martedì 24 febbraio 2015

Se pure Richard si scopre Folle Apologeta Cristiano . . .

CREDERE: Significa avere fiducia illimitata nei preti. Un buon cristiano non può fare a meno di credere a tutto ciò che gli si dice, altrimenti è buono solo da bruciare. Se ci viene detto che qualcuno è privo della grazia, che venga bruciato, poichè la divinità, rifiutandogli la grazia, mostra di considerarlo buono solo da ardere per alimentare la fede dei propri eletti. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)
 Colui che combatte i mostri dovrebbe fare attenzione a non farsi egli stesso mostro.
 (Nietzsche)
Che io mi consideri fortemente debitore verso la profonda ricerca del duo Doherty-Carrier, è fuori di dubbio. Un paradigma è pur sempre un paradigma, e il merito di questi due grandi studiosi è di aver seguito un paradigma del tutto nuovo, sia pure ancora grezzo (ma solo come può esserlo un fresco, nuovo paradigma) e ancora in procinto di essere istanziato nella sua migliore specificità.
Quel paradigma nuovo, rivoluzionario, copernicano, parla a noi di come il mito venne prima dell'allegoria, e l'allegoria prima della leggenda, la leggenda del plagio, e il plagio della stessa illusione di un ''Gesù storico''.
Non si scampa. È lo scenario più probabile. Non c'era mai stato un Gesù storico sulla Terra. Punto.

Il problema però, che si porta seco il dr. Carrier, è l'eccessiva fiducia che nutre verso l'autenticità delle 7 famose epistole paoline. Così mi rispose quando gli chiesi a proposito di alcune idee del prof Price.

Lì per lì credetti acriticamente alla sua decisa stroncatura dello scetticismo sulla vera voce di ''Paolo''. Però poi ho notato quanto vecchio e infantile appare lo stesso Richard Carrier quando non riscopre per nulla la possente personalità di Marcione, e il ruolo determinante che ebbe nella nascita di un vangelo scritto. Quixie chiama ''ansia di influenza'' questo limite del dr. Carrier, anche se secondo me il suo unico errore è un altro.

Il vizio che sembra chiaramente portarsi appresso Richard Carrier è per puro paradosso intrinsecamente legato al suo medesimo miglior punto di forza: sapere confutare abilmente i folli apologeti cristiani e filocristiani, come pure i dementi chiromanti e imbroglioni astroteologi come Pier Tulip, sfidandoli sul loro stesso terreno. Niente di ineccepibile sul piano dell'onestà intellettuale.

Per apprezzare tutto questo, prova a metterti nei panni del folle apologeta cristiano e chiediti: se il tuo polemico interlocutore è disposto a dialogare con te esattamente dove tu lo porti, ovvero fissando TU in anticipo le regole del gioco (e NON lui) allora quale miglior prova della profonda serietà e onestà e sincerità d'animo di quella ostentata dal tuo medesimo interlocutore? È così che ha fatto Richard. Sfidando il consenso su ciò che pensava Paolo all'interno del più generale (e tradizionale) consenso su Paolo.

Eppure, una volta sbaragliati e ridotti all'ombra meschina di sé stessi quei folli apologeti cristiani rei terribilmente di aver letto con lenti colorate di vangelo le autentiche epistole di Paolo, al risveglio finale della coscienza cosa rimane? Un gigantesco, imponente testimone della non-storicità di Gesù, ovvero Paolo.

Non solo quello. Paolo è anche la controfigura del suo Gesù nel vangelo di Marco, considerato dal consenso (ma non da me) il primo vangelo.
Paolo fu anche l'apostolo di Marcione. E di Valentino.
Per Parvus, Paolo è quanto di più vicino si possa immaginare ad un ''Gesù storico'', una volta rimossa la maschera giudaizzante di Giovanni il Battista dall'icona classica evangelica.

I folli apologeti dicono che il ''Gesù storico'' è chiamato tale per distinguerlo dal Gesù evangelico, cioè dal Gesù apologetico.

I Critici Radicali Olandesi chiamarono Historicus Paulus l'uomo che le epistole associano al nome di Paolo. E si dicono certi della sua esistenza storica. E così pure fa il dr. Detering.

Ma se Paolo fu davvero così colossale e determinante per la nascita del cristianesimo, sotto qualunque paradigma ci si pone, per quale ragione, se solo fosse stato neppure un decimo di quanto pretese insistentemente d'essere con enorme supponenza di sé nelle cosiddette epistole paoline, non ha lasciato una sola traccia di sé nelle fonti non cristiane?



