sabato 6 settembre 2014

Della concreta possibilità che “Marco” si inventò “fratelli” di Gesù perchè Paolo aveva scritto che «Dio non guarda in faccia ad alcuno»

Continua la settima parte della mia recensione di Mark, Canonizer of Paul, di Tom Dykstra. Per l'intera serie si veda qui.

Parecchio di quel che io ho già presentato ammonta a suggerire che Marco deliberatamente creò un Gesù letterario le cui parole ed azioni parallelano le parole e azioni di Paolo.
(pag. 149, mia libera traduzione e mia enfasi)
Lo scettico non è chi non crede ai miracoli perchè non ne ha mai visto uno. Lo scettico è chi non crede ai miracoli dopo aver osservato almeno un miracolo ed aver esclamato ''tutto qui?''.

Allo stesso modo, non è tanto il silenzio extrabiblico su Gesù a comprometterne seriamente qualsiasi fiducia nella sua esistenza, quanto lo è il vedere in cosa consiste la presunta evidenza di un Gesù storico in Paolo.

Questo fatto così ovvio di per sè non lo si finirà mai di apprezzare in realtà leggendo il capitolo di On the Historicity of Jesus sulle epistole, in particolare dove si discute di Galati 1:19, il famoso passaggio dove si menziona ''Giacomo, il fratello del Signore''.

Nel resto del post assumo per garantito che il lettore sia consapevole dell'argomento esposto in On the Historicity of Jesus per quanto riguarda il più probabile significato di quell'espressione τον αδελφον του κυριου.

Come il lettore avrà intuito, tutto il suo caso si basa per la massima parte sulla non-identità tra il Giacomo menzionato nel capitolo 1 di Galati e il Giacomo Pilastro menzionato più di una volta nel capitolo 2 della stessa lettera: per Richard Carrier quei due Giacomi non sono identici, perchè nel vangelo di Marco il fratello di Gesù di nome Giacomo non figura affatto come lo stesso Giacomo ''figlio di Zebedeo'' che è fratello di Giovanni oltre ad essere più esplicitamente alluso e criticato in quanto identificato con Giacomo il Pilastro di Galati 2. Assicuratosi questo punto, infatti, la dimostrazione di Carrier è semplicemente perfetta.

Quindi, da un lato il miglior argomento miticista parte dalla premessa:
Giacomo ''il fratello del Signore'' ≠ Giacomo il Pilastro di Galati 2

perchè nel vangelo di Marco
Giacomo fratello di Gesù ≠ Giacomo ''figlio di Zebedeo''

e dall'altro lato un forte pregiudizio storicista (che anch'io nutrirei, se lo fossi, e che purtroppo non posso chiamare ''argomento'' perchè non deriva dall'evidenza) si basa sulla premessa che :
Giacomo ''il fratello del Signore'' = Giacomo di Galati 2

a dispetto del fatto che, apparentemente, nel vangelo di Marco, sussiste come premessa la disequazione del punto precedente:
Giacomo fratello di Gesù ≠ Giacomo ''il figlio di Zebedeo''

Lo storicista è destinato a pensarla in questo modo: Marco ha creato inspiegabilmente due Giacomi dall'unico Giacomo di Galati che è fratello biologico di Gesù. Che in Galati vi siano due Giacomi distinti di cui quello al potere non è il fratello biologico di Gesù mi sembra troppo inaspettato (= improbabile): dunque o vi era un solo Giacomo, e costui comandava per diritto di sangue (Robert Price coniò la felice espressione di ''califfato di Giacomo'') oppure non vi era nessun Giacomo fratello biologico di Gesù perchè Gesù non è mai esistito.


In questo post intendo dimostrare personalmente come, perfino accettando le premesse del miglior pregiudizio storicista appena illustrato, l'esito non sia affatto scontato in quanto le probabilità ancora puntano a favore dell'ipotesi mitica.

Verrebbe naturale, se si legge l'epistola ai Galati senza preconcetti, pensare che il Giacomo menzionato ovunque sia dappertutto sempre lo stesso individuo. Quindi da dove spunta in Marco, posto che Marco conoscesse a fondo tutte le epistole di Paolo, lo sdoppiamento di quel Giacomo in due Giacomi distinti, l'uno ''figlio di Zebedeo'' e fratello di Giovanni, l'altro figlio ''di Maria'' e fratello di Gesù?

Intanto, cos'è bene in evidenza, nel vangelo di Marco:
L'effetto, naturalmente, è una sorprendente, e a molti offensiva, suggestione che i discepoli mai ricevettero il messaggio dell'angelo, quindi mai incontrarono il Signore risorto, e, di conseguenza, mai erano promossi ad un rango apostolico dopo la loro apostasia . . . Io concludo che Marco è asssiduamente coinvolto in una vendetta contro i discepoli. Egli è intento a screditarli totalmente. Li raffigura come uomini ottusi, duri, recalcitranti che all'inizio sono insensibili alla messianicità di Gesù, poi si oppongono al suo stile e carattere, e infine la rigettano totalmente. Come colpo di grazia, Marco chiude il suo vangelo senza riabilitare i discepoli.
(Tom Dykstra, Mark, Canonizer of Paul, pag. 136, mia libera traduzione e mia enfasi)

Su questo non si discute. Si tratta certamente di un ''devastante attacco'' condotto contro i Pilastri. Si tratta di vedere dunque qual è la probabilità che il Pilastro Giacomo sia fratello biologico di Gesù (stante le premesse sopra fissate) contro la probabilità che non lo sia.

Sia sotto l'ipotesi della storicità che sotto l'ipotesi del mito, è semplicemente un Fatto che Marco ha deciso di clonare l'unico Giacomo presente in Galati 1-2 in due Giacomi distinti.

Zebedeo, tanto per mettere le cose bene in chiaro fin da subito, non è mai esistito, come Giuseppe di Nazaret, in fondo.

