martedì 28 ottobre 2014

Del Profondo Silenzio sul Gesù Risorto: Christ's Resurrection in Early Christianity di Markus Vinzent letto alla luce di Deconstructing Jesus di Robert Price

Ho terminato la lettura di Christ's Resurrection in Early Christianity del prof. Markus Vinzent.


Metto subito in chiaro che l'autore è uno storicista minimalista.

In quanto tale, la sua tesi finale che vuole dimostrare, all'interno del classico paradigma storicista, è riassunta in queste brevi 6 righe:
Per quelli che seguirono l'uomo di Nazaret, la sua morte non fu la devastante esperienza che a volte è stata affermata. Sebbene i suoi seguaci sapevano della morte del loro maestro, colui nel quale avevano riposto tutte le loro speranze, essi lo considerarono un martire per una giusta causa oppure lessero la loro esperienza contro lo sfondo delle loro personali educazioni, informati prima di tutto dalla loro cultura ebraica, dove la fede nella resurrezione dei morti era disponibile per ebrei cristiani farisaici o rabbinici.
(pag. 3, mia libera traduzione)


Non per pura coincidenza, solo in quelle 6 righe si limita a fare menzione di un Gesù storico. In tutto il resto del libro, ogni volta che allude a Gesù o a Cristo, dappertutto ha in mente solo e unicamente il Gesù della Fede come inteso nella mente dei primi cristiani, ossia l'essere metafisico meglio noto come ''Gesù Cristo''.

Di questa assoluta insignificanza del Gesù storico il prof stesso ne è consapevole, e difatti nella stessa pagina mette immediatamente dopo le cose in chiaro:
Tentar di comprendere come la fede nella Resurrezione di Cristo cominciò e perchè raramente sorse alle stesse altezze come la fede nella sua incarnazione e passione non è lo stesso di chiedersi se la Resurrezione di Cristo accadde, e se gli incontri con Cristo fossero storici eventi o fiction narrativa, oppure fossero esperienze visionarie, fantasmi, illusioni o delusioni. La questione della sua importanza teologica sarebbe valida anche se il mito non avesse alcuna qualsiasi base storica, e sarebbe egualmente vitale se un pellegrinaggio alla tomba vuota oggi oppure una gita nel terzo cielo riproducano una certezza della presenza di Cristo simile a quella della quale i primi autori cristiani scrissero più tardi. Infine, nel ventesimo secolo, la Resurrezione diventò, perfino nelle menti protestanti - per secoli così fissata sulla passione di Cristo - una dei basilari identificatori della cristianità, e per alcuni, come Karl Barth, il contrassegno prevalente.
(pag. 3, mia libera traduzione)

In parole semplici: per spiegare la nascita del credo, e non importa se ortodosso o eretico, non è necessario affatto un Gesù storico, quell'ipotesi essendo utile quanto un'altra nel postularla all'inizio.

A me sta bene ogni professione di vago storicismo rigorosamente minimalista, come definito dal matematico Ian, il blogger di Irreducible Complexity:
Il mito di Cristo si condensò attorno a una figura storica, la cui biografia può essere recuperata solo in minima parte. Possiamo solo dire che Gesù era un predicatore, guaritore ed esorcista galileo dell'epoca del secondo tempio, che fu battezzato da Giovanni e giustiziato durante il governatorato di Pilato (alcuni minimalisti possono avere un pò di meno o un pò di più nel loro 'nucleo', ma si perviene l'idea).


perchè è per definizione indice quasi sempre di sufficiente apertura mentale o quantomeno tolleranza nei confronti della possilità dell'ipotesi mitica (un'apertura e una tolleranza ovviamente mancanti nei folli apologeti illusi di poter ricostruire un Gesù storico a tavolino grazie ai vangeli completo di ''vita, morte & miracoli'', emulando in questo il peggior Bart Errorman, per citare solo un nome, ma comunque nel giro di una ventina d'anni il loro numero, ne sono oramai sicuro, si ridurrà notevolmente).

 Vorrei però cogliere da solo le piene implicazioni, all'interno del paradigma storicista, dello scenario tratteggiato dal prof Vinzent di ciò che accadde dopo la morte di Gesù.