Ma la domanda non è ancora legittima farla. Parlare a proprio nome è di default un appello alla propria consistenza ontologica, sufficiente per non negarla.

Però la domanda diventa legittima farla quando considero il simbolismo che si porta seco Paolo: il suo nome. Piccolezza riscattata dalla grazia, per sola fede. Non è questo il messaggio di fondo della lettera ai Galati? L'ultimo è il primo.
Inoltre, che il nome di Paolo potrebbe già essere concepito in senso figurato dallo scrittore delle lettere paoline si vede chiaramente in 1 Corinzi 15:9, dove Paolo parla di sé stesso come l'ultimo e il più piccolo, come un aborto spontaneo per così dire. B. Bauer ha correttamente commentato su questo: “Egli è l'ultimo, l'imprevisto, la conclusione, il caro annidato. Anche il suo nome latino, Paolo, esprime piccolezza, che è in contrasto con la maestà a cui è elevato dalla grazia nei passaggi precedenti della lettera.
Bauer giustamente richiama l'attenzione sul significato teologico del concetto di piccolezza. In realtà, al di là di Bauer, che ancora non aveva questa connessione in vista, si deve considerare che, proprio per i marcioniti e ovviamente già per i Simoniani pure, ai quali questo risale - la parola “Paolo”, esprimeva tutto ciò che costituiva il nucleo della loro teologia e per cui le lettere di Paolo offrono continua testimonianza. Dov'è la liberamente occorrente, inannunciata e incondizionata elezione per grazia meglio illustrata che proprio dall'inferiore, l'incompleto, da un bambino, da un piccolo?

(The Falsified Paul, pag. 146-147, mia libera traduzione)

Sarebbe come giungere a sapere che l'etimologia di ''Hitler'' fosse ''sterminatore'' o ''tiranno'': troppo impossibile per essere una coincidenza, fosse stato quello il caso. E difatti non è il caso.

O meglio ancora, ricordati del Gobbo di Notre Dame. Difficile mancare l'allusione che a tanta bruttezza corrisponda altrettanta bontà d'animo.

Anche di Shakespeare verrebbe il dubbio che fosse solo un nome appiccicato addosso al vero autore delle tragedie. Ma lo Shakespeare storico aveva un motivo per nascondersi sotto la gonna della casta Elizabeth: salvare la pelle per il suo essere un cripto-cattolico. Che cosa si fa per campare sotto le religioni!!? Il mio quasi-dogma di fondo qui è che un autore geniale e per di più prolifico non potrà mai nascondersi, mai. Dovrà per forza venire allo scoperto. Da questo punto di vista, era inevitabile che spuntasse fuori prima o poi un pagano che citerebbe ''Paolo'': Luciano di Samosata.
Così si esprimeva, con gran stridore di denti, quel folle apologeta fetente e demente di Maurice Casey:

 "Fu 'circonciso l'ottavo giorno ... un ebreo da ebrei' (Fil. 3,5), così i suoi genitori erano ebrei di lingua aramaica, e osservante almeno quanto essi. Era anche un cittadino romano, come sappiamo da Atti. Per nascere ebreo e cittadino romano, ... la madre, o entrambi i suoi nonni, dovevano essere stati schiavi, e suo padre, o entrambi i suoi nonni, devono essere stati anch'essi schiavi, o devono aver prestato servizio nelle legioni ausiliarie, nel qual caso potevano essere ricompensati con la cittadinanza romana, al loro ritiro dal servizio attivo. Da qui il nome romano di Paolo, e il fatto che Luca lascia sfuggire che Saul fu anche chiamato Paolo proprio quando incontrò il proconsole Sergio Paolo, governatore di Cipro (At 13,9). Sergio Paolo era un illustre membro della gens romana Pauli, a un membro del quale erano stati ridotti in schiavitù uno o più membri della famiglia di Paolo. Questo spiega il nome greco-romano di Paolo. Niente di tutto questo è noto ai miticisti, per la ragione altamente deplorevole che esso è poco conosciuto alla ricerca tradizionale pure. L'ho visto correttamente presentato solo in un articolo del 1994 dal classicista Peter van Minnen, che gli studiosi del Nuovo Testamento hanno generalmente ignorato."
(Maurice Casey, “Jesus: Evidence and Argument or Mythicist Myths?” (2014) p 151, mia libera traduzione)