Zebedeo è infatti preso (direttamente o indirettamente) da questa storia tratta dal libro di Giosuè e ripresa nelle Antichità Giudaiche di Flavio Giuseppe.
Gli Israeliti si resero colpevoli di violazione quanto allo sterminio: Acan, figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zerach, della tribù di Giuda, si impadronì di quanto era votato allo sterminio e allora la collera del Signore si accese contro gli Israeliti.
Giosuè inviò uomini di Gerico ad Ai, che è presso Bet-Aven, ad oriente di Betel. Disse loro: Andate a esplorare la regione. Gli uomini andarono a esplorare Ai.
Poi ritornarono da Giosuè e gli dissero: Non vada tutto il popolo; vadano all'assalto due o tremila uomini per espugnare Ai; non impegnateci tutto il popolo, perché sono pochi.
Vi andarono allora del popolo circa tremila uomini, ma si diedero alla fuga dinanzi agli uomini di Ai.
Gli uomini di Ai ne uccisero circa trentasei, li inseguirono davanti alla porta fino a Sebarim e li colpirono nella discesa. Allora al popolo venne meno il cuore e si sciolse come acqua.
Giosuè si stracciò le vesti, si prostrò con la faccia a terra davanti all'arca del Signore fino alla sera e con lui gli anziani di Israele e sparsero polvere sul loro capo.
Giosuè esclamò: Signore Dio, perché hai fatto passare il Giordano a questo popolo, per metterci poi nelle mani dell'Amorreo e distruggerci? Se avessimo deciso di stabilirci oltre il Giordano!
Perdonami, Signore: che posso dire, dopo che Israele ha voltato le spalle ai suoi nemici?
Lo sapranno i Cananei e tutti gli abitanti della regione, ci accerchieranno e cancelleranno il nostro nome dal paese. E che farai tu per il tuo grande nome?.
Rispose il Signore a Giosuè: Alzati, perché stai prostrato sulla faccia?
Israele ha peccato. Essi hanno trasgredito l'alleanza che avevo loro prescritto e hanno preso ciò che era votato allo sterminio: hanno rubato, hanno dissimulato e messo nei loro sacchi!
Gli Israeliti non potranno resistere ai loro nemici, volteranno le spalle ai loro nemici, perché sono incorsi nello sterminio. Non sarò più con voi, se non eliminerete da voi chi è incorso nello sterminio.
Orsù, santifica il popolo.
Dirai: Santificatevi per domani, perché dice il Signore, Dio di Israele: Uno votato allo sterminio è in mezzo a te, Israele; tu non potrai resistere ai tuoi nemici, finché non eliminerete da voi chi è votato allo sterminio.
Vi accosterete dunque domattina secondo le vostre tribù; la tribù che il Signore avrà designato con la sorte si accosterà per famiglie e la famiglia che il Signore avrà designata si accosterà per case; la casa che il Signore avrà designata si accosterà per individui;
colui che risulterà votato allo sterminio sarà bruciato dal fuoco con quanto è suo, perché ha trasgredito l'alleanza del Signore e ha commesso un'infamia in Israele.
Giosuè si alzò di buon mattino e fece accostare Israele secondo le sue tribù e fu designata dalla sorte la tribù di Giuda.
Fece accostare le famiglie di Giuda e fu designata la famiglia degli Zerachiti; fece accostare la famiglia degli Zerachiti per case e fu designato Zabdi;
fece accostare la sua casa per individui e fu designato dalla sorte Acan, figlio di Carmi, figlio di Zabdi, figlio di Zerach, della tribù di Giuda.
Disse allora Giosuè ad Acan: Figlio mio, dà gloria al Signore, Dio di Israele, e rendigli omaggio e raccontami ciò che hai fatto, non me lo nascondere.
Rispose Acan a Giosuè: In verità, proprio io ho peccato contro il Signore, Dio di Israele, e ho fatto questo e quest'altro.
Avevo visto nel bottino un bel mantello di Sennaar, duecento sicli d'argento e un lingotto d'oro del peso di cinquanta sicli; ne sentii bramosia e li presi ed eccoli nascosti in terra in mezzo alla mia tenda e l'argento è sotto.
Giosuè mandò allora messaggeri che corsero alla tenda, ed ecco tutto era nascosto nella tenda e l'argento era sotto.
Li presero dalla tenda, li portarono a Giosuè e a tutti gli Israeliti e li deposero davanti al Signore.
Giosuè allora prese Acan di Zerach e l'argento, il mantello, il lingotto d'oro, i suoi figli, le sue figlie, il suo bue, il suo asino, le sue pecore, la sua tenda e quanto gli apparteneva. Tutto Israele lo seguiva ed egli li condusse alla valle di Acòr.
Giosuè disse: Come tu hai portato sventura a noi, così il Signore oggi la porti a te!. Tutto Israele lo lapidò, li bruciarono tutti e li uccisero tutti a sassate.

(Giosuè 7:1-25)




