mercoledì 11 giugno 2014

Di come Artù e Gesù ottennero entrambi una Non Vita sulla Terra





Non c'è da stupirsi che il periodo arturiano della storia inglese sia noto come l'Evo Oscuro (Dark Age), poiché non sappiamo quasi nulla degli avvenimenti e dei personaggi di quell'epoca. Non ero neppure certo dell'esistenza di Artù, anche se ritenevo abbastanza probabile che un eroe britannico chiamato Arthur (o Artur, o Artorius) abbia bloccato per un certo tempo, all'inizio del sesto secolo dell'era cristiana, le invasioni dei sassoni. C'è una narrazione di quella lotta, scritta negli anni intorno al 540, la De excidio et conquesto Britanniae di Gildas, e potremmo aspettarci che costituisca una fonte autorevole sulle prodezze di Artù, ma l'autore non fa neppure il suo nome, fatto di grande importanza per coloro che negano l'esistenza dell'eroe.
...per non essere portati a completa distruzione, prendono le armi sotto la guida di Ambrosio Aureliano, un uomo modesto, l'unico della razza romana che era casualmente sopravvissuto nel frastuono della tempesta (i suoi genitori, che avevano sempre indossato la porpora, erano morti con questa) che si è scatenata ai nostri giorni e che ci ha condotti assai lontano dalla virtù degli avi, provocano a battaglia i loro crudeli conquistatori, e per la bontà di nostro Signore ottengono la vittoria. Dopo questo, a volte i nostri connazionali, a volte il nemico, vinsero sul campo, affinchè nostro Signore possa provare questa terra alla sua maniera abituale con i suoi figli d'Israele, se lo amavano o no, fino all'anno dell'assedio di monte Badon [mons Badonicus], quando ha avuto luogo anche quasi l'ultimo, ma non l'ultimo massacro dei nostri crudeli nemici, che avvenne (come sono sicuro) 44 anni e un mese dopo lo sbarco dei Sassoni, e anche al tempo della mia nascita.
(Gildas, De excidio et conquesto Britanniae, 25-6, 540 EC, mia enfasi)




Eppure ci sono pervenute fin da allora alcune testimonianze indirette. Verso la metà del sesto secolo, proprio mentre Gildas scriveva la sua storia, i documenti superstiti ci mostrano un anomalo, sorprendente numero di uomini chiamati ''Arthur'', e il sorgere di una simile moda fa pensare che sia improvvisamente emerso il desiderio di chiamare i propri figli con il nome di un uomo famoso e potente. Non si tratta però di una prova definitiva, come non è definitivo il più antico riferimento letterario ad Artù: una breve citazione nel grande poema epico Y Gododdin, scritto verso il 600 per celebrare una battaglia tra i britanni del Nord ("un esercito nutrito a idromele") e i sassoni. Molti studiosi ritengono infatti che il riferimento ad Artù
"Fornì cibo in abbondanza ai neri corvi sul bastione della fortezza, anche se non era Artù"

 sia un'interpolazione successiva. Dopo la prima e dubbia citazione in Y Gododdin, dobbiamo aspettare altri duecento anni perché Artù compaia nelle cronache di uno storico, intervallo che certo indebolisce l'affidabilità della prova; tuttavia l'anonimo autore di una Historia Brittonum negli ultimi anni dell'ottavo secolo, dà molta importanza a tale personaggio. Significativamente, non lo chiama re, ma lo definisce dux bellorum, titolo che ho tradotto come condottiero.


A quell'epoca i Sassoni prendevano sempre più forza e crescevano di numero in Britannia. Dopo la morte di Hengest, suo figlio Horsa si trasferì nel Kent, e da lui sono discesi i sovrani di quella regione.
Fu allora che il magnanimo Artù, insieme ai re dei Britanni, combattè contro i Sassoni. E sebbene ci furono molti più nobili di lui stesso, tuttavia egli fu dodici volte scelto loro condottiero [dux bellorum], e fu altrettanto spesso vincitore. La prima battaglia a cui partecipò, fu alla foce del fiume Gleni. La seconda, la terza, la quarta e la quinta furono su un altro fiume, dai Britanni chiamato Duglas, nella regione Linuis. La sesta, sul fiume Bassas. La settima nella foresta di Celidon, che i Britanni chiamano Cat Coit Celidon. L'ottava vicino il castello di Guinnion, dove Artù portò l'immagine della Santa Vergine, madre di Dio, sulle sue spalle, e tramite il potere di nostro Signore Gesù Cristo, e di santa Maria, mise in rotta i Sassoni, e lì inseguì tutto il giorno con grande massacro. La nona  presso la Città di Legione, che è chiamata Cair Lion. La decima sulla riva del fiume che si chiama Tribruit. L'undicesima sulla montagna di Breguoin, che noi chiamiamo Cat Bregion. La dodicesima fu in un più duro contesto, quando Artù penetrò sul monte Badon. In questo scontro, novecento e quaranta caddero per la sua mano soltanto, nessuno se non il Signore dandogli assistenza. In tutti questi scontri i Britanni furono vincitori. Infatti nessuna forza può servire contro la volontà dell'Altissimo.
Più i Sassoni furono sbaragliati, più cercarono nuovi rinforzi di Sassoni dalla Germania; così che re, comandanti, e bande militari furono invitati da quasi ogni provincia.

(Dal capitolo 56 di Historia Brittonum, attribuita a Nennio ma in realtà di anonimo, IX secolo, mia enfasi)



L'anonimo autore della Historia Brittonum si basava certamente su antiche narrazioni popolari, una fonte assai prolifica dei numerosi rifacimenti della storia di Artù: questi rifacimenti raggiunsero il loro punto più alto nel dodicesimo secolo, allorché due scrittori, in due distinti paesi, trasformarono Artù in uno degli eroi di tutti i tempi. In Britannia Goffredo di Monmouth scrisse la meravigliosa e mitica Historia regum Britanniae, mentre in Francia il poeta Chrétien de Troyes introdusse molte innovazioni al racconto, tra cui Lancillotto e Camelot. Il nome Camelot può essere pura invenzione (o l'adattamento arbitrario del nome romano di Colchester, Camulodunum), ma per il resto Chrétien attingeva quasi certamente ai miti della Bretagna, che potevano avere conservato, come le leggende gallesi a cui si ispirò Goffredo di Monmouth, autentici ricordi di un antico eroe. Poi, nel quindicesimo secolo, sir Thomas Malory scrisse Le Morte Darthur, che è la prima versione della splendida leggenda di Artù con il Santo Graal, la tavola rotonda, le fanciulle fiore, le bestie parlanti, i grandi maghi e le spade incantate. Probabilmente è impossibile sciogliere il garbuglio di queste ricche tradizioni per trovare la verità, anche se in molti hanno tentato di farlo e senza dubbio altri ci proveranno. Artù è presentato come un uomo del Nord o dell'Ovest della Britannia, o dell'Essex. Un recente lavoro lo identifica sicuramente in un sovrano gallese del sesto secolo chiamato Owain Ddantgwyn, ma poiché gli autori commentano che "nessun documento esiste di Owain Ddantgwyn", l'affermazione non ci è di grande aiuto. Camelot è stata varie volte collocata presso Carlisle, Winchester, South Cadbury, Colchester e in altri dieci posti.
Per quanto si scavi nella storia, la sola cosa che pensavo si possa ricavare è che tra il quinto e sesto secolo è vissuto un uomo chiamato Artù, che era un grande generale anche se non fu mai re, e che combatté contro gli odiati invasori sassoni le sue più importanti battaglie. Non conosciamo molto di Artù, ma possiamo ricostruire abbastanza bene i tempi in cui è vissuto. La Britannia del quinto e sesto secolo deve essere stata un posto orribile. I romani che l'avevano protetta la abbandonarono all'inizio del quinto secolo e i britanni romanizzati dovettero affrontare un grande numero di nemici. Da ovest venivano i pirati irlandesi, che erano celti come loro, ma che non badavano a questa parentela quando si trattava di invadere, colonizzare e ridurre in schiavitù. A nord c'erano le strane tribù dell'altopiano scozzese, pronte a calare a sud con incursioni distruttive. Ma i più terribili nemici erano gli odiati sassoni, che prima saccheggiarono, poi colonizzarono e assoggettarono la Britannia dell'Est, e che in seguito conquistarono il centro dell'isola e lo chiamarono Inghilterra. I britanni che affrontavano quei nemici erano tutt'altro che uniti. I loro regni passavano più tempo a combattersi l'un l'altro che a respingere gli invasori, e senza dubbio c'erano tra loro anche divisioni ideologiche. I romani avevano lasciato in eredità leggi, industrie, sapere e religione, ma a quell'eredità si opponevano certamente le tradizioni locali che erano state soffocate durante l'occupazione romana, ma che non erano mai scomparse, e tra queste aveva un posto di primo piano il druidismo. I romani avevano sterminato il druidismo per il suo legame con il nazionalismo britannico (e di conseguenza antiromano) e al suo posto avevano introdotto varie altre religioni, tra cui, naturalmente, il cristianesimo. Secondo gli studiosi dell'argomento, il cristianesimo era molto diffuso nella Britannia postromana (anche se si tratta di un cristianesimo che noi stenteremmo a riconoscere), ma esisteva anche il paganesimo, soprattutto nelle campagne, e quando l'organizzazione lasciata dai romani si sbriciolò, la popolazione si rivolse probabilmente al sovrannaturale e alla superstizione. Uno studioso moderno ha suggerito che i cristiani convivessero in armonia con i resti del druidismo e che le due fedi collaborassero pacificamente, ma questa ipotesi non mi convince molto, perché la tolleranza non è mai stata il forte della Chiesa. La mia convinzione è che la Britannia di Artù fosse lacerata sia dalle lotte religiose sia da quelle politiche e dalle invasioni. Con il tempo, naturalmente, le storie di Artù assunsero un forte carattere cristiano, soprattutto nella loro ossessione per il Santo Graal, anche se è dubbio che l'esistenza di una simile coppa fosse nota ad Artù. Tuttavia, le leggende del Graal non possono essere state tutte aggiunte a posteriori, perché assomigliano molto a certe narrazioni popolari celtiche in cui si parla di guerrieri alla ricerca di calderoni magici; storie pagane a cui - come a tanti altri aspetti del mito arturiano - autori cristiani successivi apposero le loro pie correzioni, seppellendo così una tradizione molto più antica che oggi sopravvive solo nelle vite di qualche santo celtico arcaico e poco conosciuto. Quella tradizione, curiosamente, ritrae Artù come un uomo infido e un nemico della cristianità: a quanto pare, la Chiesa celtica non amava Artù e dalla vita dei santi parrebbe che egli si fosse appropriato del tesoro della Chiesa per finanziare le sue campagne militari. Questo potrebbe spiegare perché Gildas, un religioso che fu quasi contemporaneo di Artù, si rifiutasse di accreditargli le vittorie che fermarono provvisoriamente l'avanzata dei Sassoni.
Una delle poche cose di cui possiamo essere certi è il vasto scenario storico in cui è collocato il presunto Artù storico: una Britannia dove sopravvivono ancora le città, le strade, le ville e una parte delle strutture civili romane, ma dove l'organizzazione sociale sta rapidamente degenerando a causa delle lotte intestine e delle invasioni. Alcuni britanni hanno già rinunciato alla lotta e si sono trasferiti in Bretagna (Armorica), e questo spiega la persistenza delle leggende arturiane in quella regione della Francia. Ma i britanni rimasti nella loro amata isola in quel periodo cercavano disperatamente la salvezza, sia spirituale sia militare, e in quell'infelice paese comparve un uomo che, almeno per qualche decennio, riuscì a respingere il  nemico. Quell'uomo era il mio Artù, un grande guerriero e un eroe che riuscì a vincere a dispetto delle avversità, e in maniera così soverchiante che ancor oggi, dopo quindici secoli, i discendenti dei suoi antichi nemici - gli anglosassoni - amano le sue gesta e ne serbano con affetto il ricordo.