(Osserva come Casey sta usando Atti degli Apostoli come una fonte letterale di Storia senza alcuna legittimità scientifica. Il lettore attento noterà che il temperamento isterico di Casey assomiglia a quello di un fanatico storicista della rete che si nasconde dietro il nomignolo di ''Veritas'': cito quest'ultimo perchè davvero i due si assomigliano nella loro schizofrenica ricerca minuziosa di particolari del NT che loro per primi, e solo loro, prendono per dettagli storici ''oltre ogni ragionevole dubbio''. Se dunque un Casey non è nient'altro che un Giannino Sorgi infiltrato in accademia, allora è palese perchè questi storicisti sono tutti indiscriminatamente folli apologeti cristiani).


Ridicolo. Casey sembra voler costruire una possente torre d'avorio per il suo Paolo edificandola sulle sabbie mobili, anzi sulla pura sabbia di Atti degli Apostoli, nella più totale assenza e di ''atti'' e di ''apostoli''. Ma se merito di Richard è di aver scaraventato giù quel pazzo re nudo di Casey da quella vertiginosa torre d'avorio, il pari demerito suo malgrado di Richard è di esservi salito lui stesso, su quella medesima infaustamente apologetica torre d'avorio, così alacremente costruita nei secoli proprio dai folli apologeti simil-Casey che Richard intese sfidare.

Un Gesù storico è assente nelle epistole, per il loro autore originario e per i suoi successivi editori (perfino se divenuti, nel frattempo, puri e duri storicisti della prim'ora).
Interpolare un Gesù storico nelle epistole era segno troppo evidente che si stava falsificandole: meglio non farlo, interpolando magari altro, meno sospettabile poi di essere interpolazione. Il Paolo che si voleva cooptare (e non eliminare, non annientare del tutto) era esattamente il Paolo estremamente fiero di non conoscere (più) nulla ''secondo la carne'', per nulla affatto il Paolo storicista in sua vece (che per definizione, era già cooptato sul nascere, negli Atti degli Apostoli).

E così prendo serenamente congedo da Richard Carrier. C'è chi diventa folle apologeta cristiano perchè si chiude a priori al dialogo (e ce ne sono tanti, parecchi in giro). Ma Richard Carrier è diventato singolarmente un folle apologeta cristiano per il motivo opposto: si è aperto fin troppo al dialogo coi reali folli apologeti cristiani. Non mettendo minimamente in discussione l'attribuizione di 7 epistole paoline all'Historicus Paulus.

Stimo Richard, e continuerò a stimarlo e a provare sincero affetto per lui. Come pure non biasimerò mai, lui solo, di una scelta di vita che personalmente mi lascia perplesso e stupito.

La verità è che comincio a dubitare dell'autenticità dell'intero corpus paolino. Il criticismo radicale è una malattia che quando ti assale, non ti molla più.

Ma ormai è giunto il momento di testare il miticismo oggi apparentemente trionfante con un'altra descrizione delle Origini, entro lo stesso paradigma miticista.

È giunto il momento di esaminare direttamente gli scritti inglesi di Van Manen, il più grande Critico Radicale Olandese, per decidere finalmente con la mia testa.

Provo ad abbozzare rapidamente nell'Appendice, per amor di sintesi, come sarebbe lo scenario risultante, anche se ovviamente merita in futuro di essere raffinato e corretto.

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APPENDICE


30-40 EC.