Tanto per cominciare, nessuna schizofrenica dissonanza cognitiva di fronte alla dura realtà della croce, quindi nessuna possibilità per l'apologeta di descrivere nei limiti del plausibile e della verosomiglianza storica cosa innescò tutte quelle allucinazioni del Cristo celeste RISORTO nella mente dei primi seguaci. L'ottuso apologeta Bart Errorman prese un enorme granchio quando costruì tutto il suo caso sulla Resurrezione di Cristo come estrema ''folle'' apologia dei suoi seguaci per giustificarne il fallimento. L'ipotetico Gesù storico fu considerato solo un martire, e come tale doveva essere rispettato. Non perchè creduto ''risorto'' dalla morte.  Ma allora questo è più atteso sotto l'ipotesi storicista? A dire il vero questa domanda l'aveva già sollevata il prof Robert Price, il quale così si era espresso:
[C. H.] Dodd pensò che quei paralleli implicavano un'antica fase quando la rivendicazione di Gesù dalla morte fu descritta in termini generali che erano intrepretati in vario modo come allusivi ad un ritorno ad una vita terrena subito dopo la morte e ad un ritorno alla terra da un nascondimento celeste, alla guida di un'armata angelica al suo seguito. Nel tempo, ragiona, ciascuna interpretazione si raffinò oppure produsse vari detti, come quelli qui citati, che cristallizzarono e specificarono la maniera del ritorno di Gesù in un modo o nell'altro.
Dodd tatticamente si trattenne dall'esplorare le revoluzionarie implicazioni della sua suggestione ma nulla proibisce noi di farlo. Mi sembra che se anche tale ambiguità come la descrive fosse stata possibile, gli antichi credenti non devono aver pensato che la resurrezione di Gesù fosse già accaduta! Cerinto, uno gnostico giudeocristiano del tardo primo secolo, è detto di aver creduto che la resurrezione di Gesù ancora deve accadere nel futuro. Io lo considererei non un innovatore, ma un ostinato tradizionalista. È difficile vedere come una tale opinione possa mai essergli occorsa in prima istanza se il precedente e universale credo fosse stato che Gesù era da lungo tempo risorto dai morti.

(Deconstructing Jesus, mia libera traduzione e mai enfasi)

''Cerinto'' potrebbe essere solo un nome  fittizio per indicare gli oppositori di Paolo a Corinto, guardacaso anch'essi fieri tradizionalisti e oppositori dell'Apostolo (idea che devo a Roger Parvus).


 
La seguente possibilità intravista da Price sembra essere la stessa che avevo prospettato personalmente in questo post:

Ad ogni caso, il punto è che i primi cristiani avrebbero all'inizio atteso il secondo arrivo di Gesù - il suo primo arrivo come il Messia - nel prossimo futuro. Ma il tempo passò ed egli mai si mostrò. Infine decisero che egli deve già essere stato il Messia, ma lo deve aver celato in segreto. Che è perchè quasi nessuno sapeva di esso fino alla Resurrezione, e, a sua volta, che è perchè alcuni assunsero che lui era divenuto Messia solo con la resurrezione. Questo scenario, seppure criticato da parecchi studiosi (io sospetto principalmente a causa delle sue disturbanti implicazioni per il dogma tradizionale), ancora sembra abbastanza profondo. Ma la sua non vista implicazione è che, poichè resurrezione e Messianicità vanno assieme come due facce della stessa moneta, se la futura messianicità di Gesù fu spostata dal futuro prossimo indietro nel recente passato, così pure fu spostata la sua resurrezione. Questo spiega perchè tutti i racconti della resurrezione dipingono un Gesù che appare solamente a piccoli gruppi di discepoli in privato, e perchè Marco presenta donne alla tomba che non dicono nulla a nessuno. In altre parole, parte del segreto messianico era il segreto che Gesù fosse già risorto dai morti, ma le buone nuove erano lente a trapelare: ''Tu intendi che lui davvero risorse dai morti e noi proprio non lo sapevamo? Ma certo . . . quello è il biglietto!''
(Deconstructing Jesus, mia libera traduzione, enfasi originale)