Questo pensavo, ed in questo credevo. Almeno fino a quando, nella mia ricerca di altri personaggi in origine mitici e poi finiti storicizzati nella ''storia'', alla stessa maniera di Gesù, non mi sono imbattuto in un altro libro, il solo che merita davvero di essere letto oltre (ovviamente) al libro-evento dell'anno, e sto parlando di:

Concepts of Arthur: The Making of a Legend  di Thomas Green (che insegna nella prestigiosa università di Oxford).

Il libro è di grandissimo valore, perchè dimostra in primis due cose:


1) come sia decisamente più sereno il dibattito attorno alla questione della storicità di un personaggio storico, nel caso il personaggio ivi inteso non è Gesù.

2) come l'essenza degli argomenti volti a mettere scientificamente in discussione la storicità di Artù non si discostano poi tanto, almeno prima facie, da quelli impiegati per mettere in discussione l'esistenza storica di Gesù.
 
Del primo aspetto non c'era il bisogno di sottolinearne la presenza e il perchè è noto a tutti (nessuno è seguace della religione nota come ''arturianesimo'' laddove due miliardi sono folli adepti della religione nota come ''cristianesimo''), ma mi soffermerò in particolare sul secondo: i paralleli sono impressionanti.

E si badi: non i paralleli tra Gesù e Artù (Occam vieta), ma i paralleli nel processo di dimostrare per entrambi la loro fondamentale non-storicità.

Al punto che posso definire Thomas Green il ''Richard Carrier'' della ricerca dell'Artù storico.

Avevo già definito in altro post per quale motivo ritengo Maometto probabilmente esistito, a differenza di Gesù.

Ora intendo spiegare cosa mi ha fatto cambiare idea in merito alla storicità di Artù. Se prima lo consideravo un personaggio del passato reale, nei termini appena descritti, ora invece non lo posso più considerare tale, a fronte dell'enorme evidenza portata da Thomas Green e che esclude virtualmente la stessa possibilità di concepire un ''Artù storico''.

Insomma, il medesimo drastico cambiamento di pensiero che ho avuto su Gesù dopo aver letto il profondo Jesus: Neither God Nor Man di Earl Doherty.

Come mero effetto collaterale, qui intendo esplicitare per quale motivo io ritengo Artù, pur essendo probabilmente mitologico in origine, comunque assai meno di quanto lo sia di fatto il Gesù di Paolo.
Detto in altri termini: perchè, qualora dovessi scommettere obbligatoriamente sulla storicità di Gesù oppure di Artù, senza altre alternative tra cui scegliere a parte una di quelle due, in cambio della mia stessa vita, opterei decisamente per la scommessa sull'esistenza del secondo e per nulla affatto del primo.


Quello che segue è la mia libera traduzione (con enfasi aggiunta) di buona parte di un articolo accademico di Thomas Green intitolato ‘The Historicity and Historicisation of Arthur’ dove riassume il suo caso a favore di un Artù mitico e contro l'ipotesi di un Artù storico. Intermezzerò le sue parole dove necessario indicando puntualmente i dovuti paralleli con il miglior caso a supporto di un Gesù mitico.

Molte diverse teorie sono disponibili a riguardo dell'‘identità’ di Artù e qualche breve nota metodologica sarà qui trovata considerando la ricostruzione di tali identificazioni.

Anche se queste teorie sono interessanti, non riescono ad affrontare pienamente un interrogativo importante - c'era uno storico Artù post-romano? Molti libri, articoli e pagine web semplicemente fanno l'ipotesi a priori che ci deve essere una figura storica dietro le leggende arturiane. Tale ipotesi è del tutto ingiustificata. Come saprà chiunque del tutto familiare con la letteratura medievale in generale, la storicizzazione di personaggi non-storici/mitici - spesso attraverso l'associazione con alcuni importanti eventi del passato - non è in alcun modo un evento insolito. Alcuni esempi di questo che probabilmente in modo particolare interesseranno i lettori di questo articolo sono Hengest e Horsa, che erano divinità-cavallo totemiche del Kent storicizzate per l'ottavo secolo, con un ruolo importante nella conquista anglosassone del V secolo della Britannia orientale (vedi Turville-Petre, 1953-7, Ward, 1969; Brooks, 1989; Yorke, 1993); Merlino (il gallese Myrddin), che fu un omonima figura fondativa derivata dal toponimo Caer-fyrddin e storicizzato con le gesta di un Lailoken (vedi Jarman, 1991); e il semidio norvegese Sigurd/Siegfried che fu storicizzato tramite l'associazione con una famosa battaglia storica tra Unni e Burgundi datata dell'anno 437 d.C., nel Cantico dei Nibelunghi (Thomas, 1995: 390). Detto questo, nessun giudizio a priori può essere fatto se una figura è, in origine, storica, mitica o fittizia - ogni singolo caso deve (e può solo) essere deciso da un attento esame di tutto il materiale pertinente. Quando abbiamo figure come Artù dipinte come storiche dobbiamo pertanto, ad un livello molto elementare, guardare sia ad un personaggio storico sia ad una figura leggendaria che divenne storicizzata, con nessuna spiegazione meritando priorità a priori - si deve riconoscere che si può solo dire che ci deve essere stato un Artù storico una volta che tutto il materiale è stato valutato e questo deve essere dimostrato essere il caso; non esiste nessuna giustificazione per semplicemente assumerlo.


Anche Richard Carrier pone come primo ordine di affari,
se si ha seria intenzione di confutarlo per davvero, che in primo luogo ogni ipotetico Consensus è del tutto indegno di fiducia quando fondato meramente su metodi logicamente fallaci (come i cosiddetti ''criteri di autenticità'' che si sono rivelati autentici ''criteri di confusione'') ed ignoranza di fatti chiave (come aver trascurato altre ipotesi alternative e più semplici in grado di spiegare la medesima cosa). In secondo luogo Carrier si preoccupa di non difendere stravaganti teorie miticiste specie quelle diffusesi sul web da dilettanti come Pier Tulip o incompetenti come Alessio e Alessandro De Angelis, spesso illogici o basicamente scorretti. Insomma, per Richard Carrier qualunque presunzione di possedere l'Unica & Sola Verità DEVE ESSERE SFIDATA. Soprattutto quando quelle presunzioni errate sono state partorite dal cervello malato di studiosi cristiani e criptocristiani, ed ancora vengono adottate da studiosi secolari ignari di riconoscere le reali proporzioni dell'influenza a cui è stata sottoposta la ricerca del passato da pregiudizi teologici di parte e da interessi più o meno apologetici in natura. 


Nelle parole di Carrier rivolte allo storicista Bermejo-Rubio:
Noi possiamo immaginare semplici Gesù terreni più tardi miticizzati, ma così io posso immaginare anche semplici Gesù cosmici più tardi storicizzati. Ma costringerli ad adattarli all'evidenza non è un semplice affare. Prima facie, non può esser fatto, per ciascuno dei due. Bermejo-Rubio amerebbe usare logica circolare e proprio arbitrariamente sbarazzarsi di tutte le affermazioni su Gesù che lui non trova plausibili, e poi inspiegabilmente fingersi sorpreso che quello che ha lasciato è plausibile, e perciò una semplice spiegazione di tutta l'evidenza. Non lo è. Un miticista può fare lo stesso: solo sbarazzarsi arbitrariamente di tutte le pretese su Gesù che non trova plausibili, e poi inspiegabilmente fingersi sorpreso che quello che è lasciato è plausibile, e perciò una semplice spiegazione di tutta l'evidenza. Che lo stesso metodo rivendica entrambi i risultati è abbastanza per provare il metodo invalido.
Quindi, prima facie non funziona. Noi possiamo solo raggiungere una valida conclusione secunda facie.

Ma torniamo ad Artù:


Il seguente articolo è destinato a fornire un resoconto sommario e una bibliografia delle più recenti ricerche accademiche di Artù con un focus particolare sulla questione della storicità. A parte i vari articoli e libri citati, molto di ciò che segue è stato discusso in dettaglio sulla discussion list della International Arthurian Society, Arthurnet, in un moderato dibattito che ho avuto il grande piacere di presiedere. I risultati di questa discussione, compresi tutti i commenti inviati, possono essere trovati negli archivi Arthurnet.