La vasta maggioranza degli ebrei nel primo e secondo secolo aspirava alla libertà dall'invasore romano. Tra di loro figuravano sicuramente movimenti messianici dell'idea che i costumi ebraici e il dio ebraico fossero superiori ai romani. Se i romani si trovavano in posizione dominante, era solo perchè gli ebrei non percepivano di essere superiori, e questo perchè non si accorgevano che il loro Messia era oramai alle porte. Fu il dio ebraico il solo Dio vivente, mentre al suo confronto tutti gli altri dèi erano solo malvagi demoni.
Mentre Giovanni il Battista, con il suo scatenato apocalitticismo in odor di sedizione (che poi lo porterà alla morte), induceva in chi battezzava il fenomeno conosciuto a noi moderni come ''possessione spirituale'' (o Stati Alterati di Coscienza), ad Alessandria d'Egitto Filone Giudeo riserbava parole di giubilo verso il Logos, chiamandolo ''Gesù'':
“Ecco, l'uomo che si chiama ‘Germoglio’!” è proprio un insolito appellativo, invero, se lo consideri pronunciato a proposito di un uomo che è composto di corpo e anima. Ma se guardi ad esso come se fosse stato applicato a quell'entità incorporea che in alcun modo differisce dalla divina immagine, allora riconoscerai che il nome di ‘Germoglio’ gli è stato dato assai felicemente. Infatti il Padre dell'Universo lo ha innalzato in quanto il figlio maggiore, che in un altro passo egli chiama il primogenito. E lui che è dunque generato, imita le vie di suo padre... 
Quindi Filone, un ebreo alessandrino contemporaneo dell'ipotetico Gesù storico, aveva già concepito in maniera indipendente una figura celeste di nome Gesù, un figlio di Dio fatto a sua divina immagine, un re e sommo sacerdote. È la prova che il Gesù celeste fu immaginato senza alcun riferimento ad un Gesù di Nazaret. La dimostrazione che il ''Gesù storico'' non fu un uomo miticizzato, ma un mito storicizzato.


40-70 EC. Tra i vari messianisti ebrei del I secolo, almeno uno si atteggia al ''Giosuè'' dell'AT, come novello successore di Mosè: l'Egiziano. Mentre a Roma si ode il tumulto di ebrei messianisti aizzati da Cresto, sterminati poi fino all'ultimo dal crudele Nerone. Queste sono le sole possibili attestazioni dell'uso dei nomi ''Gesù'' e ''Cristo'' come titoli messianici del I secolo, legati all'ambiente apocalittico-zelota.

70-135 EC.

La sfera d'inizio del cristianesimo fu il mondo degli ebrei fortemente ellenizzati e di ellenisti filogiudei di Alessandria appena dopo il 70.
Filone dimostrò che per Dio era assai più facile assumere sembianza umana per coloro che egli ama che non per l'uomo diventare Dio. L'Israele secondo la carne era per Filone solo la temporanea Terra Promessa per Israele. La vera Terra Promessa è in Dio, non in questo mondo. Così anche per Filone la salvezza era imminente. Questo è riflesso nella Lettera agli Ebrei. 
Un altro tema importante presente in Filone è il ruolo di Gesù come Sommo Sacerdote, ricavato da Zaccaria 3:1-6. Il Sommo Sacerdote è privo di peccati, e serve da mediatore tra Dio e l'umanità peccatrice. Quindi è di natura ibrida, sia umana sia divina. Filone pregava affinchè il Sommo Sacerdote potesse vivere dentro la sua anima, e dentro le anime degli uomini, per superare tutti i mali e i dolori.
Proprio come dice la Lettera agli Ebrei, anche Filone sottolinea la stretta relazione tra la persona senza peccato e il Logos soprannaturale. Solo attraverso il Logos lo spirito profetico parla all'umanità.