 Ovviamente un'idea del genere, di spostare la resurrezione indietro nel passato, non poteva venire a tutti (e merito del prof Vinzent è proprio di far notare come una tale idea si manifestò solo in Paolo tra i cristiani del I secolo). Ancora una volta, Robert Price sembra essere precursore del nuovo filone di ricerca inaugurato da Markus Vinzent quando scrive:
Perchè fa abbastanza differenza per me spendere così tanto inchiostro sulla materia? Perchè una delle più importanti suggestioni di Burton Mack è che il vangelo della resurrezione fu un mito che si adattò agli interessi di alcuni primi gruppi di Gesù ma non ad altri. Fu il prodotto di una fazione del cristianesimo primitivo, non  qualche genere di fondamenta dell'intero cristianesimo. Mack dice che perfino studiosi critici sono stati fin troppo tempo incantati dal mito del modello del ''Big Bang'' delle origini cristiane: Gesù risorse dai morti (o almeno i discepoli esperirono una tale visione), e il Cristianesimo iniziò ad evolvere nelle sue varie forme a partire da quel punto d'origine. Ma questo è quello che noi dobbiamo decostruire. E io sto cercando di spiegare come la dottrina della resurrezione potrebbe esser risultata da un graduale processo di ripensamento da parte di una singola fazione del movimento di Gesù. Il movimento di Gesù era già sulla scena in un'altra forma, in numerose altre forme. E non solo erano quelle forme non concentrate-sulla-resurrezione; esse potrebbero neppure essere state concentrate-su-Gesù del tutto.
(Deconstructing Jesus, mia libera traduzione, enfasi originale)

Ecco perchè è un grosso rischio scommettere sulla ''gesuanità'' dei cosiddetti ''Pilastri'' storici: se Paolo credeva nella resurrezione, non è detto che anche i Pilastri di Gerusalemme ci credevano. Questo è proprio ciò che avevo etichettato come ''possibile'' nel mio post di cui vado particolarmente fiero.


Ma se non credevano alla resurrezione a differenza di Paolo, allora in cosa credevano i Pilastri, posto che dovessero pur credere a qualcosa in merito a Gesù (per poterli ritenere  in relazione coll'origine del cristianesimo, in qualche modo)? Nel Gesù Martire, risponde senza esitazione il prof Vinzent. E il prof Price conferma:
Una religione di Cristo modellata secondo un culto misterico è un culto misterico, un culto di Cristo degno di questo nome. Questo è quel di cui ci aspettiamo Burton Mack stia parlando quando parla sui culti di Cristo. Come abbiamo visto, lui di solito ha in mente ciò che io ho chiamato il culto del Gesù martire. Ma io vedo una connessione. Dobbiamo presupporre qualche genere di religione precedente di Gesù o di Cristo già in operazione prima che elementi di altre religioni potessero divenir mischiati con essa. E in Europa e Asia, il miglior candidato probabilmente sarebbe il culto del Gesù martire. Era già basato sulla sofferenza e morte di Gesù. Non c'è, comunque, alcuna ragione di pensare che il culto del Gesù martire comportasse qualche genere di fede nella resurrezione di Gesù, tranne forse nel futuro, alla generale resurrezione.
 
In realtà, l'idea della resurrezione non sembra adattarsi all'idea del martirio. Che genere di martirio è quando qualcuno muore solo per una coppia di giorni? Questo non è esattamente il supremo sacrificio. Quindi la resurrezione ha la sua dimora naturale in un diverso contesto, quello del mito del dio che muore e risorge, la designazione ''Cristo'' probabilmente denotava ''il Risorto'', a riflettere l'unzione di Iside del deceduto Osiride, che lo riportò in vita. È quindi questa unzione che noi rischiariamo dietro Marco 16:1 e 14:8.
La priorità del culto del Gesù martire rispetto al culto del Kyrios Christos significa, in termini sociologici, che quelli attratti dai ranghi dei Misteri rappresentavano una seconda ondata, nella misura in cui il giudaismo gesuano gentilizzato diventò disponibile ad una più ampia sezione della popolazione a cui mai era data la possibilità di assiociarsi all'ebraismo della sinagoga. I cultisti misterici divennero timorati di Dio ai margini del culto del Gesù martire, proprio come i cultisti del Gesù martire una volta si furono posizionati ai margini dell'ebraismo. Poi i cultisti misterici si unirono, ragionando che non stavano perdendo un vecchio salvatore, loro stavano solamente aggiungendo uno nuovo. Gesù-Adone, Gesù-Dioniso fu il risultato.
Cosa avrebbe fatto il culto del Cristo Gnostico del culto del Kyrios Christos? Il punto dei due sistemi non era in realtà lo stesso, ma il culto del Cristo Gnostico e il culto del Kyrios Christos potevano senza dubbio coesistere pacificamente. Entrambi intravedevano in ''Cristo'' un divino essere che appare sulla terra per la salvezza dei mortali. Entrambi compresero la salvezza nei termini di una divinizzazione. Entrambi godettero di riti segreti. Ed entrambi potevano facilmente aver praticato il battesimo, gli Gnostici vedendo in esso una resurrezione spirituale proprio negli stessi termini come i cristiani del Kyrios.