2 L'Artù Storico: una Rassegna Analitica e Bibliografica
Tutta l'inchiesta sull'Artù ‘storico’ deve procedere dalle fonti. Una delle fonti più importanti per lo studente della Britannia post-romana è l'archeologia e, in effetti, il caso a volte è fatto che è la nostra unica fonte attendibile (si veda, per esempio, Arnold, 1984). Se si guarda alla possibile storicità di Artù però, l'archeologia non può davvero aiutare come trattare siti di cui nessuna persona - si può dimostrare che un sito è stato occupato nel periodo giusto, ma solo molto raramente (cioè, quando abbiamo un'iscrizione) - può dire chi ne era l'occupante. L'unica parte di dati archeologici che sarebbero potuto essere significativi al dibattito è la croce di Glastonbury con tanto di denominazione di Re Artù come l'occupante della tomba che si suppone ritrovata nel 1181 dai monaci di Glastonbury. Alcuni hanno suggerito una data a metà del decimo - o undicesimo - secolo per questo (per esempio, Radford, 1968; Alcock, 1971), ma è ormai chiaro che era il prodotto di una frode del tardo XII secolo e dipendente dall'Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, e quindi di alcuna utilità nella ricerca di un Artù storico (vedi Rahtz, 1993; Carey, 1999; Carley, 1999; Gransden, 1976; Somerset e Dorset Notes & Queries for 1984, c'era una copia della Historia di Geoffrey a Glastonbury risalente a circa il 1170. L'incisione su pietra di primo sesto secolo che  è stata recentemente scoperta a Tintagel non fa riferimento ad Artù, contrariamente ai rapporti di English Heritage e dei media). Ciò premesso, tutte le conclusioni per quanto riguarda la storicità di Artù, o la sua mancanza, devono essere derivate dai riferimenti testuali a lui. Il Re Artù che incontriamo nei testi medievali più tardi (e con cui le persone sono spesso più familiari) non è l'Artù di opere precedenti - poco prima del 1139 d.C. Goffredo di Monmouth (Galfridus Monemutensis) completò la sua Historia Regum Britanniae (‘Storia dei Re della Britannia’) che glorificava  Artù e lo trasformò in un signore della guerra internazionale. Questo lavoro divenne rapidamente influente in tutta l'Europa occidentale e influenzò la leggenda arturiana in tutte le aree, con il risultato che, in generale, gli studiosi guardano alle fonti scritte prima della Historia di Goffredo per l'‘originale’ Artù (cioè, nelle fonti ‘pre-Galfridiane’). Un ben noto dissidente  da questo approccio è Geoffrey Ashe (1981; 1985; 1995), il quale sostiene che Riotamus, un ‘re’  dei britanni che militò sul continente nel V secolo, è il reale prototipo storico di Artù e Goffredo di Monmouth attinse da questa tradizione nella stesura del suo opus magnum. Anche se questa teoria è molto popolare è giustamente respinto dai commentatori accademici come niente più che 'canne al vento' (Bromwich et al, 1991: 6 Vedi anche Padel, 1994, 31, n 113; Hanning, 1995; Padel,.. 1995) per il fatto che, mentre Riotamus (o le tradizioni bretoni su questa figura) poteva essere la (parziale) ispirazione per il ritratto di Goffredo di Artù, non ha nulla in comune con le tradizioni insulari di Artù e quindi non può essere il prototipo per Artù nel suo insieme (anzi, non ha nemmeno il nome corretto - Ashe spiega questo dicendo che Riotamus era un titolo e Artù era il suo vero nome, ma un critico recente (Padel, 1995) ha dimostrato che ciò è insostenibile). Quanto sopra significa che lo storico Artù, se fu esistito, si troverà nei testi pre-Galfridiani ed è a questi che ora dobbiamo rivolgerci. Le fonti pre-Galfridiane  per Artù possono essere lette in modo più conveniente in Coe e Young (1995), che fornisce traduzione con testo a fronte. Alcuni storici precedenti, come John Morris (1973), hanno cercato di utilizzare, come testi storici, tutte le fonti che menzionavano  Artù comprese, ad esempio, le vite dei santi e poesie posteriori. Questa tendenza è stata criticata correttamente e pesantemente da David Dumville (1977a), tra gli altri, soprattutto perché queste fonti non possono essere considerate in alcun modo storicamente attendibili - siamo quindi, quando si guarda ad un Artù possibilmente storico e alla luce delle osservazioni di Dumville, essenzialmente limitati a quattro elementi di evidenza che potrebbero contenere informazioni di reale valore storico: gli Annales Cambriae (Phillimore, 1888; Morris, 1980); Historia Brittonum (Morris, 1980; Dumville, 1985; Koch e Carey, 1995); la raccolta di eroici canti funebri conosciuta come Y Gododdin (Jackson, 1969; Jarman, 1988; Koch, 1997); e le quattro o cinque occorrenze del nome Artù in contesti del sesto e del settimo secolo (Barber, 1972; Bromwich 1975-6, Coe e Young, 1995: 156-65). Considerando l'ultimo di queste in primo luogo, la presenza di quattro (o forse cinque) persone che si chiamano ‘Artù’ nella Scozia occidentale e nel Galles del sesto e settimo secolo è stata spesso visto come uno dei migliori pezzi di evidenza di un Artù storico - l'argomento è, in sostanza, che la comparsa di questi nomi riflette la commemorazione di un personaggio storico precedente (si veda, ad esempio, Chadwick e Chadwick, 1932). Tuttavia una tale commemorazione del nome di un eroe storico precedente sarebbe del tutto senza precedenti nel mondo celtico e come tale non può essere affatto sostenuta come una spiegazione di questi nomi (vedi Bromwich, 1975-6: 178-79). Così questi nomi non possono essere utilizzati come prova di un Artù storico e finché continuiamo a vedere Artù come genuinamente storico  essi rischiano di rimanere un perdurante enigma (al presente c'è una sola spiegazione valida di questi nomi, quella proposto da Oliver Padel (1994: 24) - si veda nel seguito su questo. Vale la pena notare che nessuno di questi  ‘Artù’  può essere visto come l'‘originale’ Artù, pace Barber, 1972 - vedi Bromwich, 1975-6:. 179; Jackson, 1973; Roberts, 1973-4). La seconda fonte da considerare è la raccolta di eroici canti funebri più noti come Y Gododdin, relativa ad una battaglia combattuta alla fine del VI secolo. Negli ultimi anni c'è stato un notevole dibattito sulla dichiarazione in Y Gododdin che ‘Fornì cibo in abbondanza ai neri corvi sul bastione della fortezza, anche se non era Artù’ Gordur (B.38. Koch (1997) numera questo B².38). Thomas Charles-Edwards (1991: 14), basandosi sulla sua teoria di trasmissione testuale (stabilito in Charles-Edwards, 1978), ha concluso che, in quanto il riferimento si verifica solo nella versione B e non nella versione A di Y Gododdin, è necessario che sia di età non superiore all'IX o X secolo. Recentemente, tuttavia, Koch (1997) ha tentato una ‘ricostruzione’ del testo ‘originale’ di Y Gododdin e include il riferimento ‘arturiano’ in questo testo, da lui datato non prima del 638 d.C. Mentre il suo è certamente un interessante esercizio per scoprire come Y Gododdin sarebbe sembrato se fosse datato al sesto o settimo secolo, i limiti di questa ‘ricostruzione’ devono essere riconosciuti. Come qualcuno ha notato, il testo di Koch è, in realtà, una traduzione di Y Gododdin nella lingua di circa il 600 d.C. e da questo punto di vista deve essere visto nella stessa luce come la precedente traduzione di Jarman di questo testo in moderno gallese (Jarman, 1988) - Koch non ha dimostrato che Y Gododdin fu composto in questo periodo, ma solo come potrebbe esser sembrato se lo fosse stato (Padel, 1998). Infatti, Isaac ha dimostrato che tutta la teoria di Koch della creazione e trasmissione di Y Gododdin, compresa l'idea che B ne rappresenti l'Ur-testo, non può essere affatto sostenuta (Isaac, 1999). Avvertimenti simili hanno dimostrato di applicarsi alla 'ricostruzione' di Koch del poema Gweith Gwen Ystrat, con Isaac dimostrando che, mentre si può intraprendere un tale esercizio e mostrare come questo poema sarebbe apparso se fosse stato composto circa nel 600 d.C., una tale ricostruzione è del tutto ingiustificata e non c'è motivo di pensare che il testo sia stato composto in questo periodo (Isaac, 1998). Ciò premesso, appare chiaro che, nonostante le affermazioni di Koch, ‘La data di composizione [di Y Gododdin] rimane quanto mai poco chiara' (Padel, 1998: 55). Infatti Isaac (1996, 1999) ha recentemente seguito D. Simon Evans (1978) nel sostenere che non ci sono prove linguistiche tali da richiedere la datazione di Y Gododdin nel suo insieme prima del IX o X secolo e, alla luce di tutto questo, i commenti di Charles-Edwards sulla antichità dei riferimenti arturiani in questo testo devono valere. Per quanto riguarda l'awdl (‘strofa’) ‘Arthuriano’  di Y Gododdin, come fa questo riferimento a influenzare la questione della storicità di Artù, dato che Artù appare solo come un termine di paragone rispetto ad un guerriero (presumibilmente) della fine del VI secolo? Un argomento comune è che in opere come Y Gododdin le figure citate sono sempre da ritenersi storiche e quindi l'awdl arturiano sembrerebbe  indicare che per il IX o X secolo Artù fu creduto un personaggio storico, almeno per l'autore di Y Gododdin (vedi Jarman, 1989-1990; Bromwich et al, 1991). Mentre superficialmente convincente, ci sono notevoli problemi con un tale giudizio. In primo luogo, il semplice fatto della questione è che possiamo identificare solo alcuni dei personaggi che compaiono nell'antica epica eroica gallese; molte delle persone dei poemi appaiono solo lì, cosìcchè non abbiamo nessuna conoscenza se erano (o erano credute) storiche o no - è una supposizione, nulla di più, che ognuno in quei poemi fosse una vera figura storica e come tale non possiamo prendere la presenza di Artù in Y Gododdin come prova o della sua storicità o della fede nella sua storicità. In secondo luogo, l'ipotesi potrebbe anche non avere una base solida in quanto Rowland ha recentemente osservato che le persone che appaiono in queste opere (e sono riconoscibili), sono quasi tutti i personaggi storici, che Gereint come la maggior parte degli eroi identificabili in questo tipo di poema è una figura storica (Rowland, 1990). Detto questo, non vi è alcuna ragione per fare tali ipotesi. In terzo luogo, in Y Gododdin Artù è nella posizione straordinaria di apparire ‘solo per non apparire’ (Padel, 1994: 14). A differenza di Gordur o degli altri guerrieri egli non è in realtà presente alla battaglia: ‘Nell'allusione, Artù si presenta come la pietra di paragone impareggiabile di valore guerriero ed è quindi utilizzato per formare un confronto molto particolare rendendo esplicitamente inferiore l'onorando dell'awdl (‘‘strofa’’). Pertanto, se l'awdl e le linee pertinenti possono essere provate originali di Aneirin, questo ci direbbe che dal tardo VI secolo esisteva nella Britannia del Nord una tradizione di un supereroe britanno Artù...’ (Koch, 1996: 242). Anche se potremmo non essere in grado di accettare affermazioni di Koch sulla datazione, possiamo dire che Artù è essenzialmente una pietra di ‘paragone molto insolita’, non un guerriero che viene onorato; non è avvistato come essere presente alla battaglia ed è un ‘supereroe’ guerriero, qualcuno le cui altezze di valore nemmeno un uomo che ha ucciso 300 in un sol slancio poteva eguagliare. Egli è dunque di una lega diversa dal resto delle figure che appaiono in Y Gododdin e, come tale, non c'è ragione di pensare che le ipotesi tratte dalle identificazioni di alcuni personaggi del testo nel suo insieme, persino se fossero affidabili, si applicherebbero a lui. Tutto ciò che il riferimento Y Gododdin ci dice è che Artù è stato visto, per il IX o X secolo, come 'la pietra di paragone impossibile' (Padel, 1994: 14), un 'supereroe' che nemmeno il più grande guerriero vivente può eguagliare; ma non ci dice se questo riflette un mitico 'supereroe' di nome Artù o un Artù storico mitizzato e Artù non è, nel testo, in alcun modo associato alla difesa della Britannia post-romana o a qualsiasi specifico periodo storico. Alla luce del fatto che nulla di quanto sopra può aiutare nella ricerca di una possibile 'storicità' di Artù, il caso di un Artù storico poggia interamente su due fonti, la Historia Brittonum e gli Annales Cambriae, entrambi i quali sembrerebbero avere un concetto di Artù che è (almeno parzialmente) inequivocabilmente storico. La Historia Brittonum è stata scritta in forma anonima nell'Anno del Signore 829/30, l'attribuzione ad un 'Nennio' oramai considerata falsa (Dumville, 1974, 1975-6, però vedi Field, 1996). Esiste un considerevole dibattito sulla natura del testo (vedi, per esempio, Dumville, 1986; Charles-Edwards, 1991; Dumville, 1994; Koch, 1997; Howlett, 1998), ma sembra ormai chiaro che l'autore della Historia non era un compilatore ignorante e incompetente che semplicemente ha ‘fatto un mucchio’ di fonti precedenti, ma piuttosto un ‘autore’ che ha scritto la Historia Brittonum con una unità di struttura e prospettiva e si è impegnato nell'elaborazione attiva delle sue fonti, e questa conclusione è approvata dalle ricerche di David Howlett che vede la Historia come un'opera di genio architettonico che fa uso del sofisticato ‘stile 'biblico’ nella sua costruzione (Howlett, com. pers., 1998, capitolo 5. Per la tradizione celtico-latina dello stile biblico vedi Howlett, 1995). Ciò premesso, dobbiamo mettere in discussione fino a che punto l'autore abbia alterato le sue fonti per i propri scopi, quale era la natura delle sue fonti, e, quindi, quanto possiamo fidarci di ciò che leggiamo nella Historia? Dumville (1986) ha preso una linea molto pessimista su questo, sostenendo che si trattava di una fonte solamente del nono secolo e delle sue preoccupazioni. Anche se questo punto di vista è stata contestato da Thomas Charles-Edwards (1991), che identifica la Historia come una fusione di due generi storici, historia gentis e historia ecclesiastica, è ancora chiaramente il caso che ‘anche dove del credito potrebbe essere dato alla presunta fonte [di una sezione della Historia], i metodi dell'autore ... non ci incoraggiano a essere fiduciosi circa la possibilità di recuperare informazione utile relativa al periodo la cui storia stava narrando. Le sue procedure erano sintetiche ed interpretative, le sue fonti in maggioranza non contemporanee con gli eventi che intendono descrivere’ (Dumville, 1994: 419). Come tale la Historia è dal valore storico molto dubbio, per esempio, oltre al fatto che molte delle sue fonti sono di una data simile alla propria e sospette in natura, si può dimostrare che la Historia ritrae personaggi che sono decisamente mitici in origine, ad esempio Hengest e Horsa (vedi Turville-Petre, 1953-7, Ward, 1969; Brooks, 1989; Yorke, 1993), come genuinamente storici. In effetti, come una serie di recenti commentatori hanno riconosciuto, l'Historia Brittonum è infatti una storia sintetica e sincretica del tipo ben noto nell'Irlanda medievale, fondendo fonti per i propri fini politici e mirante alla creazione di una pseudo-storia nazionale completa, un processo che era strettamente alleato con la storicizzazione della leggenda (Padel, 1994: 23; Carey, 1994; Dumville, 1994; Coe e Young, 1995: 6). Direttamente relativa a questa questione del ‘valore storico’ della Historia Brittonum è il fatto che l'autore della Historia non stava scrivendo ‘storia’ come la conosciamo oggi, ma era piuttosto impegnato in qualcosa di più simile a quella che chiameremmo prediche, e questo deve essere ricordato in ogni analisi della Historia. Cercare di leggere opere come la Historia come storia lineare tradisce completamente i metodi e le ipotesi con cui sono state composte (vedi Hanning, 1966; Howlett, 1998.. N. Hinton, com. pers.). Questo ci porta al capitolo 56 della Historia Brittonum, che contiene i riferimenti a uno ‘storico’ Artù. Questo e ‘un resoconto pseudo-storico di una lista sospettosamente stereotipata di dodici battaglie contro invasori germani’(Coe e Young, 1995: 6), apparentemente combattute da Artù. Alcuni hanno suggerito (per esempio, Chadwick e Chadwick, 1932; Jones, 1964) che il capitolo 56 poteva essersi basato su una poesia scritta in gallese che è stata tradotta in latino dall'autore della Historia. Anche se questa è una proposta interessante deve essere riconosciuto che tale ipotesi è speculativa e non ci permette di dare a questa sezione della Historia una data antica. Infatti, diverse considerazioni indicano che tale ipotetica poesia risalirebbe più o meno allo stesso periodo della Historia ad ogni caso (vedi Jackson, 1945-6: 57; Jackson, 1959a: 7-8; Dumville, 1977a: 188; Jarman, 1981: 2 -3; Dumville 1986: 13-14; Charles-Edwards, 1991: 21-29; Padel, 1994). Inoltre non va dimenticato che, con lo scrittore della Historia Brittonum ora visto come un autore che attivamente manipola il suo testo per creare una sintetica pseudo-storia piuttosto che un semplice compilatore, il Capitolo 56 è stato, in qualche larga misura, la sua creazione. Questo è sottolineato dalla scoperta di Howlett (1998: capitolo 5) che questa sezione è scritto nel molto complesso ‘stile biblico’, mostrando che il capitolo 56 era una parte integrante della Historia che fu creata, fabbricata e progettata dall'autore in conformità ai suoi obiettivi e alla sua metodologia. Come tale l'idea che Capitolo 56 potrebbe rappresentare qualcosa come una presunta fonte precedente incorporata materialmente nel testo della Historia può essere respinta. Invece sembra chiaro che questo capitolo, insieme con il suo concetto di Artù, non può essere separato dalla Historia nel suo complesso, dai suoi obiettivi, la metodologia, l'unità di struttura e prospettiva con cui questa fu creata, o, invero, le osservazioni generali di Dumville e altri sulla natura della Historia e le sue fonti osservate in precedenza (vedi più avanti Hanning, 1966; Barber, 1972: 101ff; Charles-Edwards, 1991.. 21ff. sul capitolo 56 come parte integrante e inscindibile della Historia). Il meglio che possiamo quindi dire onestamente è che nella Historia Brittonum, una fonte dal valore storico molto dubbio (in quanto si può dimostrare che ritrae figure mitiche come se fossero genuinamente storiche), abbiamo evidenza dell'idea che Artù fosse una corrente figura storica per l'anno del Signore 829/30 al più tardi. La nostra ultima fonte, gli Annales Cambriae, fu compilata negli anni 950 ed a volte è considerata in grado di offrire buona evidenza della storicità di Artù (vedi Grabowski e Dumville 1984 per la datazione. Studi e commenti sul testo includono Jones, 1964; Alcock, 1971; Hughes, 1980; Grabowski e Dumville, 1984; Dumville, 1990. Charles-Edwards, 1991 e Koch, 1996 Dumville ha apparentemente un nuovo studio degli Annales di prossima pubblicazione). Si parla di Artù in due occasioni: quella dell'anno del Signore 516 che racconta della 'battaglia di Badon, in cui Artù portò la croce del nostro Signore Gesù Cristo sulle sue  spalle per tre giorni e tre notti, ed i Britanni furono i vincitori' e quella dell'anno del Signore 537, relativa a ‘la battaglia di Camlann, in cui Artù e Medraut morirono, e scoppiò la peste in Britannia e in Irlanda’. Nel valutare il valore di queste occorrenze, una notevole attenzione dovrebbe essere prestata alla data di questi annali. Jones (1964) e Alcock (1971) sono stati entrambi inclini a vedere almeno uno di questi annali come un documento contemporaneo ad Artù e, se si poteva accettarla, una simile conclusione sarebbe la ‘prova’ della storicità di Artù. Tuttavia, Hughes (1980) nei suoi studi importanti ed estesi degli Annales ha raggiunto una conclusione un pò diversa (e convincente), e questa è stata derivata da Dumville (in Grabowski e Dumville, 1984) e Charles-Edwards (1991) - gli Annales Cambriae fino al 613 è sostanzialmente una versione della ‘Cronaca d'Irlanda’, con le sezioni dal 613 al 777 derivate da materiali britanni del Nord; non c'è assolutamente alcuna giustificazione per pensare che qualcune delle righe britanne pre-613 siano tratte da fonti contemporanee o quasi contemporanee e, anzi, dovrebbero essere viste come interpolazioni retrospettive databili tra il davvero tardo VIII secolo (il periodo in cui la 'Cronaca d'Irlanda'  è stata prima portata insieme con i materiali britanni del Nord post-613 a St David, al fine di estendere a ritroso nel tempo una cronaca  conservata da quella comunità dagli anni finali dell'VIII secolo in avanti) e la metà del X secolo (quando gli Annales raggiunsero qualcosa come la loro forma finale). Infatti, alla luce di ulteriori ricerche di Dumville nella data di questo raggruppamento, il terminus post quem di cui sopra per le interpolazioni potrebbe benissimo essere spostato in avanti per la prima metà del X secolo. Guardando agli annali stessi, un punto molto importante deve essere fatto: la voce Badon negli Annales non è una testimonianza indipendente della storicità di Artù. Invece è chiaramente legato al racconto di Historia Brittonum (capitolo 56) dell'ottava battaglia di Artù al castello di Guinnion, in cui Artù porta un'icona sulle sue spalle in battaglia con lui, e, come tale il resoconto degli Annales o deriva dalla Historia Brittonum o dalla sua fonte. Thomas Charles-Edwards ha suggerito (1991: 25-28) che siano visti come duplici elaborazioni di un unico esemplare, la voce in nessun caso essendo molto più vecchia del testo in cui è contenuta (829/30 per la Historia e gli anni 950 per gli Annales). Tuttavia, una spiegazione più convincente è stata fornita da John Koch. Koch osserva che sia la Historia Brittonum e gli Annales Cambriae presentano la probabile confusione dell'antico gallese scuit ‘scudo’ e scuid ‘spalla’ e osserva che ‘tale errore di trasmissione è poco probabile essere ripetuto circa due volte’. Arriva a dire che ‘In tutti i casi, la voce di Annales Cambriae è più facilmente intesa come derivata dal racconto di Historia Brittonum’, che sembrerebbe essere lo scenario più probabile sulla presente evidenza ed è profonda anche senza il sostegno della confusione scuit/d  (v. Koch, 1996: 252-53 per la discussione, anche Barber, 1972: 105). Allo stesso modo la seconda voce riguardante Camlann è meglio vista come non-tradizionale e come avente origini nella metà del X secolo (cfr. Charles-Edwards, 1991: 25-27, 28; Ashe, 1986: 76-78; Wood, 1981: 59 - 60; Bromwich, 1978a: 487; Jarman, 1983: 109), con la conseguenza che gli Annales Cambriae non possono davvero essere considerati di qualche valore indipendente nel fare il caso di un ‘Artù storico’. Di conseguenza siamo costretti a tornare al testo della Historia Brittonum.