Una scuola di ebrei ellenistici neoplatonici, probabilmente ad Alessandria e ad Antiochia (grandi centri ellenistici orientali), riscoprì il nome ''Gesù'' con cui Filone chiamava il Logos. È indotta a farlo perchè le malefatte del militante messianismo antiromano (che sarebbe sfociato nella rivolta del ''Cristo'' Bar Kokhba) spingeva ad una ridefinizione del concetto di Messia (di cui fino ad allora il copy-right era solo di messianisti sediziosi e apocalittici invasati dallo Spirito). L'imbarazzo ebraico per aver compromesso, con un Bar Kokhba, il titolo di ''Cristo'' è parzialmente paragonabile alla vergogna provata dai tedeschi, dopo la guerra, per le responsabilità dell'Olocausto.
Quelli intellettuali chiamavano ''Gesù'' il Logos, sulle orme di Filone, ovvero esattamente l'unico intermediario consentito tra il Dio trascendente e la misera umanità, sviluppando la prima embrionale cristologia. Però per loro ''Gesù'' non era il Figlio del Dio ebraico: quel dio avevano imparato a disprezzare in quanto lo identificavano con il demiurgo platonico. Platone, com'è noto, non demonizzava il demiurgo, tuttavia dopo di lui fu Aristotele il primo a insistere che entità immateriali (le idee di Platone) non potevano produrre movimento di entità materiali. Nell'opinione di Aristotele, solo oggetti concreti collocati nello spazio e nel tempo potevano spostare o alterare altri oggetti fisici concreti. Il Dio supremo di Aristotele, il Nous o Divino Intelletto, era completamente immateriale e metacosmico, per nulla coinvolto in qualsiasi attività pratica, al punto da non essere neppure causa efficiens di cambiamenti nel mondo fisico.  È solo per attrazione che il Primo Motore Immobile causa il movimento della parte sublunare del cosmo. Il Big Bang non fu voluto da Dio, come voleva Platone. L'impersonale deismo aristotelico fornì le basi ai proto-gnostici per opporre il vero Dio ai demiurgici arconti di questo eone: solo grazie alla modifica aristotelica della cosmologia platonica potevano adorare il loro vero Dio, puro spirito, mentre nel contempo disprezzare il Dio demiurgico ebraico e i suoi maligni scherani e rappresentanti sulla Terra (i quali per loro venivano a coincidere con le stesse autorità romane da un lato, e i capi dei vari movimenti messianici ebrei dall'altro).
Dunque abbiamo da un lato un messianismo ebraico che, trovando infine espressione nel Cristo Bar Kokhba, avrebbe portato alla propria auto-distruzione, e dall'altro un'incipiente scuola protognostica (o marcionita, dal nome del suo principale esponente) che raffigura il vero Dio e il vero ''Cristo'' come un Padre amorevole e suo Figlio e non un giudice vendicativo. Rivendicando pubblicamente una supremazia spirituale, questo culto ebraico proto-gnostico trovò quasi subito opposizione in un'altra scuola alessandrina di ebrei ellenistici neoplatonici e amanti dell'etica ebraica i quali, contrariamente ai proto-gnostici, consideravano disdicevole il loro disprezzo verso il Creatore e la sua creazione. Il loro manifesto teologico era la Lettera agli Ebrei, il cui scopo era convertire il Tempio di Gerusalemme (la cui ricostruzione era ancora fervidamente attesa presso la maggioranza degli ebrei) in un tempio spirituale nel cuore di ogni cristiano, ma d'altro canto anche, per la stessa logica, rendere effettivamente REALE la morte espiatrice di Cristo (perfino in assenza di un reale Gesù storico!).
Ma ancora nè la voce di un Paolo, nè un Gesù apparso sulla Terra erano stati inventati.

135-150 EC

Infine, nel 129 EC, a Roma, Marcione ''trovò'' le originali epistole paoline (a significare che lui e/o la sua scuola proto-gnostica le inventarono) e volle pubblicarle assieme al primo vangelo. Paolo era per lui l'apostolo del vero Dio che, nel suo incontro-scontro coi seguaci di Giovanni il Battista (''coloro che erano apostoli prima di me'') ne aveva denunciata l'infedeltà e l'incapacità di riconoscere lo Spirito di Dio che pure li possedeva: se un seguace eretico di Giovanni il Battista a cui fu dato il nome simbolico-teologico di ''Paolo'' fosse veramente esistito o meno, non mi interessa [1]. Ma intanto, prima ancora che Marcione effettuò l'ufficiale pubblicazione del primo Nuovo Testamento, i proto-cattolici, coalizzatisi con quel che restava dei messianisti ebrei che erano intanto stati attratti dall'adorazione di Gesù Cristo (ebioniti), realizzando che un fantasma docetico, come descritto da Marcione, fosse inadeguato per la fondazione di una nascente chiesa universale (''cattolica''), optarono per estendere la loro influenza sulla base della chimerica ma estremamente utile ''Traditio'', proiettando interamente, cioè dalla sua nascita fino alla sua apparizione post-resurrezione, la figura mitica di Cristo in un ebreo di carne e sangue di Israele. Uno storico ''Gesù di Nazaret'' fu il risultato. A tal fine, da Roma, la chiesa proto-cattolica ''rigiudaizzò dall'alto'' ogni documento, vangelo o lettera, che puntava a Gesù, riducendolo alla morale ebraica (considerata superiore) e ad un'interessata allegorizzazione (che è anche una cooptazione) della Septuaginta. Oppure, in alternativa, al più completo oblìo.
Da notare che mentre per il vangelo di Marcione figurano come nemici di Gesù principalmente gli stessi 12 apostoli rappresentanti del messianismo ebraico (ciò che viene comunemente chiamato ''giudeocristianesimo''), nei vangeli successivi i nemici di Gesù diventano gli ''scribi e i farisei'' (di cui Pilato è solo la marionetta), innescando così il bacillo contagioso del morbo antisemita (anche se devo ricordare che per Marco ''gli scribi e i farisei'' continuano ad essere implicitamente cifre simboliche per i leaders giudeocristiani).