(Deconstructing Jesus, mia libera traduzione e mia enfasi)



Già sappiamo che secondo lo storicista minimalista Loren Rosson, diventato non più sicuro come prima della storicità di Gesù dopo aver letto l'ormai classico On the Historicity of Jesus di Richard Carrier, la critica più sostanziosa e degna da leggere che rivolge a Carrier è che tutte quelle allusioni al martirio di Gesù anche nelle epistole di Paolo sono più attese sotto l'ipotesi storicista che non sotto l'ipotesi miticista. La replica di Richard - per cui gli attributi del martire si possono con disinvoltura attribuire ad un essere assassinato nel cielo o sulla Terra con estrema facilità e pari livello di attesa - è però convincente.

Dunque, che il Gesù della prima ora, anzi della primissima ora, fosse considerato un martire è egualmente probabile rispettivamente sotto le ipotesi del mito e della storicità.

 Più leggermente probabile sotto l'ipotesi del mito, però, quando si osserva come recita il prepaolino Inno ai Filippesi.
...egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio  l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
(Filippesi 2:6-11)


Il prof Vinzent, riguardo quest'inno, che parla di un ''glorificato, celeste Cristo'' (pag. 41) e non di un Cristo risorto, condividerà sicuramente queste parole di Roger Parvus in proposito:
Perfino più fondamentalmente, io metto in discussione se una resurrezione fisica di Cristo fosse parte del vangelo originario. L'autore dei versi 3-11 [di 1 Corinzi 15] è specialmente sollecito nel sottolineare che esso lo era. Ma, come vedemmo già nel post 7, Filippesi 2 contiene un inno cristiano davvero antico che non dice una parola circa tale resurrezione. Esso presenta la discesa di un Figlio divino pre-esistente, e la sua assunzione di almeno l'apparenza di umanità, e l'umiliazione di sè stesso ad una morte ''perfino ad una morte di croce'' (Filippesi 2:8), e un'esaltazione che comprendeva il conferimento di un nuovo nome su di lui da parte di suo Padre. Ma non c'è nessuna resurrezione fisica nell'inno. E ciò è il caso anche nella versione S/L2 della Visione di Isaia. Non una parola circa una resurrezione del corpo del Figlio Prediletto, ma un sacco di parole circa la sua ascensione al Padre in cielo.
 Nella Visione di Isaia il Figlio, perfino nella morte, come una figura divina, dopo la crocifissione, procede per la sua strada sotto il suo personale divino potere. Egli non ha bisogno del Padre per resuscitarlo dai morti.
Se, come sostengo, la fonte del vangelo di Paolo fosse la Visione di Isaia, esistono altre ragioni per pensare che egli non avrebbe sottoscritto alla sintesi del vangelo che troviamo all'inizio di 1 Corinzi 15. Il Cristo di quest'ultimo passo muore come un uomo, non proprio come l'apparizione di un uomo, e così dopo la sua morte necessita di essere risorto dai morti da suo Padre. All'opposto, la Visione di Isaia presenta il Figlio - perfino nella morte - come una figura divina che, dopo la crocifissione, continua sulla sua strada sotto il suo personale potere divino. Non necessita di e neppure riceve l'intervento del Padre per completare la sua missione. Egli è ricompensato da suo Padre con un accrescimento di gloria, ma egli è non ''risorto'' dai morti grazie a lui. Il risorgere del Figlio è attivo, come in 1 Tessalonicesi 4:14 (anestē).


Il fatto che questo inno sia anteriore a Paolo è più atteso sotto l'ipotesi del mito.

Così Richard:
Invero, Paolo qualifica questa logica in altra sede, dicendo (in Filippesi 2:7) che Cristo non fu realmente un uomo, ma venne ''nell'apparenza di un uomo'' (homiōmati anthrōpon) e fu trovato 'in una forma simile ad un uomo'' (schēmati euretheis hōs anthrōpōs) e (in Romani 8:3) che egli fu solo inviato ''nella somiglianza di carne di peccato'' (en homoiō mati sarkos hamartias). Questa è una dottrina di un essere preesistente che assume un corpo umano, ma non che è pienamente trasformato in un uomo, solo apparendo come tale, avendo un corpo di carne-e-ossa di cui abusare e assassinare. Questo si adatta esattamente al miticismo minimale.
...
Filippesi 2.6-11 descrive questo fatto come un atto di divina costruzione, non di umana procreazione (come notato in §4): Gesù ''prese'' forma umana, fu ''fatto'' per semprare come un uomo e poi ''trovato'' essere uno che rassomiglia ad un uomo (si veda anche Ebrei 2.17). Nessuna menzione di nascita, infanzia o genitori.