Dunque l'unica fonte indipendente su Artù è il breve brano di Historia Brittonum capitolo 56. La dimostrata dipendenza su quella fonte della fonte successiva Annales Cambriae esclude automaticamente quest'ultima dal gioco, esattamente come l'unica fonte indipendente su Gesù è il primo e più corto vangelo, quello di Marco. Tutto ciò che non è presente in Marco degli altri vangeli, può essere considerato puro abbellimento aggiunto, come pure lo è il finale di quel vangelo.

 Siamo oltre il punto di non ritorno:
non è più ragionevole supporre che ci doveva essere stato un singolo individuo storico all'origine del cristianesimo. In realtà le prove puntano lontano da una conclusione del genere. Quello che vediamo invece è un record storico completo privo di corroborazione per i vangeli, un ambiente teologico darwiniano brulicante di Gesù rivali, Cristi, vangeli e sette concorrenti lungo la frangia religiosa dell'impero romano (e che languono là per tre secoli); indicazioni che la prima generazione del cristianesimo nasce come versione ebraica dei culti misterici, e che tutte le confuse, contraddittorie informazioni "biografiche" per Gesù derivano da una deliberata allegoria. Una unica figura fondativa non è solo inutile per spiegare tutto questo, è ingiustificata.






Mentre sono state fatte osservazioni generali sul capitolo 56 della Historia Brittonum, un esame più dettagliato delle informazioni in esso contenute può risultare illuminante. È facile supporre che tutte le battaglie menzionate nel capitolo 56 furono ricordate come quelle combattute da Artù ma tali ipotesi potrebbero ben rivelarsi errate. Forse la più famosa battaglia ‘di re Artù’ è quella di Badon (in montis badonis), ma il riferimento a questo ha gravi problemi. Da tempo è stato riconosciuto che questa è la stessa battaglia obsessio badonici montis del De Excidio Britanniae § 26 di Gildas (v. Winterbottom, 1978 per una edizione e traduzione. La data di pubblicazione di questo lavoro, e quindi la data di Badon, ha stata molto discussa - vedi per esempio Miller, 1975; O'Sullivan, 1978; Sims-Williams, 1983; Lapidge e Dumville (edd.), 1984; Higham, 1994; Howlett, 1998) 6 e uno degli argomenti contro la storicità di Artù è sempre stato che Gildas omette di menzionare Artù nel suo riferimento alla battaglia. Tale argomento di solito è neutralizzato (come Jackson 1959a) insinuando che il riferimento è stato deliberatamente omesso, o perché Gildas non lo approvava  o perché il suo contributo alla vittoria era troppo ben noto, ma la ricerca recente suggerisce che la ragione del perchè Artù non è stato menzionato era davvero perché non è stato associato alla battaglia quando scrisse Gildas. Invece di non nominare nessuno come il leader britanno a Badon, Gildas effettivamente assegna a Badon un vincitore - Ambrosio Aureliano. L'idea che questa figura fosse il vero vincitore è già stata respinta con la motivazione che il manoscritto (British Library, Cotton Vitellius A.vi) implica un grande intervallo tra Ambrosio e Badon. Oliver Padel è tornato al manoscritto originale e tuttavia è stato in grado di dimostrare che la rottura evidente nell'edizione di Winterbottom (1978) non ha nessun'autorità di manoscritto e piuttosto che il Monte Badon ora si ‘legge naturalmente come la vittoria che ha coronato la carriera di Ambrosio Aureliano’ ( .. Padel, 1994: 16-18 a p 17 Per ulteriori ottime ragioni per dubitare dell'attribuzione di Badon ad Artù si veda Jones, 1964; Bromwich, 1978a: 276; Bromwich et al, 1991. 3-4 Sembra esserci buona evidenza dell'esistenza di tradizioni circa Badon che non l'associano con Artù - vedi Bromwich, 1978a). Questo è tutto, ovviamente, della massima importanza in quanto mina ulteriormente la nostra fede nelle 'tradizioni' ricordate nella Historia Brittonum - sembra molto probabile che, nel caso di Badon stiamo assistendo all'attribuizione ad Artù di una battaglia che era stata originariamente combattuta da un altro leader  per il IX secolo (È interessante notare che questa conclusione è stata recentemente raggiunta - a quanto pare senza la conoscenza del lavoro di Padel - da Woods (1999: 34-38) il quale, come Padel, ritorna al manoscritto originale e trova il testo non modificato indicando chiaramente che Gildas considerò la battaglia di Badon vinta da Ambrosio).


Quando ero convinto che Artù fosse storico, il solo e unico modo in cui potevo spiegarmi il fatto di per sé strano e enigmatico che la vittoria sui Sassoni sul monte Badon ad opera dell'Artù storico  venisse attribuita dall'ecclesiastico Gildas non ad Artù ma al romano Ambrosio Aureliano (contro quanto riporta invece la nostra prima fonte su Artù, ovvero l'Historia Brittonum) era di covare un serio sospetto sull'onestà di Gildas: solo la congenita ostilità della Chiesa contro l'Artù storico (magari perchè inguaribilmente pagano?) avrebbe potuto spiegare perché Gildas, un religioso che fu quasi contemporaneo di Artù, si rifiutasse di accreditargli le vittorie che fermarono provvisoriamente l'avanzata dei sassoni.

Senza sapere che stavo applicando mio malgrado la stessa ''teoria del complotto'' utilizzata dai folli apologeti con le loro insistenti pretese di avere un drago invisibile nel loro garage: Paolo non parlò mai di Gesù perchè Paolo ''non ne aveva bisogno'', perchè tutti i lettori di Paolo ''già sapevano'' chi era Gesù, perchè Paolo ''non voleva sprecare inchiostro'' (!), perchè Gesù aveva avuto ''un forte strano impatto'' su Paolo, o magari perchè... ...magari perchè era meglio tacere sul passato sedizioso antiromano, e dunque ''criminale'', di Gesù, per non inimicarsi le autorità romane.

Qui vediamo all'opera la medesima armonizzazione apologetica (romantico-apologetica nel caso di Artù, religioso-apologetica nel caso di Gesù) che distoglie dal recuperare la verità:
A) Paolo non parlò mai del Gesù storico e preferì eclissarlo dietro il suo Cristo celeste perchè il passato esistenziale di Gesù era intimamente legato ad un messaggio di sedizione antiromana.
B) Gildas non parlò di Artù e preferì attribuire la sua vittoria presso il monte Badon al romano Ambrosio Aureliano perchè il passato esistenziale di Artù era intimamente legato ad un messaggio di riscossa del paganesimo britannico e dunque anticristiano.

Ed invece non solo non c'è nessuna traccia di un Gesù storico antiromano (il criterio di ''imbarazzo'' applicato ad un eventuale pattern di indizi zeloti -- dissepta membra? -- sparsi nei vangeli essendo esplicitamente smentito perchè in realtà rivelatosi semmai un criterio di ironia puramente e squisitamente letteraria) ergo non c'era nessuna ragione per Paolo di trascurare ogni volta di rammentare un ipotetico Gesù storico anche solo per un istante, ma anche nel caso di Gildas ci si deve ricredere totalmente: quell'ecclesiastico non stava mentendo affatto a proposito di chi vinse davvero i Sassoni sul monte Badon, in virtù ''dell'esistenza di tradizioni circa Badon che non l'associano con Artù''. Fu davvero il romano Ambrosio Aureliano - e non il britanno Artù - a vincere i Sassoni sul monte Badon.

Come fu davvero del solo Cristo celeste mai sceso di recente sulla terra il vangelo che Paolo stava esponendo nelle sue lettere, per nulla affatto di un ipotetico Gesù storico vissuto in Judaea e miticizzato dopo morto.