Ma un certo Achar, figlio di Zebedeo, della tribù di Giuda, trovato un manto regale tutto ricamato di oro e una verga d'oro puro del peso di duecento sicli, parendogli molto oneroso privarsi di un guadagno da lui trovato a costo di un grave pericolo, per offrirla a Dio che non ne ha bisogno, scavò un buco profondo nella propria tenda e quivi sotterrò il suo tesoro, credendo di eludere i propri compagni d'armi, e anche l'occhio di Dio. 
Ora il luogo nel quale Gesù pose l'accampamento si chiamava Galgala. Il nome significa “libero” perché, passato il fiume, essi si sentivano ormai liberi sia dagli Egiziani, sia dalle tribolazioni del deserto. 
Pochi giorni dopo la caduta di Gerico, Giosuè mandò tremila uomini in armi a prendere la città di Naja situata a nord di Gerico. Costoro attaccarono i Najetani, ma furono messi in fuga e persero trentasei uomini.  
Riferita agli Israeliti, la notizia causò grande dolore e profonda malinconia, non tanto per la perdita dei loro, sebbene i periti fossero tutti valenti persone e degne di rilievo, ma per la disperazione.  
Quando si credevano ormai padroni del paese e con l'esercito salvo, secondo le promesse fatte da Dio, vedevano ora inaspettatamente che i loro nemici si inorgoglivano. Così passarono quel giorno vestiti di sacco in pianti e lamentazioni senza neppure pensare al cibo, e nella loro tristezza ingrandivano in modo esagerato quanto era accaduto. 
Vedendo il suo esercito così abbattuto e in preda a tristi previsioni per tutta la futura campagna, Gesù si rivolse a Dio apertamente.  
“Non è con presunzione che noi siamo andati a conquistare questa terra con le armi; ma fu il Tuo servo Mosè che ci ha incitato, mentre Tu gli fornivi nuovi argomenti per sperare che ci avresti fatti padroni di questa terra, e che le nostre armi sarebbero state sempre vittoriose, non avrebbero mai ceduto di fronte al nemico.  
Alcune cose sono veramente accadute secondo le Tue promesse, ma ora sconfitti, al di là di ogni nostra aspettativa, e perdute, in parte, le nostre forze, siamo sconfortati di questa situazione, come se le Tue promesse e le predizioni di Mosè apparissero insicure; la nostra tristezza è ancora maggiore al pensiero del futuro, avendo sotto gli occhi l'esperienza funesta della nostra prima sconfitta.  
Ma Tu, padrone, puoi ben trovare un rimedio: deh, elimina con una piena vittoria il presente dolore, e la paura che abbiamo per il futuro”! 
Prostrato faccia a terra così Gesù rivolse la sua domanda a Dio. E da Dio venne la risposta che si alzasse e purificasse l'esercito dalla contaminazione che vi era stata introdotta, e dal furto di oggetti consacrati a Lui, poiché questa era la causa della recente disfatta; quando si fosse scoperto e punito l'autore, erano assicurati di una perpetua vittoria sui loro nemici. 
Gesù riferì tutto questo al popolo; e chiamato Eleazaro, sommo sacerdote, e i magistrati, iniziò a tirare la sorte per ogni tribù. Quando essa rivelò che il sacrilegio si era commesso nella tribù di Giuda, tirò ancora la sorte per le sue varie fratrie, risultò che la verità del misfatto si trovava nella parentela di Achar.  
Proseguendo l'inchiesta uomo per uomo presero Achar; ed egli non poté negare perché circoscritto troppo chiaramente da Dio, confessò il furto, e produsse i beni rubati davanti a tutti. Questo dunque fu messo a morte subito, e al cadere della notte ebbe l'ignominiosa sepoltura che si addice ai condannati.

(Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, Libro V:33-44)



Come Achar ''figlio di Zebedeo'' in quella storia biblica cercò di profittare dei beni riservati al culto, così i Pilastri storici peccarono, agli occhi dei cristiani paolini, della medesima ingordigia allorchè cercarono di profittare della colletta di soldi imposta a Paolo nella sua missione tra i pagani della Diaspora. Dunque fin da subito - vuole implicare Marco - il lettore è avvisato: non deve fidarsi di Giacomo e Giovanni ''figli di Zebedeo'', perchè tale padre, tali i figli (Nietzsche diceva: "Quello che era silente nel padre, parlava nel figlio; e spesso ho trovato nel figlio il segreto svelato del padre"). Sebbene separati dalle losche figure del padre (per via del nome) e dei suoi servi (o ben più sinistri ''mercenari'': τῶν μισθωτῶν, Marco 1:20) e quindi purificati parzialmente dal solo fatto di seguire Gesù, la loro affidabilità morale è compromessa: non aspettarti da loro cose buone, è il messaggio veicolato tra le righe.

Dunque, riepilogando in breve quello che ha fatto Marco con questo Giacomo, ecco cos'è in evidenza:

1) Marco apprende da Galati 1-2 che Giacomo il Pilastro, ''il fratello del Signore'', è un acerrimo nemico di Paolo (come Pietro, del resto).

2)
Marco crea dal nulla vignette specifiche che prevedono l'assegnazione di ruoli (il ruolo di chi pretende essere il primo dei discepoli) e l'assegnazione di fittizie parentele (l'etichetta di ''figlio di Zebedeo'' con annesso e connesso il disprezzo implicito in tale nome sospetto) o etichette o nomignoli (Cefa è chiamato Pietro non perchè sarà la roccia sui cui fondare la chiesa e ''le porte degli inferi non prevarranno su di essa'', come avverrà nel giudeocristiano Matteo, ma perchè sulla pietra diventa sterile la Parola di Dio nella parabola del Seminatore) al puro scopo di denigrare chi nella Storia fu oppositore giudeocristiano di Paolo.


In aggiunta, la parabola [del Seminatore] in sè è una parte integrale di un persistente sforzo per tutto il vangelo di screditare Pietro e i discepoli. In greco è tutto fuorchè impossibile mancare l'allusione a Pietro (Πέτρος) nelle considerazioni circa ''il terreno sassoso'' (τὸ πετρῶδες), specialmente dal momento che Gesù assegna il nome ''Pietro'' a Simone appena prima della parabola. Altri paralleli esplicitano che il resto dei discepoli sono duri come pietre insieme a Pietro.
(pag. 129, mia libera traduzione e mia enfasi)



Perciò, vista l'estrema facilità con cui Marco poteva liberamente far sbucare dal nulla per il Pilastro storico Giacomo tanto di padre fittizio (Zebedeo) e dunque di fratello fittizio (Giovanni) e di ruolo fittizio (aspirante al primo posto) solo per pura antipatia nei confronti del leader storico dei giudeocristiani, allora verrebbe da domandare legittimamente SE, con la stessa facilità, Marco avrebbe dato sempre allo stesso storico Giacomo il Pilastro una madre fittizia (Maria) e dunque un fratello fittizio (Gesù, al di là se esistito o meno) e un ruolo fittizio (uno dei familiari di Gesù  che accorrono preoccupati della sua sanità mentale).