(Richard Carrier, On the Historicity of Jesus, pag. 570, 575, mia libera traduzione, enfasi originale, mio sottolineato)

Quindi, anche se il mito originario era il Gesù Martire Obbediente (in quanto celeste Agnello Sacrificale) e non invece il Gesù Crocifisso & Risorto propriamente detto (se l'elemento mitico della Resurrezione di Cristo lo introdusse davvero Paolo) allora le probabilità a favore del miticismo aumentano, non diminuiscono.

Contro l'ottuso Bart Errorman, Markus Vinzent è aperto alla possibilità che anche altri ebrei, e non solo il cristiano Paolo, credevano al mito di un Messia morente:
C'è qualche evidenza che Paolo non fosse il solo Fariseo che sperava in un sofferente Messia che muore e risorge. Di recente è stato suggerito che ''il personaggio del Messia figlio di Giuseppe e la tradizione del suo assassinio furono creati nel tardo primo secolo AEC o nei primi del primo secolo EC''.
(pag. 35, mia libera traduzione e mia enfasi)

Il mio giudizio complessivo è che il prof Vinzent abbia presentato per tutto il libro un forte Argomento del Silenzio che va a minare la fiducia tradizionale nella centralità della Resurrezione all'interno del più antico mito cristiano.

Quando l'argomento del Silenzio è forte, allora consegna autentica certezza morale nel trarre le dovute conseguenze. Ma è esattamente nel trarre le dovute conseguenze che ritengo viziato da un errore metodologico il giudizio del prof. Vinzent.

Se la Resurrezione fosse stata presente nel mito più antico, perchè compare enfatizzato solamente in Paolo,e perfino in Paolo (come ha notato acutamente lo stesso Loren Rosson)  distinguendosi accanto al tema del sacrificio e del martirio e non sostituendolo del tutto?

Pur con tutto questo profondo Silenzio sulla Resurrezione di Cristo (al di fuori di Paolo) all'interno del più vasto e profondo silenzio sul Gesù storico nel record cristiano più antico (Ebrei, Apocalisse, Giacomo, Didachè) e nonostante i legittimi dubbi sollevati da quel così soverchiante Silenzio, non potrò mai sposare fino in fondo la conclusione del prof Vinzent e qui voglio essere chiaro. Che la Resurrezione di Cristo sia praticamente assente al di fuori delle lettere paoline è semplicemente un Fatto, come pure la sua graduale accettazione nella teologia cristiana subito dopo Marcione (e riconosco fin da subito che la ricerca del prof Vinzent è conclusiva, in tal senso).  

Ma quello di cui non sarò mai sicuro con la medesima certezza del prof Vinzent è sulla presenza o meno della Resurrezione di Cristo ANCHE nelle stesse lettere di Paolo, perchè non realizzerò mai le reali proporzioni in cui quelle lettere furono interpolate dalla mano cattolica ed eretica prima ancora che venissero riportate alla luce da Marcione. Vinzent sta partendo da un'ipotesi indimostrata (che almeno Paolo parlasse di un Cristo RISORTO) per volgersi solo al termine della sua ricerca, per sua stessa ammissione, al recupero delle originarie lettere di Paolo, e dunque erroneamente posticipando quello che doveva essere fatto prima, ossia un'adeguata conferma preventiva di quella ipotesi leggendo l'AUTENTICO Paolo. Perfino così, c'è un problema: risalire alle lettere di Paolo come le leggeva Marcione non implicherebbe di necessità l'ascolto dell'autentica voce di Paolo, in conformità alle ragionevolissime parole di Roger Parvus in risposta a chi gli chiedeva cosa pensasse della ricostruzione delle lettere di Paolo come le leggeva Marcione data da S. Waugh (un serio esponente, al pari di Price e di Detering, della risorgente Radikal Kritik):
...è difficile sapere che lettura ci fosse nell'Apostolikon di Marcione. Ma perfino se la sua ricostruzione di Waugh fosse corretta, io ancora metterei in discussione se essa accuratamente riflette ciò che Paolo(/Simone?) scrisse.