Questa tendenza sembrerebbe non essere limitata alla battaglia di Badon - casi simili possono essere fatte per l'undicesima, per la nona e per la settima battaglia (vedi Jackson, 1945-6, Jackson, 1949; Bromwich 1975-6 e Padel, 1994: 18 - 19). Le altre battaglie sono in gran parte non identificabili, anche se la decima, la 'battaglia sulla riva di un fiume che si chiama Tribruit', è ricordata da qualche altra parte in fonti davvero antiche come una battaglia tradizionale contro lupi mannari, gettando così ulteriori dubbi sul valore della Historia; allo stesso modo un buon caso può essere fatto per vedere Cat Coit Celidon nel capitolo 56, come una battaglia di alberi del tutto mitica ricordata nel poema arcaico dal Libro di Taliesin, Kat Godeu. Altri elementi all'interno del corpo del capitolo 56 sembrano similmente sospetti. Ad esempio, Hanning (1966: 119-20) e Charles-Edwards (1991: 24-25 e 28) hanno rispettivamente dimostrato che sia il numero di battaglie e sia il riferimento ad Artù come dux bellorum sembrano riflettere le esigenze dell'autore della Historia, piuttosto che qualsiasi presunta fonte più antica. Se o no siano accettate tutte le conclusioni di cui sopra per quanto riguarda l'identificazione delle battaglie si può dire, portando tutto questo insieme, che nella Historia Brittonum, la nostra unica fonte realmente utilizzabile per uno ‘storico’ Artù, abbiamo un testo su cui non ci si può affatto basare per pre-datare il nono secolo e il cui contenuto può essere descritto come per lo meno sospetto - come tale non può dirci praticamente nulla di certo in merito ad ogni possibile ‘storico’ Artù. Infatti, l'intera rappresentazione di Artù nella Historia Brittonum potrebbe essere vista riflettere le esigenze e le finalità dell'autore dell'IX secolo, piuttosto che tradizione genuinamente antica, come ci si potrebbe aspettare data la natura del testo nel suo complesso (v. Hanning 1966 ; Dumville, 1986; Charles-Edwards, 1991: 21-29; Dumville, 1994; Coe e Young, 1995: 6-7; Howlett, 1998). Il fallimento della Historia come fonte di informazioni per quanto riguarda qualsiasi Artù storico e la conseguente intangibilità di questo ‘storico’ Artù è un fatto che è stato spesso rimarcato: come Dumville ha scritto, ‘Questa non è la materia di cui la storia può essere fatta’ (1977a: 188 Vedi ancora Jackson, 1945-6, Jackson, 1959a; Jones, 1964; Bromwich, 1974-5; Dumville, 1977a; Charles-Edwards, 1991; Padel, 1994, e anche le osservazioni di Dumville (1994) sulla Historia nel suo complesso). Cosa allora del caso a favore della storicità di Artù? Dovrebbe essere ovvio che, anche quando ci limitiamo alle migliori fonti per una ‘storico’ Artù, come discusso in precedenza, non possiamo arrivare a nessuna conclusione solida per quanto riguarda la storicità. Le quattro occorrenze del nome di Artù nel sud della Scozia e del Galles meridionale nei secoli VI e VII non possono essere considerate come prova di un Artù storico; anzi mancano di interpretazione se abbiamo un Artù storico. Il riferimento Y Gododdin riflette chiaramente un concetto del nono o decimo secolo (e forse anche prima) di Artù come un ‘supereoe’ guerriero, ma questo concetto di Artù poteva risultare o da una figura mitica utilizzata come pietra di ''impossibile paragone''  o da una figura storica che è mitizzata come un esempio di prodezza - quindi questo riferimento non può aiutarci a raggiungere conclusioni solide. Il caso a favore di un Artù storico deve quindi basarsi su solo due fonti, la Historia Brittonum e gli Annales Cambriae, e nessuno di queste può essere considerata una testimonianza affidabile per la storicità, entrambe essendo troppo tarde e sospette nei contenuti, con l'ultima molto probabilmente essendo derivata dalla prima e la prima essendo una sintetica pseudo-storia conosciuta per ritrarre figure mitiche come se fossero storiche - in quanto tali, queste fonti non possono in alcun modo dimostrare che c'è stato un Artù storico del quinto-sesto secolo e nessun contemporaneo o fonte quasi contemporanea fa alcuna menzione di lui. Il meglio che possiamo dire è che esisteva dall'IX secolo al più tardi un concetto di Artù come una figura storica; le nostre fonti non sono semplicemente della qualità che ci permetterebbe di giungere ad una conclusione più solida rispetto a questa. Contro di questo dobbiamo impostare l'evidenza dell'esistenza di un concetto di Artù come una figura leggendaria. Qualsiasi altra cosa potremmo dire a questo proposito, Y Gododdin (e, si potrebbe aggiungere, Marwnad Cynddylan) possiede molto chiaramente un concetto di Artù come un mitico ‘supereroe’, non una figura storica. Analogamente, nella Historia Brittonum, la prima fonte a ritrarre Artù come ‘storico’, Artù appare non solo alla luce ‘storica’ del capitolo 56, ma anche in una luce manifestamente leggendaria-folcloristica nel capitolo 73 (un punto importante che è troppo spesso trascurato, tanto più che le leggende qui ricordate sono considerate pre-datare il IX secolo, si consulti Bromwich e Evans, 1992: LXVI), e questo stesso concetto di Artù come un eroe mitico si trova in un certo numero di altre antiche fonti, come il Preideu Annwfyn dell'ottavo secolo (Padel, 1994; Koch, 1996. 263-65, ecc. si veda più avanti). Detto questo, si può dimostrare che un concetto di Artù come una figura del mito e della leggenda è presente tanto presto quanto (e, anzi, prima di) un concetto di Artù come una figura storica. Qui dobbiamo tornare alle osservazioni metodologiche fatte all'inizio di questo studio. Come era stato là notato, ci sono numerosi esempi di figure mitiche o fantastiche storicizzate, spesso in associazione con qualche importante evento del passato, e di conseguenza ‘nessun giudizio a priori può essere fatto se una figura è, in origine, storica, mitica o fittizia - ogni singolo caso deve (e può solo) essere deciso da un attento esame di tutto il materiale pertinente’. Ciascuna di queste possibilità è altrettanto probabile che sia vera, a priori, come le altre; l'onere della prova spetta a tutte le parti. In mancanza di tale prova non possiamo assumere - nella muffa del  'nessun fumo senza un fuoco' - che una spiegazione di figure come Artù goda  priorità sulle altre: non è così. Così mentre il precedente ‘Artù leggendario’ potrebbe essere il risultato di una figura storica che è mitizzata, è almeno altrettanto probabile che, in mancanza di una buona prova in ciascun caso, l'‘Artù storico’ di cui sopra sia stato il risultato di una figura leggendaria che è storicizzata (vale forse la pena di notare riguardo a questo che il ‘processo di storicizzazione di leggende era una diffusa caratteristica dell'attività letteraria celtica nel Medioevo’ (Padel, 1994: 23)). Quindi, in risposta alla domanda ‘C'è stato un Artù storico?’, le fonti da interrogare (cioè la Historia Brittonum e gli Annales Cambriae) possono solamente rispondere ‘forse, forse’ - non possono dire ‘no non c'era’ per ovvie ragioni, ma ugualmente non possono dire ‘sì, c'era’: la natura e la qualità delle fonti a favore di uno ‘storico’ Artù è semplicemente tale da non mostrare né richiedere la presenza di una figura storica dietro di loro e sicuramente non possono assumere una nell'assenza di questa. Mentre è possibile che il capitolo 56 della Historia riflette, in qualche misura, le tradizioni distorte ma genuine di un ‘Artù storico’, è almeno altrettanto probabile, data la natura delle nostre fonti, le loro pretese di affidabilità e il fatto che un concetto di Artù come un eroe mitico esisteva almeno dal secolo VIII, che è vero il contrario e che questi riferimenti riflettono semplicemente una figura leggendaria (come quella del capitolo 73 della Historia) storicizzata dal nono secolo. Artù potrebbe essere una figura mitica rappresentata come storica per l'autore della Historia Brittonum esattamente nello stesso modo in cui Hengest e Horsa erano figure mitiche ritratte come storiche sia da Beda che dall'autore della Historia. In assenza di assunzioni a priori per quanto riguarda la storicità, un esame approfondito del ‘materiale pertinente’ (come richiesto dalla metodologia di cui sopra) ci ha lasciato una situazione in cui le informazioni contenute all'interno di quegli ultimi riferimenti potrebbero ancora riflettere o una figura storica o una figura leggendaria storicizzata, privi di ogni convincente ragione, dall'evidenza interna di quelle poche fonti, per accettare un'alternativa rispetto all'altra. Per dirla in un altro modo, non vi è alcuna ragione evidente dal materiale sopra discusso di preferire la rappresentazione di Artù nel capitolo 56 della Historia Brittonum del IX secolo rispetto a quella nel capitolo 73, o viceversa. Parte del problema, naturalmente, si trova con la metodologia. Quando viene effettuato il caso di uno storico Artù del quinto/sesto secolo, si tratta di pescare a strascico da materiale di origine pre-Galfridiana tutto ciò che potrebbe essere utilizzato per eseguire il recupero. L'interesse non è con il materiale pre-Galfridiano per sé stesso e con ciò che ci dice, ma piuttosto con ciò che ci può dire in merito a una figura storica forse chiamata Artù. I testi scelti per rispondere a questa domanda, come nella precedente analisi, sono quindi divorziati dal contesto dell'intero corpo di materiale pre-Galfridiano in cui devono sicuramente essere considerati e di cui costituiscono parte integrante. Chiedendo ‘C'era un Artù storico?’ si costringono i testi a rispondere ‘forse, forse’; non hanno altra scelta perché, sulla base delle poche fonti selezionate e la visualizzazione di queste poche fonti in isolamento, sono incapaci di negare che ci fosse una figura così come sono incapaci di confermarla. Come tale questo ‘forse, forse’ è in realtà privo di valore. Ciò significa che le conclusioni per quanto riguarda la storicità di Artù possono e devono essere derivate solo tramite una metodologia valida, vale a dire cercando in tutta l'evidenza disponibile e permettendole di ‘emergere’, non costringendola a conformarsi a nozioni preconcette. I riferimenti di Historia Brittonum e Annales Cambriae deve essere visti nel contesto di tutto l'antico materiale arturiano, non come pezzi discreti di informazioni che possono essere presi per ‘fatti’. Nessun giudizio di qualsivoglia valore può essere fatto attaccando il corpus pre-Galfridiani in modo frammentario - si deve guardare al peso dello stato dell'evidenza nel suo complesso. Per citare Padel, 'la natura dell'indagine, che finora è sempre iniziata con la domanda naturale “C'era un Artù storico?”, ha determinato l'esito (“Si, forse”)’ (Padel, 1994. 2 Ashe ( 1995) rende anche questo punto). Per iniziare l'esame del materiale pre-Galfridiano al fine di scoprire (o, almeno, di indagare) una figura veramente storica del periodo post-romano le conclusioni sono inevitabilmente di parte e l'indagine ignora la maggior parte dell'antica evidenza disponibile. Dobbiamo quindi chiederci, qual è la natura di Artù nelle fonti pre-Galfridiane delle quali siamo qui preoccupati principalmente? Dove ci ‘conduce’ il ‘peso’ dell'evidenza? Qual è il contesto delle fonti ‘storiche’?


Parole sublimi.
Sia quando applicate da Thomas Green all'Artù del capitolo 56 di Historia Brittonum, sia quando applicate da Richard Carrier al Gesù dei vangeli, allorchè il secondo raccoglierà nel capitolo 10 del suo prossimo, imminente volume, tutti i migliori argomenti degli accademici secolari e anche cristiani che dimostreranno serratamente, per filo e per segno, in che reale, impressionante misura quanto un sacco di quel che si poteva ritenere appena un minuto prima autentico nei vangeli sia in realtà ovviamente mitico. 

E più si realizza l'ovvio o, per dirla in altro modo,
È importante riconoscere l'ovvio: La storia del vangelo di Gesù è in sé stessa apparentemente mitica dall'inizio alla fine.
(Robert M. Price, Deconstructing Jesus, pag. 260)

...meno fiducia si può riserbare SINCERAMENTE nel restante materiale, come si sa per esperienza. Perfino volendo assumere a priori l'esistenza di verità profonde nei vangeli nascoste e intrecciate nel mito, ebbene perfino il loro discernimento dietro la fitta coltre teologica/allegorica dei vangeli è chiaramente impossibile.