Il sospetto è legittimo in virtù di quanto fa emergere giustamente in evidenza Dykstra:



Ma pù specificamente, la risposta di Gesù all'arrivo dei parenti che cercano di afferrarlo richiama l'affermazione di Paolo su Dio che non fa riguardi personali in Galati. In Galati quel tema è importante a Paolo nell'asserire la sua autorità vis-à-vis agli altri apostoli, e qui proprio quel punto è reso tanto fortemente quanto possibile: persino una stretta relazione familiare non importa a Gesù, persino una relazione madre-figlio non importa, tutto ciò che importa è fare la volontà di Dio. Per enfatizzare il tema, Marco lo ripete in 6:1-6 dove racconta che anche i residenti del villaggio natale di Gesù si rifiutano di accettarlo:
Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Anche questo funziona per ribadire l'argomento di Paolo, infatti la conclusione logica è chiara: nessuna stretta relazione con Gesù durante il suo ministero terreno, neppure persino quella di un parente come ''Giacomo il fratello del Signore'' (Gal 1:19) rivestirebbe automaticamente qualcuno di autorità sulla comunità messianica stabilita nel suo nome.
(pag. 107-108, mia libera traduzione e mia enfasi)

Dykstra è stato davvero in gamba a tener separato, per quanto gli è stato possibile, l'obiettiva descrizione di quello che stava facendo Marco nella sua creazione da quello che Dykstra pensa personalmente riguardo ai reali pensieri di Marco sulla storicità di Gesù.
Si noti come, nelle parole di Dykstra, perfino l'identità di Giuda fratello di Gesù è resa fittizia dal ricordare fin troppo da vicino il nome del più famoso traditore, Giuda Iscariota.



L'evangelista potrebbe aver aggiunto qualche più sottile indizio nella stessa direzione. Appena prima dell'affermazione circa un profeta senza onore '''tra i suoi stessi parenti'', uno dei fratelli di Gesù è identificato come ''Giuda''. Il solo altro Giuda in Marco è il traditore; perfino se questo Giuda non è esplicitamente chiamato un traditore o nominato Iscariota, il nome veicola connotazioni negative nel secondo vangelo.
(pag. 108, mia libera traduzione e mia enfasi)

Dunque, mi domando, cosa è più probabile? Che Marco pensasse davvero che Giacomo il Pilastro fosse il fratello biologico di Gesù non esitando a sdoppiarlo in due Giacomi per meglio disprezzarlo anche nel ruolo di apostolo? Oppure che Marco sdoppiasse Giacomo il Pilastro ''il fratello del Signore''  (qualsiasi cosa l'espressione volesse significare, tranne che ''fratello carnale'') in più Giacomi per meglio offenderlo addirittura nel ruolo paradossale di ''fratello carnale di Gesù'' e nel ruolo meno paradossale di discepolo di Gesù?

La risposta, non essendo ovviamente conclusiva, dipenderà certamente da dove pende la bilancia alla luce della restante evidenza in Marco, da come si comporta Marco in altre simili situazioni.

E l'evidenza in Marco ci dice come ha operato Marco in generale nel descrivere la classe tipica di figure rea di aver rigettato il vangelo cristiano a priori, sia esso paolino o giudeocristiano, con un Gesù storico o senza.

Ovvero gli ebrei.

Ebbene, tralasciando l'ovvia allusione antisemita del nome Giuda nella vicenda relativa al traditore, è interessante sapere perchè gli abitanti di Nazaret non riconoscono la vera identità del Messia. Thomas Brodie dà la migliore spiegazione.




“Il popolo stolto in Sapienza 13:1-9 non riconosce il  technites, il supremo artigiano, e rivolge le sue attenzioni invece ad oggetti inanimati come quelle che il tekton produce   (Sapienza 13:10-14:4). E il pubblico di Nazaret non riconosce la presenza del Creatore in Gesù l'artefice di miracoli ma riesce a concentrarsi solamente sul mondo della falegnameria, e così chiamano lui un tekton.”


Anche se può essere altrettanto valida quella di Dykstra:


Se il racconto rielabora eventi dalle epistole di Paolo in eventi della vita di Gesù, è ragionevole sospettare che si sarebbero potuti rielaborare altri elementi dalle epistole di Paolo nel racconto. Per esempio, ci potrebbe essere una fonte paolina per l'identificazione del Gesù di Marco come un τέκτων in 6:3. Quella parola è spesso tradotta ''falegname'' ma significa più generalmente ''costruttore'', e quello è il significato tipicamente attribuitogli in 1 Corinzi 3:10, dove Paolo paragona sé stesso ad un αρχιτεκτων, spesso tradotto ''mastro costruttore''. Le parole sono le stesse ad eccezione del prefisso in 1 Corinzi.

Non è costui il falegname (τέκτων), il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
(Marco 6:3)
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto (αρχιτεκτων) io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce.
(1 Corinzi 3:10)

Per sé questa poteva essere una coincidenza, ma considerando tutti gli altri chiari casi dove Marco ha usato 1 Corinzi e ha adattato materiale paolino per renderlo nel materiale di Gesù, sembra esserci una buona chance che questo proprio non sia una coincidenza.
(pag. 156-157, mia libera traduzione e mia enfasi)


Quindi qui Gesù è reso addirittura un τέκτων per fare un perfetto punto teologico del tutto autosufficiente a ''spiegare'' l'episodio.