Marcione sta sulla soglia tra mito e storicizzazione di Gesù. Forse egli scelse Pilato perchè era vissuto esattamente 100 anni prima della stesura del vangelo di Marcione. Così anche Marcione, come i suoi rivali in seguito, vide la necessità di una finzione storica per ragioni propagandistiche. Egli insegnò una deità angelica del tutto priva di emozioni. Di certo tutto il contrario del collerico dio degli ebrei, che si muove facilmente ad ira.


150-200 EC
Curioso effetto collaterale posteriore della reazione al vangelo di Marcione, perfino nelle retrovie delle file dei protocattolici, germinavano senza tregua nuove chiese gnostiche decisamente più esoteriche della chiesa marcionita (che fu fin dal principio una chiesa pubblica con niente di esoterico addosso). Questi nuovi venuti sono le chiese che produssero un diluvio di vangeli gnostici e un sofisticato codice di decriptazione delle epistole cattoliche (che si traduceva nel recupero dell'originaria lettura marcionita di lettere oramai interpolate dai protocattolici), oltre che, per i più idioti letteralisti come Pier Tulip, complicate cosmologie astroteologiche del cazzo.


Come si vede, non mi so ancora decidere sulla reale presenza di un oscuro culto di Cristo cosiddetto giudeocristiano nel I secolo. Il punto è che forse esisteva un tale oscuro culto, e allora dovrei ridefinire il primo punto così:

30-70 EC
Un minuscolo ma diffuso, oscuro movimento basato su misticismo misterico e un Messia trovato profetizzato nelle Scritture, che aveva già compiuto la sua missione ed era solo ora contattabile nella visione dello spirito, e nell'unione mistica raggiungibile con la divinità. Durante le rivelazioni vengono esperite (tra le altre cose) i messaggi del Messia sulle azioni che aveva compiuto mentre soggiornò sulla Terra durante le poche ore in cui si consumò il dramma cosmico.  

135-200 EC
Dopodichè dovrei vedere la Seconda Guerra Giudaica all'origine di una profonda crisi di identità del movimento originario. Alcuni realizzarono che era giunto oramai li momento che il cristianesimo doveva separarsi dall'ebraismo e dal dio degli ebrei, fin troppo compromessi con il messianismo bellicoso di un Bar Kokhba. Sostituendo la Torah con il Comandamento dell'Amore, Marcione in particolare trasformò il cristianesimo in una religione che avrebbe richiamato parecchi greci (e altri pagani). Paolo si adattava per lui al ruolo di messaggero del suo vangelo, e così ne fu evocato il mito. Per contrasto, gli ebioniti o giudeocristiani non ritennero mai valida quella separazione, e si consideravano i legittimi ebrei messianici, osservanti della Torah. Gli avversari protocattolici di Marcione avrebbero invece adottato una strategia divide et impera. Si armavano della Torah contro i Marcioniti, mentre ostentavano il Comandamento dell'Amore e le posizioni paoline quando avversavano gli Ebioniti.
Alla fine la necessità di legare questi comandamenti rivali diventò d'obbligo per l'universalità cattolica. Perciò Paolo rappresenta un personaggio leggendario che non è separabile da Marcione, considerando che i suoi scritti non erano mai attestati prima di Marcione.
Il Comandamento dell'Amore era centrale per la dottrina marcionita. Fu un tentativo di  soppiantare la normativa Torah ebraica con la legge spirituale, rivelata, non tramite l'uomo o la tradizione, ma mediante rivelazione divina attraverso l'eroe di Marcione, Paolo. Cristo tramite Paolo aveva rivelato un Dio che non era degli ebrei, ma di tutte le nazioni, e perciò infinitamente superiore al Dio creatore ebraico. Egli era il Dio dell'Amore. 

[1] Il prof Price ipotizza che fosse Simon Mago. D'altro canto, tutta la leggenda di Simon Mago potrebbe essere stata nient'altro che una pura invenzione del III-IV secolo - con tanto di interpolazione in Ireneo - per farne un grottesco precursore dell'eretico Mani. Con eguale probabilità l'ispirazione per la leggenda di Paolo potrebbe derivare da Flavio Giuseppe. Ad ogni caso, è molto probabile che lo Historicus Paulus, ovvero l'uomo che non scrisse lettere ma a cui furono attribuite lettere, sia realmente esistito.

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