Gran parte del materiale agiografico che si trova nel Nuovo Testamento è una pura rimasticazione di materiale preso dall'Antico Testamento greco, la Septuaginta, perfino dall'Iliade e dall'Odissea di Omero! Come si può credere a materiale del genere, specie quando occorre distinguere tra quello in cui veramente credevano gli autori dei vangeli e quello che volevano indurre altri a credere -- οἱ πολλοί -- con le loro man mano sempre più pressanti e insistenti pretese?

Non si tratta che della corretta applicazione del principio di contaminazione del dubbio del filosofo Stephen Law:

Come in ogni racconto caratterizzato da un numero impressionante di affermazioni incredibili e impossibili, non c'è nessun motivo di credere alle affermazioni più modeste e banali pur presenti nei vangeli, senza qualche affidabile corroborazione esterna, perchè il materiale mitico e leggendario ''contamina'' giustamente tutto il materiale restante di un accresciuto sospetto.  E cercare di separare le affermazioni più modeste da quelle impossibili presenti nei vangeli per dichiarare poi ipso facto ''storicamente plausibili'' le prime e ''puro mito'' le seconde non funziona affatto, perchè così facendo non si va per nulla a rendere più storico il racconto evangelico, ma si fa solamente sfoggio della propria capacità di realizzare remake più credibili di quel medesimo racconto, inventandosi storie più credibili e realistiche di quelle degli evangelisti e dunque continuando in chiave moderna il loro medesimo processo di storicizzazione di Gesù sulla Terra.






Quel principio di contaminazione del dubbio è altrettanto bene ottimamente applicato da Thomas Green (pur non realizzando di stare applciando esattamente quel principio!) nel brano di Historia Brittonum relativo ad Artù. Lo riscrivo colorando in ROSSO le parti di quel brano che secondo quanto appena sottolineato dal prof. Green derivano da miti precedenti o da eventi reali originariamente non associati ad Artù:

A quell'epoca i Sassoni prendevano sempre più forza e crescevano di numero in Britannia. Dopo la morte di Hengest, suo figlio Horsa si trasferì nel Kent, e da lui sono discesi i sovrani di quella regione. [Hengest ed Horsa erano in origine divinità celtiche poi storicizzate]
Fu allora che il magnanimo Artù, insieme ai re dei Britanni, combattè contro i Sassoni. E sebbene ci furono molti più nobili di lui stesso, tuttavia egli fu dodici volte scelto loro condottiero, e fu altrettanto spesso vincitore. [è sospetto il numero 12, che potrebbe nascondere un punto teologico] La prima battaglia a cui partecipò, fu alla foce del fiume Gleni. La seconda, la terza, la quarta e la quinta furono su un altro fiume, dai Britanni chiamato Duglas, nella regione Linuis. La sesta, sul fiume Bassas. La settima nella foresta di Celidon, che i Britanni chiamano Cat Coit Celidon. [in fonti precedenti una mitica battaglia di alberi] L'ottava vicino il castello di Guinnion, dove Artù portò l'immagine della Santa Vergine, madre di Dio, sulle sue spalle, e tramite il potere di nostro Signore Gesù Cristo, e di santa Maria, mise in rotta i Sassoni, e lì inseguì tutto il giorno con grande massacro. La nona  presso la Città di Legione, che è chiamata Cair Lion. La decima sulla riva del fiume che si chiama Tribruit. [in fonti precedenti una battaglia mitica contro lupi mannari] L'undicesima sulla montagna di Breguoin, che noi chiamiamo Cat Bregion. [in fonti precedenti una battaglia combattuta da Urien di Rheged] La dodicesima fu in un più duro contesto, quando Artù penetrò sul monte di Badon. In questo scontro, novecento e quaranta caddero per la sua mano soltanto, nessuno se non il Signore dandogli assistenza. [vittoria attribuita da Gildas, che precede la Historia, ad Ambrosio Aureliano, non ad Artù] In tutti questi scontri i Britanni furono vincitori. Infatti nessuna forza può servire contro la volontà dell'Altissimo.
Più i Sassoni furono sbaragliati, più cercarono nuovi rinforzi di Sassoni dalla Germania; così che re, comandanti, e bande militari furono invitati da quasi ogni provincia.

(Dal capitolo 56 di Historia Brittonum, attribuita a Nennio ma in realtà di anonimo, IX secolo)

Il folle apologeta della storicità di Artù si becca così in pieno l'accusa di ''atomismo'' nella sua volontà di separare in questo brano  l'Artù che suoni storico dall'Artù che suona fantastico, come spiega perfettamente Thomas Green, e così pure è un demente atomista il folle apologeta di Gesù: se rimuove da ''Gesù di Nazaret'' tutti i suoi aspetti mitologici, ovviamente terminerà sempre con quella che è una chiara contraddizione con la figura vertiginosamente esaltata del ''Gesù detto Cristo'' che aveva appena un attimo prima in mente. Ma questo non rende Gesù più storico, come non rende Odisseo più storico rimuovere dall'Odissea tutti gli aspetti fantastici e mitologici che caratterizzano le sue avventure.


L'Historia Brittonum presa da sola, in altre parole, non deve renderci Artù-storicisti o Artù-miticisti, ma solo Artù-agnostici.


E i vangeli, se avessimo solo loro, non possono renderci né storicisti né miticisti, ma solo Jesus Agnostics.

Sfido chiunque sano di mente a credere ''al di là di ogni ragionevole dubbio'' alla storicità di Artù SOLO E SOLTANTO in virtù di questo piccolo brano a fronte del legittimo soverchiante sospetto su quello che ancora potrebbe o non potrebbe rivelare, a sua volta, una genesi nella mitologia precedente o un'associazione ad un evento reale tuttavia non legato ad Artù ma a qualcun altro (come nel caso di Ambrosio Aureliano).


Sospetto confermatosi giusto appena si procede nella lettura dell'articolo di Thomas Green, che si limita a offrirci un piccolo squarcio sulla natura del concetto di ''Artù'' nella mitologia anteriore all'Historia Brittonum:


Il più recente tentativo di definire questa ‘natura’ (che poi procede, dopo aver fatto questo, ad adottare la metodologia di sopra e a guardare i riferimenti di Annales e Historia nel contesto di questa natura) è di Oliver Padel. La conclusione raggiunta è che, quando le fonti pre-Galfridiane sono approcciate senza tali agende preconcette e assunzioni a priori come descritto sopra, i risultati dimostrano di essere più interessanti: ‘se l'evidenza collettiva è in primo luogo libera di parlare per sé stessa, il suo peso è molto diverso.’ ( Padel, 1994: 2). Nella tradizione non Galfridiana, Artù era molto chiaramente ‘il capo di una banda di eroi che vivono al di fuori della società, il cui mondo principale è un mondo di animali magici, giganti e altri accadimenti meravigliosi, localizzato nelle parti selvaggie del paesaggio.’ (Padel, 1994: 14); Artù è ritratto come una figura del folklore e della mitologia pan-britanni, associata all'Oltremondo, a nemici sovrannaturali e ad atti sovrumani, non alla storia. Questo concetto di Artù si presenta sia nelle molto più antiche tra quelle fonti (più antiche e contemporanee dei più antichi riferimenti ad un possibile  ‘Artù storico’) e, addirittura, nella maggior parte delle fonti non Galfridiane, con quelle fonti coerenti nella loro rappresentazione di Artù. Ad esempio, appare  nel poema mitologico Preideu Annwfyn dell'ottavo secolo o anche prima (cfr. Koch, 1996: 263-65), nel poema mitologico davvero antico Kat Godeu (vedi Ford 1977 per una traduzione), nel capitolo 73 della Historia Brittonum (il folklore ivi contenuto è considerato ‘già antico dal IX secolo’ (Bromwich e Evans 1992: LXVI)), nel Pa gur yv y porthaur? (che potrebbe essere tanto antico quanto il IX secolo, o addirittura l'ottavo, ed è, in sé stesso, semplicemente una sintesi di molti anteriori racconti arturiani interamente mitici  (Bromwich, 1978b: 21; Koch, 1996; Koch, 1994, 1127; Edel, 1983)), e Culhwch ac Olwen (che è stato scritto nel secolo XI, ma è una composizione letteraria basata su una serie di precedenti leggendari racconti arturiani riuniti con il racconto-tipo folkloristico ‘figlia del gigante’  - il materiale arturiano è generalmente visto rappresentare lo stesso corpo dei primissimi racconti non storici come pure Pa gur yv y porthaur?, Historia Brittonum capitolo 73 e Preideu Annwfyn: vedi Edel, 1983; Bromwich e Evans, 1992). Padel non è affatto il solo a vedere ciò come il contesto dei riferimenti di Historia Brittonum e Annales Cambriae, anche se ha dato all'argomento relativo il suo trattamento più pieno. Due delle autorità più importanti sulla prima letteratura arturiana, Rachel Bromwich e D. Simon Evans, hanno recentemente scritto che ‘Artù era soprattutto ... un difensore del suo paese contro ogni tipo di pericolo, sia interno che esterno: uno sterminatore di giganti e streghe, un cacciatore di animali mostruosi - cinghiali giganti, un mostruoso gatto selvaggio, un serpente alato (o drago) - e anche, come appare da Culhwch e Preiddeu Annwn, un liberatore di prigionieri. Questo concetto di Artù è corroborato da tutte le prime fonti: i poemi Pa Gur e Preiddeu Annwn, le Triadi, le Vite dei Santi, e i Mirabilia attaccati alla Historia Brittonum ... nella letteratura antica egli appartiene, come Fionn, al regno della mitologia piuttosto che a quello della storia’ (Bromwich e Evans (edd.) 1992. xxviii-xxix. Si veda Ford (1983) per qualche prova supplementare molto interessante a favore della vista che il pre-Galfridiano Artù appartiene al regno della mitologia. Le osservazioni precedenti sulla ‘natura di Artù’ nella letteratura antica rappresentano l'opinione generale tra i  Celticisti di questa questione, si veda ad esempio Ford 1986; Jarman, 1983; Ross, 2001: capitolo 4; e nota 14 di seguito). In sostanza, la stragrande maggioranza del materiale non Galfridiano, comprese le prime fonti, dipingono un quadro chiaramente coerente di Artù come un eroe folcloristico pan-britanno, un guerriero senza pari di statura gigantesca alla guida di un gruppo di eroi sovrumani che vagano nei luoghi selvaggi del paesaggio, che fa incursioni nell'Oltremondo pur essendo ad esso intimamente associato, che combatte e protegge la Britannia da nemici soprannaturali, che caccia gli animali spaventosi e che partecipa a mitiche battaglie, e quindi il ‘peso’ di quest'evidenza non indica un'origine storica di Artù, ma piuttosto un'origine leggendaria (è particolarmente degno di nota che Artù non è mai associato né ai  Sassoni né a Badon nella stragrande maggioranza del materiale, nonostante il fatto che tale associazione è di solito considerata la ragione della sua fama, e quando questa associazione appare è presente solo in quelle fonti che sono dipendenti direttamente dalla Historia Brittonum capitolo 56). Di fatto, il parallelo con Fionn nella precedente citazione è anche osservato da Padel nel suo articolo - è la sua convincente conclusione che la natura di Artù evidenziata nelle fonti pre-Galfridiane è in effetti molto simile alla natura di Fionn nella letteratura gaelica, questo Fionn essendo un personaggio del tutto mitico (in origine un dio) che divenne associato (ossia storicizzato) al respingimento delle invasioni vichinghe dell'Irlanda e che ebbe appiccicato al suo nome una lista di battaglie contro i suoi ‘nemici’  (per Fionn si veda Ó hÓgáin, 1988; Padel (1994) riassume alcuni dei paralleli alle pag. 19-23). Van Hamel ha fatto alcune osservazioni molto simili per quanto riguarda la natura di Artù nelle prime fonti e i molto stretti parallelismi tra lui e Fionn, notando che non era che un passo logico naturale ‘rappresentare un eroe di questo tipo [cioè un protettore della Britannia contro minacce sovrannaturali] come vincitore dei Sassoni’ (1934, citazione a pag 231. Vedi anche Murphy, 1953: 213-17; MacKillop, 1986: 63-64; Koch, 1996: 261; Ross, 2001: il capitolo 4).