Parvus si spinge anche più oltre in questa sensata conclusione:

...io sono scettico se, persino se un'autentica copia dell'Apostolikon di Marcione fosse trovata oggi, essa risulterebbe di grande aiuto nel determinare il testo originario delle lettere. Come sai, io penso che l'originaria collezione di lettere fosse simoniana e che la sola pubblica versione di essa in circolazione al tempo di Marcione fosse una che era già stata sistematicamente interpolata da un cristiano proto-ortodosso. Marcione aveva capito e fu convinto che le lettere fossero state interpolate, ma io non penso che egli ottenne mai una copia non adulterata. Che sarebbe il motivo perchè il lavoro che lui e i successivi Marcioniti intrapresero per restaurare il testo originario progredì apparentemente per anni. Se essi pensavano di avere una copia accurata delle lettere originali tale perdurante restaurazione non sarebbe stata necessaria. 
Marcione apparentemente basò la sua restaurazione dei testi sulla sua comprensione della natura del conflitto tra Paolo e i suoi oppositori. Così in larga parte i suoi risultati sarebbero dipesi dal suo rischiaramento di quella controversia. Qualche tempo (50-60 anni) era passato e la spaccatura delle prime chiese era già progredita significativamente per il tempo in cui Marcione giunse sulla scena. Ed appare che Marcione non fu egli stesso un Simoniano.


È per puro amore di discussione con i folli apologeti accademici che Richard Carrier non intende mettere in discussione l'integrità testuale delle 7 lettere paoline al di fuori dell'ovvia interpolazione 1 Tessalonicesi 2:14-16 (che solo i folli apologeti alla Mauro Pesce credono autentica). E perfino così, la conclusione è ineludibile: quelle lettere sono prive del tutto del concetto di Gesù storico - proprio come atteso perfettamente sotto l'ipotesi del Mito di Gesù - rivelando l'ignoranza di un simile concetto anche nella mente del loro autore originario, al di là se il suo vero nome fosse o meno Paolo.


E tuttavia, i sospetti sulla presunta religiosità tradizionale in senso stretto del loro autore originario si fanno sempre più forti. Perchè non si tratta soltanto di rispondere al quesito ''cosa è interpolato in Paolo e cosa no?'' ma c'è pure un altro problema, contenuto in nuce nell'ambiguità stessa delle parole di Paolo.
 
Ad esempio, si prenda Romani 2:26-29:
Se dunque chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge, la sua incirconcisione non sarà forse considerata come circoncisione? E così, chi non è circonciso fisicamente, ma osserva la Legge, giudicherà te che, nonostante la lettera della Legge e la circoncisione, sei trasgressore della Legge.
Giudeo, infatti, non è chi appare tale all’esterno, e la circoncisione non è quella visibile nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito [
εν πνευματι], non nella lettera; la sua lode non viene dagli uomini, ma da Dio.
(Romani 2:28-29)


Parole più orgogliosamente ebraiche di queste non se ne sentono parecchie in giro,
ma se assumiamo che Paolo fosse un apostolo gnostico, allora addirittura anche un'interpretazione gnostica di quelle stesse parole potrebbe calzare a meraviglia. Così la competente studiosa Elaine Pagels riporta l'interpretazione gnostica, più precisamente valentiniana, di quei medesimi passi:

Paolo spiega qui il più profondo significato del suo simbolismo. Come i ''Giudei'', i ''circoncisi'', significano gli psichici, circoncisi ''nella carne'' (2:28), così i ''Gentili'' che sono ''per natura non circoncisi'' (2:27) significano gli eletti pneumatici. I pneumatici ''si attengono ai precetti della legge'' assai meglio degli psichici, che sono legati ad obbedire alla legge demiurgica. L'interiore legge naturale della natura pneumatica, la ''legge di Dio'', è ''scritta nel loro cuore''; questa è la ''circoncisione del cuore, pneumatica, non letterale'' (2:29) che relaziona loro a Dio il Padre. In un senso più profondo, allora, il pneumatico è colui che è ''veramente un Ebreo'', un ''Ebreo in segreto'' (2:28-29), come dice Teodoto: ''Israele è un'allegoria dei pneumatici che vedono Dio''.
Come può Paolo avendo censurato il ''Giudeo'' pischico per il suo giudicare i ''gentili'' (2:17-25) procedere ad approvare il ''Gentile'' pneumatico (''chi non è circonciso osserva le prescrizioni della Legge'' 2:26) che giudica il ''Giudeo'' psichico (2:27)? Il lettore iniziato poteva seguire l'argomento di Paolo. Per lo psichico giudicare lo pneumatico è impossibile, dal momento che ''gli psichici non ricevono cose pneumatiche'' (1 Corinzi 2:14). Ma Paolo insegna, d'altra parte, che ''lo pneumatico giudica tutte le cose'' (1 Corinzi 2:15), non solo gli stessi psichici, ma perfino gli angeli che appartengono alla creazione psichica.
Secondo una simbolica lettura del passo, allora, Paolo contraddice l'intera auto-comprensione degli psichici. Nonostante essi si onorano del loro affidamento sulla legge, della loro relazione al loro dio (il demiurgo), e della loro superiorità sui Gentili (2:17-20), ora essi sono mostrati essere di gran lunga inferiori ai disprezzati ''Gentili'' - coloro segretamente in relazione al Dio che trascende il loro dio demiurgico!