Fatti della realtà materiale, empirica:

1) l'essere un τέκτων,

2) l'avere ''fratelli'' e una ''madre'',

3) l'avere dei ''compaesani'',

vengono puntualmente introdotti per fare corrispondenti punti teologici (e solamente teologici) intorno a Gesù:

A) non essere riconosciuto il vero architetto, αρχιτεκτων, dell'intero universo, ossia l'agente divino della creazione,

B) non avere veri fratelli se non nella Chiesa

C) non meritare fede e comprensione e riconoscimento se non dai gentili.


I punti imbarazzanti 1, 2 e 3 sono introdotti da Marco al solo fine di poter fare i punti A, B e C.

I punti A, B e C non sono introdotti da Marco allo scopo di poter nascondere o giustificare l'imbarazzante verità storica dei punti 1, 2 e 3 (come vorrebbe l'errata applicazione dell'assurdo Criterio di Imbarazzo).

Per Marco il concetto di ''fratello carnale di Gesù'' è concetto teologico: è fratello di Gesù ''nella carne'' chi è un falso ''fratello del Signore'' per definizione. Chi vuole giudicare Gesù dai suoi ''fratelli nella carne'' penserà erroneamente che anche Gesù sia come loro ''nella carne'', ma Gesù è del cielo, non è mai stato nè mai sarà sotto il dominio della ''carne'' (se non durante le poche ore che durò il sacro dramma nel mito originario). Non si tratta di docetismo, ma di pura allegoria (perchè il docetismo presuppone comunque la storicità e dunque il suo scopo non è l'allegoria).

Paradossalmente, il punto di Marco mettendo in bocca agli increduli abitanti di Nazaret (di per sè per definizione falsi compaesani di Gesù, il quale in realtà proviene dal cielo che è la sua originaria dimora) quel retorico interrogativo con tanto di elenco imbarazzante dei fratelli di Gesù ''nella carne'', è esattamente l'opposto di chi, storicista, pensa a reali fratelli biologici di Gesù: come gli abitanti di Nazaret non riescono a identificare il Signore supremo & architetto dell'universo e i veri ''fratelli del Signore'' (vale a dire, i cristiani paolini) perchè tratti in inganno dalla loro cecità e dalla mera apparenza di un ''falegname'' e dei suoi meri ''fratelli nella carne'', così gli stessi reputati (dai giudeocristiani) fratelli di Gesù ''nella carne'' sbagliano di grosso se credono di essere chissà chi e di meritare chissà quali poteri di fronte agli altri cristiani per il solo fatto di essere reputati tali (erroneamente) dai giudeocristiani (ma non da Gesù, che li ha anzi in precedenza ripudiati).


La logica di Marco è la seguente:

1) Paolo aveva scritto che i Pilastri sono considerati importanti dalla gente (ma non da Dio, il quale ''non ha riguardi personali'').

2) di conseguenza Marco assegna ai Pilastri il più prestigioso ruolo possibile e inimmaginabile che potrebbe rendere qualcuno importante a priori agli occhi della gente - ma non di Dio -,  dato un Gesù ''storico'': essere ''fratelli carnali di Gesù'', cioè fratelli di Gesù ''nella carne''.

3) dunque, Gesù, in Marco (come Dio, in Paolo), non riserva alcun riguardo ai suoi fratelli carnali, i Pilastri, perchè a lui interessano solo la sua autentica ''famiglia'', ossia i veri ''fratelli del Signore'', cioè i cristiani paolini. Come Marco.


Apprezzo ora ancor di più la profondità di queste parole di Richard Carrier:


Inoltre, è proprio altrettanto probabile che tale controllo dell'utilizzo della frase sia occorso nell'altra direzione, e che solamente i cristiani che avevano raggiunto la fase più alta di iniziazione avevano il permesso di essere riferiti con la frase completa ''fratelli del Signore''. Questo corrisponderebbe a quel che riporta Clemente di Alessandria, cioè che i cristiani che raggiungono la più alta fase di iniziazione erano loro soli pieni eredi, e quindi pienamente i figli di Dio (e così proprio altrettanto pienamente i fratelli del figlio di Dio: si veda l'Elemento 13). Dal momento che questo è proprio altrettanto probabile (o proprio altrettanto improbabile), persino la possibilità che la frase ''fratelli del Signore'' fosse controllata nell'uso per significare solo parenti biologici è allora contaminata dall'eguale possibilità che essa fosse controllata nell'uso a significare soltanto apostoli di rango supremo. Nella misura in cui ciascuna è altrettanto probabile su considerazioni a priori, nessuna prevale. Ed ancor più probabile di entrambi è che ''fratelli del Signore'' sia semplicemente come i cristiani comunemente chiamavano sé stessi prima di acquisire il nome di ''Cristiani'' (un appellativo di cui Paolo non mostra alcuna conoscenza). L'uso della frase completa sarebbe allora non necessaria se non occasionalmente per enfasi, di qui Paolo ripetutamente parla di cristiani che sono semplicemente ''i fratelli'', perchè ognuno comprendeva che era il diminuitivo di ''fratelli del Signore''.
Questo rende ''fratello del Signore significa cristiano''  la più semplice ipotesi (essa richiede il minimo di assunzioni ad hoc).
(On the Historicity of Jesus, pag. 585, mia libera traduzione, corsivo originale, mio grassetto)



Chi sono allora i famigerati fratelli di Gesù ''nella carne'', ovvero esempi di coloro che non meritano di essere veri e autentici ''fratelli del Signore''?

Essi sono Giacomo, Iose, Giuda e Simone.

Il nome Giuda, Dykstra docet, è allusione a Giuda Iscariota (il male di cui è colpevole Giuda, ossia i Dodici apostoli).


L'evangelista perfino predice la possibilità che un lettore possa mancare il punto e supporre che, dopotutto, persino se i discepoli hanno fatto alcuni errori fin dal principio, Gesù li scelse per essere leader, e così dovrebbero essere rispettati come tali. In altre parole, forse il mero status di essere un apostolo, uno degli originari Dodici, dovrebbe essere riconosciuto come un marchio di autoirtà. Marco attacca pure quell'opinione.

