàrnaba la destra in segno di comunione, perché noi andassimo tra le genti e loro tra i circoncisi.

(Galati 2:6,9)

In entrambi i testi l'idea è che le persone comunemente considerate essere al potere in realtà non lo sono, perchè Dio è ultimamente al potere. La più probabile ragione del perchè Marco copiò questa parola da Galati in questo punto del suo vangelo è di usare l'espressione ironica di Paolo per rafforzare l'elemento ironico nel suo proprio testo. La frase ''quelli che sono supposti di'' o ''quelli che sono reputati di'' implica che quel che sono supposti o considerati essere è non che quello che essi in realtà sono.
(pag. 103-104, mia libera traduzione e mia enfasi)

Vorrei sottolineare, perfino più di quanto lo fa lo storicista Dykstra nel suo libro (mancando di coglierne l'adeguata, logica implicazione), questo tipico modo di procedere di Marco nel suo utilizzo di Paolo: quello che sta facendo Marco è in sostanza portare deliberatamente all'estremo paradosso (mediante la creazione di specifiche vignette coinvolgenti Gesù) il paradosso già presente in nuce nell'espressione di Paolo durante le sue tergiversie storiche con i Pilastri.

Se Paolo ostentava già punte di sarcasmo e di ironia rivolte ai Pilastri, Marco non doveva far altro che portare all'estrema, paradossale conclusione quel medesimo sarcasmo e quella medesima ironia, mediante scene del suo vangelo deliberatamente inventate allo scopo.


La conseguenza di questa radicalizzazione marciana dell'ironia anti-Pilastri già presente in Paolo sarà la rappresentazione letteraria dei nemici di Paolo nella forma di coloro che DA ULTIMO - ed è qui l'ironia - ESSI NON SONO. E NÉ MERITANO DI ESSERE.