(Elaine Pagels, The Gnostic Paul, pag. 20, mia libera traduzione e mia enfasi)



Ora, i valentiniani sono certamente gnostici del II secolo inoltrato, più audaci (e più insidiosi) perfino di Marcione nelle loro ardite speculazioni (si veda il mito del falso intellettualismo gnostico denunciato dal folle apologeta Larry Hurtado). Ma Marcione voleva semplificare perchè ogni semplificazione è sempre utile per chi intende - e Marcione intendeva - istituzionalizzare un movimento soffocandone le tendenze centrifughe. E i valentiniani affermavano che Paolo era un iniziato gnostico.
Essi si volgono e accusano quelle stesse scritture come se fossero non accurate e neppure autorevoli, e pretendono che esse siano ambigue, e che verità non può essere derivata da loro tramite coloro che sono ignoranti della tradizione. Infatti loro presumono che verità fu non trasmessa per mezzo di documenti scritti, ma in discorso vivente; e che per questa ragione Paolo dichiara, ''noi parliamo di una sapienza tra i perfetti (teleioi) ma non della sapienza di questo cosmo'' (1 Corinzi 2:6).
(Ireneo, Contro le Eresie, 3.2.1-3.3.1)


Se assumiamo che Paolo fosse un apostolo gnostico, allora addirittura un'interpretazione gnostica di quelle stesse parole di Romani 2:26-29 nelle intenzioni del loro autore originario sarebbe perfettamente attesa, perchè risponde anche al tema gnostico e misterico della segretezza esoterica (che è anche il tipico linguaggio dei Misteri). 


(A tal proposito, il prof Vinzent dedica alcuni paragrafi a discutere del cristianesimo samaritano, che suona davvero proto-gnostico nella sua enfasi sulla conoscenza, facendo l'esplicito nome di Simon Mago).

  
Nell'ipotesi che Paolo avesse davvero questo esoterico significato (comprensibile ai soli adepti) in mente mentre scriveva l'originaria Lettera ai Romani (apparentemente la più ebraica delle sue lettere), allora emerge il terribile sospetto che la latente rivalità con i Pilastri fosse derivata dal fatto che Paolo si fingeva apparentemente ebreo e per giunta erede di una vetusta tradizione farisaica, per poi di nascosto, ai suoi iniziati, pneumatici, pervertire il significato stesso di Israele facendone un'allegoria ''dei pneumatici che vedono Dio''.
Agli occhi dei Pilastri, non appena avrebbero capito le reali intenzioni di Paolo, tutto ciò avrebbe rappresentato un vero e proprio tradimento dell'Israele ''secondo la carne''.

In quel caso Marcione, volendo istituzionalizzare (almeno) il ramo del movimento originatosi con Paolo contro vecchi e nuovi concorrenti (rispettivamente ebioniti e proto-cattolici) - inevitabilmente prima della sua comparsa sulla scena in preda all'anarchia come tutte le forme embrionali di cristianesimo tra primo e secondo secolo - decise di depurare le lettere di Paolo da ogni interpretazione allegorica (in senso esotericamente gnostico) delle Scritture ebraiche, laddove all'opposto i proto-cattolici cercavano di introdurre una forzata interpretazione letteralista di tutte quelle allegorie ''ebraiche'' paoline in modo da ridurre la gnosi di Paolo all'ebraismo tradizionale, e non viceversa come l'apostolo intese originariamente fare.

Ma se Marcione aveva ragione quando accusò i protocattolici di aver falsificato il suo Vangelo - l'esatta accusa la cui verità il prof Vinzent e il prof Klinghardt ritengono di aver già dimostrato con le loro presenti e future pubblicazioni - allora aumenta la credibilità anche dell'altra accusa di frode che lo stesso Marcione lanciò contro i protocattolici: ovvero di aver giudaizzato le lettere di Paolo.