In 3:19 dove Gesù costituisce Giuda uno dei dodici, Marco lo identifica indicando il suo soprannome Iscariota e aggiungendo che era destinato a tradire Gesù. Il successivo riferimento ad un Giuda (fuori della lista dei fratelli di Gesù) è nella scena del tradimento. In 14:10 egli è ''Giuda Iscariota, uno dei dodici'', e nel verso 43 egli è ''Giuda, ... uno dei dodici''. La frase ''uno dei dodici'' è superflua in prima istanza dal momento che il nome Iscariota chiaramente identifica la persona. È perfino di più così in seconda istanza dal momento che il Giuda in questione è già stato identificato. Ed è perfino più superfluo all'ultima cena dove Gesù è con i dodici e annuncia che ''È uno dei dodici'' che lo tradirà (14:20), dal momento che lui ha già detto ''uno di voi mi tradirà'' (14:18). Comunque, Marco non scrive parole superflue, ed egli enfatizza i punti ripetendoli.

La più stretta interpretazione è che l'evangelista ha voluto collocare extra forte enfasi sul fatto che Giuda era uno dei dodici; o, in altre parole, non ha voluto lasciare nessuna possibilità che i suoi uditori manchino il punto che uno dei dodici tradì Gesù. Il lettore deve naturalmente inferire che una mera appartenenza nei ranghi dei ''dodici'' . oppure, nel contesto di una epistola paolina, un mero status come uno degli ''apostoli prima di me'' - non dovrebbe automaticamente conferire autorità a qualcuno. Questa impressione è stabilita dal fatto che in Marco nessuna motivazione è esplicitamente attribuita a Giuda, che altrimenti farebbe dell'atto proditorio più una deviazione personale che un punto circa il suo status come uno dei dodici. Sembra come se Giuda esiste nella storiella solamente in ordine di fare il punto che uno dei dodici tradì Gesù.
La storia di Giuda mostra anche che alla fine non sono solo gli oppositori di Gesù nella casta ebraica che causano la sua rovina, ma è anche il tradimento da dentro i propri ranghi - o per ridirlo nei termini specifici del tempo di Marco e della prospettiva di Paolo, i reali traditori sono tra la leadership giudeocristiana, non tra gli ebrei non cristiani. Il nome Giuda (''Giudeo'') corrisponde così bene all'opinione di Paolo che i suoi oppositori erano traditori della croce di Cristo essendo zeloti delle tradizioni ebraiche, che è ragionevole supporre che Marco deliberatamente nominò il traditore Giuda per quella ragione.
(pag. 116-117, mia libera traduzione e mia enfasi)

Il nome Giacomo è allusione a Giacomo il Pilastro (il male di cui è colpevole chi è allegoricamente ''figlio di Zebedeo'').
Il nome Simone è allusione a Pietro (il male di cui è colpevole Simon Pietro).

E Iose? A meno che non abbia ragione Robert Price nel sostenere che la frase originaria recitava in realtà così


Non è costui il falegname, il figlio di Maria e di Iose, il fratello di Giacomo, di Giovanni, di Giuda e di Simone?

e non così


Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone?

con ''Giovanni'' al posto di ''Iose'' (allusione al male di cui è colpevole l'altro ''figlio di Zebedeo'', Giovanni il Pilastro), allora quel ''Iose'' è più probabilmente un indizio inserito lì da Marco per poter permettere più tardi al lettore esoterico di identificare chi è la Maria menzionata in Marco 15:47 :


Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano a osservare dove veniva posto.

e in Marco 16:1 :


Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo.

e successivamente in Marco 15:40 :


Vi erano anche alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome,


e dunque per poter alludere nuovamente al Pilastro Giacomo mero fratello di Gesù ''nella carne'' , attraverso la sua madre fittizia e la sua incapacità di realizzare le istruzioni divine informando Pietro di precedere Gesù nella Galilea dei Gentili (dove già è in azione il primo e il più grande degli apostoli, ovvero Paolo). Il lettore, al termine del vangelo, non saprà mai come agirà Pietro, anzi esiste la concreta possibilità che Pietro nel finale non scritto dell'allegoria non farebbe mai più ritorno in Galilea - nella Galilea dei Gentili - per colpa della madre di Giacomo che non lo ha informato, per il terrore, della direttiva divina, disubbidendo così alle istruzioni del ''giovane vestito di bianco'' (Marco 16:8): chi ha occhi per vedere sospetterà allora GIACOMO di aver influenzato negativamente Pietro mettendolo contro Paolo. Pietro, agli occhi del paolino Marco, è meno colpevole di Giacomo il Pilastro. Perchè, nella Storia, a rompere la già precaria tregua tra Pietro e Paolo ad Antiochia furono alcuni ''venuti da Giacomo'', più oltranzisti nell'opposizione a Paolo di quanto lo fosse mai stato Pietro.


Le azioni della ''madre e dei fratelli'' di Gesù si riflettono negativamente su di loro, dal momento che reagiscono così negativamente al sentito dire. E le loro azioni sono addirittura peggio di quelle: non è solo che credono al sentito dire senza udire il loro figlio e fratello, ma il sentito dire neppure riporta qualcosa di malvagio su di lui, riporta solo le sue guarigioni e i suoi esorcismi. Questo si adatta perfettamente al tema della vicenda inserita tra l'episodio quando la famiglia di Gesù parte nel tentativo di afferrarlo e l'episodio del loro arrivo:


Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; dicevano infatti: «È fuori di sé».
Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni».
Ma egli li chiamò e con parabole diceva loro: «Come può Satana scacciare Satana?
Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi;
se una casa è divisa in se stessa, quella casa non potrà restare in piedi.
Anche Satana, se si ribella contro se stesso ed è diviso, non può restare in piedi, ma è finito.
Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire i suoi beni, se prima non lo lega. Soltanto allora potrà saccheggiargli la casa.
In verità io vi dico: tutto sarà perdonato ai figli degli uomini, i peccati e anche tutte le bestemmie che diranno; ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna».
Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito impuro».
(Marco 3:21-30)

L'ascoltatore di questa vicenda-dentro-una-vicenda può prontamente vedere la connessione: la madre e i fratelli di Gesù sono proprio molto simili a quelli scribi, infatti credono che sia pazzo perchè ascoltano che sta guarendo le persone e sta cacciando i demoni.
(pag. 106-107, mia libera traduzione e mia enfasi)


Che gli scribi e i farisei non siano nient'altro che cloni letterari dei giudeocristiani (ancora vivi e vegeti al tempo di Marco) è evidenziato in particolare dall'espressione:


Gli scribi, che erano scesi da Gerusalemme, ...
(Marco 3:22)

Sappiamo benissimo chi sono questi scribi: ovvero gli uomini venuti da Giacomo in Galati per intralciare l'azione di Paolo.



Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: «Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?».
(Galati 2:11-14)


In Marco gli scribi dicono che ''scaccia i demòni per mezzo del capo dei demòni'', e in tutta risposta Gesù sottolinea che una casa divisa non può reggere. Quest'immagine di una divisione dentro una comunità parallela la divisione che risultò nella comunità di Paolo quando le azioni di Pietro indussero gli ebrei a separarsi dai gentili. L'intera scena, in cui gli accusatori sono essi stessi colpevoli parallela quella di Galati, che inizia con un'allusione alle accuse contro Paolo (Gal 1:8-10; si veda 5:11), e termina con la proclamazione che gli oppositori di Paolo sono ''separati da Cristo . . . decaduti dalla grazia'' (Gal 5:4; si veda 1:8-9). La finalità di quelle due ultime frasi suona simile alla proclamazione di Gesù che ''chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato in eterno: è reo di colpa eterna'' (Marco 3:29). 
(pag. 153, mia libera traduzione e mia enfasi)


Se ho ragione, allora i fratelli di Gesù ''nella carne'' in Marco prendono i loro nomi da almeno due dei tre Pilastri storici: Giacomo e Cefa.

Se fosse così, allora l'evidenza pro-storicità di Galati 1:19 si riduce all'evidenza che abbiamo di un ''Cefa fratello biologico di Gesù''. O di un Giacomo ''figlio di Zebedeo''. O di reali scribi e farisei in disputa con Gesù. Ovvero zero evidenza.


La logica di Marco appena descritta è dunque quella più probabile: in tutti gli altri casi infatti Marco applica la stessa logica.
Ad esempio:

1) Paolo dice di essere l'ultimo degli apostoli, e di essersi fatto servo di tutti per guadagnare il maggior numero di proseliti.
2) Marco assegna ai Pilastri il desiderio di essere i primi, dato un Gesù ''storico'': essere alla destra e alla sinistra di Gesù quando instaurerà il regno messianico.
3) dunque Gesù, in Marco, disattende le loro aspettative facendo dell'ultimo di tutti (sottinteso: Paolo) in realtà il primo (oltre a conferire ironicamente ai due ladroni l'onore della destra e della sinistra nella gloria della Croce, la chiave del Segreto Messianico in Marco).

Un altro esempio:

1) Paolo racconta di aver rimproverato e ''condannato'' Pietro ''in pubblico'' quando Pietro lo tradì ad Antiochia.
2) dunque Marco si inventa una Storia in cui Pietro è rimproverato e ''condannato'' in pubblico, dato un Gesù ''storico'': viene chiamato ''Satana'' da Gesù, ''guardando i suoi discepoli''.


Un altro esempio ancora:


Un esempio è il modo che ripetutamente ha Marco di far esporre a Gesù i suoi insegnamenti ai discepoli ''privatamente'' (κατ’ ἰδίαν):


Senza parabole non parlava loro ma, in privato (κατ’ ἰδίαν), ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
(Marco 4:34)


Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte (κατ’ἰδίαν), loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro...
(Marco 9:2)

 Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte (κατ’ ἰδίαν): «Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».
(Marco 13:3-4)

Questo scenario del maestro che privatamente espone il suo insegnamento ad un gruppo ristretto di leader della sua comunità è precisamente quello che fa Paolo in Galati:


...vi andai però in seguito a una rivelazione. Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente [κατ’ ἰδίαν] a quelli che erano più rinomati, per non correre o aver corso invano.
(Galati 2:2)

''Quelli che erano più rinomati'' in Galati sono Pietro, Giacomo, e Giovanni, gli stessi tre nominati in Marco 9:2 e gli stessi nominati con l'aggiunta di Andrea in Marco 13:3-4.
(pag. 155-156, mia libera traduzione e mia enfasi)


Poichè dunque, per quanto concerne i ''figli di Zebedeo'' Giacomo e Giovanni, si vede all'opera sempre il solito pattern in evidenza dappertutto più di una volta nel vangelo di Marco a riprova che l'autore del vangelo crea delle vignette a sua completa discrezione espandendo e portando all'estremo paradosso situazioni apprese dalle lettere di Paolo, allora diventa decisamente più probabile che, in virtù della stessa logica, Marco abbia creato fittizi ''fratelli di Gesù nella carne'' con alcuni nomi dei quali allusivi deliberatamente ai Pilastri storici, al fine di ribadire che gli autentici  cristiani, i veri ''fratelli del Signore'', sono i seguaci di Paolo, i cristiani paolini.

Per estensione, tutti coloro che, pur fregiandosi del titolo di ''fratelli del Signore'', non sono seguaci del primo degli apostoli (Paolo), sono irrimediabilmente non i veri ''fratelli del Signore'' ma meri ''fratelli di Gesù nella carne''.

La spoliazione di ogni diritto di precedenza e di ogni rivendicazione del primato della chiesa rivale giudeocristiana è dunque completa.