Se i protocattolici sono colti sul fatto nell'aver falsificato il Vangelo di Marcione, allora aumenta il sospetto che gli stessi avessero veramente falsificato le stesse lettere dell'uomo chiamato Paolo. E tutto questo prima ancora che Marcione cercasse invano di riportarle (a torto o a ragione) al loro incontaminato stato originario. Con la desolante conclusione che le parole originali del Verus Paulus sono perdute per sempre.


Ma io concordo pienamente con Markus Vinzent nell'accettare ili seguente scenario già vividamente descritto dal prof Price negli stessi, disincantati termini del prof inglese:
 
Marcione compilò l'Apostolikon, un canone coerente di un singolo vangelo (probabilmente una più antica, più breve versione del nostro Luca) assieme con le dieci epistole attribuite a Paolo al tempo (mancante di 1 Timoteo, 2 Timoteo, e Tito, le cosiddette epistole pastorali, che erano senza dubbio scritte successivamente contro Marcione, nel tentativo di creare un ortodosso ''contro-Paolo'').

Il successo di questo teologico Sputnik, un Testamento distintamente Cristiano, spronò l'emergente Chiesa Cattolica a replicare con il suo personale canone del Nuovo Testamento, che comprendeva un'espanso, ''cattolicizzato'' Luca seguito da Atti che cooptarono Paolo accoppiandolo con Pietro e subordinandolo ai ''Dodici Apostoli''. I Dodici Apostoli, allora, sono un più tardo costrutto ecclesiastico, proprio come la nozione della successione apostolica dei vescovi. Ma all'inizio il ruolo di un apostolo era penetrato nei circoli cristiani da una fonte davvero differente. Entrambi ''apostolo'' e ''Cristo'' avevano significato qualcosa di piuttosto differente.
(Deconstructing Jesus, mia libera traduzione e mia enfasi)

   Ho scelto e continuerò a scegliere dalla profonda ricerca del prof M. Vinzent (e del prof Price) alcune posizioni "radicali", che sembrano sorprendenti a molti. Quali "verità di fede", alcuni si chiederanno, rimarranno sul campo quando la critica storica ha fatto inesorabilmente il suo lavoro? Per quanto mi riguarda, confesso che io non sono un esperto e non mi sono mai ritenuto tale, ma ho solo convinzioni filosofiche e personali.

Quando la Reductio ad Judaeum applicata con sistematico rigore alle origini cristiane non è fatta più nello spirito di una sincera e scrupolosa risposta all'irrazionale dramma di un Olocausto perseguito all'insegna, perfida ironia della sorte, anche di un mostruoso ''Gesù Ariano'' oltre che del più bieco e viscerale antisemitismo e antigiudaismo di medievale memoria sempre ritornante, ma nasconde solamente l'antico pervicace tentativo apologetico di cattolicizzare testi originariamente gnostici & marcioniti sull'onda della controriforma protocattolica alla temibile minaccia rappresentata da Marcione e dei Marcioniti (il cui numero crebbe a tal punto da fare seria concorrenza per un intero secolo all'influenza del cattolicesimo nascente), rivelandosi fatalmente per quella che rischia veramente di essere sempre stata sin dal principio, ovvero una ideologica e cattolica Reductio ad Unum, allora non sono più sicuro della concezione tradizionale delle lettere dell'uomo chiamato Paolo, neppure dopo la scoperta della totale assenza, in quelle lettere, del fabbricato concetto di ''Gesù storico''.

 Il prof Vinzent (e il prof Klinghardt), io credo, di certo potrebbero sostenere che ci sono alcune verità che, dissociate dalla storia vera e propria, possono ancora essere almeno adeguatamente espresse in termini derivati ​​dalla religione storica. In ogni caso, mi sembra che le loro indagini, insieme a quelle del prof Price, del dr. Carrier e di molti altri ''miticisti'', danno conto delle origini dei vangeli e per estensione del cristianesimo in modo di gran lunga più degno di qualsiasi apologetico tentativo di ricondurre il Mito di Cristo ad indefiniti ''eventi'' locali, con protagonista un fantomatico quanto ipotetico e insignificante Gesù storico, ricordati da un'anonima setta ebraica. Ai nostri giorni, questi ''eventi'' devono diventare sempre più incredibili; e osservo con disincanto che istruiti teologi e apologeti duri e puri procedono invano alla ricerca senza posa di metodi di spiegazione del mito e del simbolismo purchè siano promettenti alla preservazione di verità metafisiche ancora per molto gelosamente e avidamente custodite dalle varie chiese tradizionali cristiane.