L'ironia, stavolta non di Marco, ma della Storia, fu che, col processo di storicizzazione di Gesù sulla Terra inaugurato dalle allegorie di Marco e del suo rivale Matteo e portato a termine coi più letteralisti vangeli di Luca e di Giovanni, i ''fratelli di Gesù nella carne'' divennero considerati veri e propri fratelli carnali di un reale Gesù storico vissuto di recente in Judaea e considerati i suoi legittimi desposyni, con la funzione tutta proto-cattolica di assicurare, per tutta la durata della loro stessa ''esistenza'' al ''comando'' della chiesa di Gerusalemme, il mito dell'impermeabilità della chiesa primitiva alle eresie e alle divisioni (le quali, ''perciò'', erano subentrate più tardi) dunque suggellando così il mito protocattolico dell'unica origine e dell'unità originaria e armonica del cristianesimo nascente.

Se Marco inserì un Giacomo nella lista dei fratelli di Gesù in una vignetta derivata al 100% da Galati 2:6 :


Da parte dunque delle persone più autorevoli – quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno – quelle persone autorevoli a me non imposero nulla.

al solo scopo di espandere fino all'estremo paradosso lo stesso punto di Paolo nel proprio vangelo, ma in tutt'altro, diverso contesto:



Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che erano seduti attorno a lui, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Perché chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre».
(Marco 3:33-35)

perchè complicare le cose aggiungendo l'ipotesi che Marco seppe di un fratello biologico di Gesù? Quell'ipotesi non è più necessaria, una volta che è riconosciuto che la fonte di ispirazione per Marco sono le lettere di Paolo. 

Se Marco inventa un patronimico fittizio per lo stesso Giacomo delle epistole (ovvero il patronimico ''figlio di Zebedeo''),dei ruoli fittizi per quelli ''venuti da Giacomo'' (Galati 2:12, divenuti in Marco 3:22 gli scribi ''scesi da Gerusalemme''), un mestiere fittizio per Gesù (τέκτων', Marco 6:3, quando Paolo si definisce αρχιτεκτων in 1 Corinzi 3:10), ecc., allora per quale motivo Marco dovrebbe comportarsi diversamente quando cita Giacomo tra i ''fratelli'' di Gesù e tra i figli ''di Maria''?

Dunque Marco non conferma la storicità di Gesù perchè Marco non è una fonte indipendente: Marco dipende da Paolo. Perfino se Gesù è esistito e avesse un fratello di nome Giacomo, è impossibile eliminare il sospetto che Marco si inventa un gruppo di fratelli di Gesù con tanto di madre al solo scopo di portare all'estremo la conclusione già raggiunta da Paolo che ''quali fossero allora non m’interessa, perché Dio non guarda in faccia ad alcuno'' riferita da Paolo a persone che potrebbero in tutta probabilità non essere affatto fratelli carnali di Gesù, ovvero i Pilastri Pietro, Giacomo e Giovanni.

Quindi occorre interrogare l'originale (Paolo), non l'imitatore (Marco).

E quando interroghi l'originale e solo quello, ecco l'inevitabile conclusione alla quale si arriva:


Un modo di guardare a quei due passaggi sarebbe di chiedere cosa penseremo se avessimo solo le lettere (autentiche) di Paolo? Se ciò fosse tutta l'evidenza che avessimo del cristianesimo, concluderemo che Paolo stava descrivendo con il titolo ''fratello del Signore'' una relazione biologica o una relazione del culto? L'evidenza nelle lettere di Paolo da sola fortemente supporta l'esistenza della relazione del culto, mentre non fornisce nessun'evidenza di qualcuno che ha una relazione biologica col Signore. Quindi, troverai che l'interpretazione biologica è sempre basata su evidenza esterna alle lettere di Paolo. Che abbiamo analizzato nei capitoli precedenti e trovato totalmente inaffidabili. Devo concludere che non c'è semplicemente nessun'evidenza in quei due passaggi che favoriscono la storicità. Sono pienamente spiegabili senza di essa e non spiegano il silenzio che si spalanca persino in quei passaggi, molto meno il vasto e strano silenzio per tutto il resto delle lettere di Paolo - e per tutta la letteratura cristiana del primo secolo, mai nella quale i fratelli di Gesù vengono menzionati in ogni modo storicamente credibile.
Così la questione a portata di mano è quanto probabile sia che Paolo userebbe la frase ''fratelli del Signore'' nelle due occasioni in cui lo fa (in Gal. 1:19 e 1 Cor. 9:5), nel loro dato contesto (come appena analizzato), e data la nostra conoscenza di background che tutti i cristiani sarebbero noti come fratelli del Signore (Elemento 12), e se quella probabilità sia in qualche modo diversa per la storicità minimale (h) di quanto lo sia per il miticismo minimale (¬h). La mia personale conclusione è che non esiste nel caso migliore alcuna differenza in probabilità e nel caso peggiore una differenza che favorisce il mito - dal momento che sulla storicità dovremmo aspettarci assai più frequenti e assai meno ambigue discussioni della famiglia di Gesù, specialmente se (come quei passaggi implicherebbero) loro stavano recitando un ruolo di principale leadership nella chiesa al tempo. Io trovo il silenzio di Paolo in ogni altra parte, e la sua estrema ambiguità in quei due passaggi, meno probabile sulla storicità. Così la mia più scettica stima è che questo è proprio cosa ci aspetteremmo sul miticismo (per il riferirsi di Paolo occasionalmente, e in contesti che più lo richiedono, ad altri cristiani come ''fratelli del Signore'') ma in qualche modo non quel che ci aspetteremmo sulla storicità (che più presto ci indurrebbe a sentire assai più su quelle persone), ad un rapporto di 2 a 1 (equivalente al suo essere 100% probabile su ¬h e solo 50% probabile su h).
(pag. 591-592, On the Historicity of Jesus, corsivo originale, mio grassetto)