Non potevo credere all'inesistenza di Maometto perchè nessuna fonte che precede la Doctrina Jacobi sembra confermare l'origine nel mito del presunto fondatore dell'Islam (per quanto però il Maometto storico che ritengo probabilmente vissuto non sia affatto degno di figurare pomposamente come fondatore dell'Islam, ma al più solo uno dei tanti profeti-guerrieri all'origine delle conquiste arabe).

Ma con Artù è diverso. L'evidenza portata da Thomas Green mostra chiaramente che la natura di Artù nelle fonti più antiche indicano che non esiste nessuna ragione per credere all'esistenza di un personaggio storico di nome Artù alla base di tutte le leggende posteriori.
In altre parole, il Mito viene prima, e le leggende fantastiche dopo.

Così come:
i britanni con Artù,
i romani con Romolo
i greci della Jonia con Teseo
i dori con Eracle e le sue Dodici Fatiche
i micenei con Perseo,

ovvero tutti personaggi con i quali la biografia di Gesù di Nazaret ha fin troppi elementi in comune tipici dell'Archetipo dell'Eroe Mitico...

...e continuando sul solco di una lunga catena di eroi ebrei come Adamo, Enoch, Matusalemme, Noè, Abramo, Isacco, Giacobbe, Giosuè...

...i cristiani hanno progressivamente creato il loro passato del tutto simbolico & allegorico ''fondandolo'' sulle gesta di un Super-Eroe che procede da Dio e la cui natura solamente letteraria la si ritrova per la prima volta solo nel vangelo di Marco, le cui storie appartengono semplicemente al genere midrashico-allegorico, prive di qualsiasi veracità storica che non sia il puro abbellimento letterario.

Ma Thomas Green ci dice qualcosa di più.

Il buco nero costituito dall'originario Artù mitologico è stato secondo lui riempito dall'aver cooptato il nome di Artù al servizio della Britannia, per farne l'icona della riscossa dei britanni contro gli invasori Angli e Sassoni. Esattamente l'Artù storico che avevo sempre sognato, ovvero un ''un grande guerriero e un eroe che riuscì a vincere a dispetto delle avversità, e in maniera così soverchiante che ancor oggi, dopo quindici secoli, i discendenti dei suoi antichi nemici - gli anglosassoni - amano le sue gesta e ne serbano con affetto il ricordo''. I Britanni erano sempre più rilegati e respinti ai soli regni marginali del Galles e della Cornovaglia, circondati da minacciosi regni sassoni. La parte giocata Artù nella formidabile riscossa dei britanni  fu orchestrata deliberatamente da un'agenda politica.
Artù non era conosciuto come sterminatore di Sassoni nell'originaria letteratura gallese, ed è addirittura assente laddove i tradizionali eroi della Britannia sono regolarmente invocati affinchè ricaccino in mare gli invasori di turno. Al contrario, in quelle antiche storie l'Artù mitologico è solo dedito ad uccidere mostri e predoni infernali, con tanto di discesa agli Inferi. Una specie di Ercole britanno.
L'inserimento dell'Artù mitologico nella Historia Brittonum come il vincitore della battaglia del monte Badon al posto del vero vincitore di quella battaglia, Ambrosio Aureliano (smentendo come effetto collaterale la testimonianza veritiera del quasi contemporaneo Gildas) è enigmatica in tale luce: l'anonimo autore dell'Historia Brittonum sembra aver miticizzato uno storico Ambrosio, eguagliandolo con una pre-esistente divinità celtica liberatore da potenze infernali, mentre nel contempo sembra aver di pari grado storicizzato un mitico Artù. Una tale mossa da parte sua ha il grande merito di gettare più luce sul contesto e sul periodo di composizione della Historia Brittonum. Evidentemente sapere che fu un condottiero romano, Ambrosio Aureliano, a mettere in rotta i Sassoni sul monte Badon non avrebbe aiutato a sollevare il morale dei demoralizzati britanni, più di quanto li avrebbe galvanizzati il ricordo di un eroe mitico locale giunto in loro soccorso nel momento più critico per ribaltare le sorti del conflitto contro gli invasori Sassoni.
Così si spiega perchè solo nella Historia Brittonnum (e nelle fonti che si basano su di essa) i nemici di Artù sono esseri umani, mentre in tutte le altre leggende su di lui i nemici non sono umani, ma fantastici e mitologici.


Anche il vangelo di Marco è una allegoria midrashica scritta in reazione alla distruzione del tempio di Gerusalemme nell'anno 70. Sebbene il vangelo storicizza Gesù in Judaea ben 40 anni prima di quel drammatico episodio, la tragedia nazionale del 70 EC è continuamente allusa perchè l'obiettivo del vangelo era di scrivere una teodicea per spiegare la crocifissione e il trauma del 70.

E quella teodicea è l'essenza stessa del Segreto Messianico in Marco:

1) negativamente, perchè la crocifissione di Gesù, non riconosciuto colpevolmente da nessun ebreo, neppure dai suoi intimi, come Messia, è allegoria della catastrofe del 70 e della fine del vecchio Israele,
2) positivamente, perchè quel trauma nazionale, quella ''crocifissione'', erano necessari. La via ai gentili era ora aperta e Israele sarebbe rinato nuovamente nella forma di un ramo ellenizzato e de-tribalizzato dell'ebraismo, per formare il Corpo di Cristo, il Nuovo Israele.

Le invenzioni di un ''Gesù storico'' e di un ''Artù storico'' sarebbero allora mere ripetizioni del medesimo pattern di risposta alla minacciata estinzione culturale di un'intera civiltà, rispettivamente quella degli ebrei (ad opera dei romani) e quella dei britanni (ad opera dei sassoni). 

Artù ricopriva già nell'antica mitologia celtica il ruolo di Salvatore e protettore della Britannia, e Gesù già prima di essere trascinato sulla Terra portava il nome del Salvatore che muore e risorge predicato dagli apostoli come Paolo. 

Gesù di Nazaret è solo un'invenzione, consolatoria e vagamente autoingannevole, di quelli ebrei umiliati dai Romani di Tito che nel giro di pochi anni, in reazione alla distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 EC, hanno cercato, attraverso di lui, di elaborare il lutto della sconfitta e della minacciata estinzione di un'intera civiltà.

Parimenti, Artù è solo un’invenzione, vagamente autoingannevole ma consolatoria, di quei britanni umiliati ripetutamente dagli angli e dai sassoni, che nel corso dei secoli hanno cercato, attraverso il mito di Artù, di elaborare il lutto della sconfitta, ma anche di riprendersi una rivincita sulla storia attraverso un personaggio mitico mai esistito.


In che modo questo incide sulla questione della storicità di Artù? Che ne è allora di quei riferimenti ad uno ‘storico’ Artù che, se considerati isolatamente, possono solo rispondere alla domanda ‘C'era un Artù storico?’ Con ‘forse; forse’ e potrebbero  rappresentare almeno altrettanto facilmente una figura leggendaria storicizzata come pure i ricordi distorti di una figura ‘genuinamente’ storica? Ricapitolando, le conclusioni derivanti dalla discussione di cui sopra sono:

(A), che non si può supporre che un personaggio è storico semplicemente perché una fonte medievale sostiene che questo è il caso: tali ipotesi a priori sono dimostrabilmente false (Hengest e Horsa e Fionn sono buoni esempi di figure mitiche storicizzate da scrittori successivi) e sono pertanto inaccettabili. Si può solo dire che c'era/doveva esserci un Artù storico una volta che tutto il materiale sia stato valutato e questo sia dimostrato essere il caso. Non vi è alcuna giustificazione per assumere semplicemente che questo sia il caso - le spiegazioni ‘storiche’ di figure come Artù non meritano, a priori, priorità rispetto ad altre spiegazioni. Infatti, va ricordato che il ‘processo di storicizzare leggende era una diffusa caratteristica dell'attività letteraria celtica nel Medioevo.’ (Padel, 1994: 23).
(B) che le poche fonti utilizzabili in nostro possesso che ritraggono Artù come ‘storico’ potrebbero rappresentare molto facilmente o una figura leggendaria storicizzata o le tradizioni distorte di un Artù veramente storico. Ciascuna possibilità è altrettanto probabile quanto ogni altra, a giudicare dall'evidenza interna delle fonti e, come tale, nessuna conclusione può essere raggiunta sulla questione della storicità - ci può essere stato un Artù storico, ma almeno altrettanto bene non ci potrebbe essere stato.
(C) che, se è vero, come in (B) di cui sopra, che Historia Brittonum capitolo 56 ecc. poteva riflettere altrettanto facilmente una figura leggendaria storicizzata come un personaggio autenticamente storico, questo metodo di analisi non riesce a rispondere efficacemente alla domanda di storicità di Artù. Trattando le fonti del ‘Artù storico’ separatamente anziché nel contesto di tutto il corpo di letteratura arturiana non Galfridiana di cui fanno parte integrante, viene ignorata informazione preziosa che è essenziale all'interpretazione di quelle fonti e, come tale, nessuna conclusione di qualsiasi valore è possibile trarre. Per fare un esempio, potremmo avere un documento che pretende di essere una concessione di terreno ad un monastero da un re. Quando questo documento viene analizzato di suo proprio  l'evidenza interna al documento potrebbe esser tale che nessuna decisione può essere presa sul fatto che sia autentico o un falso - in mancanza di evidenza convincente per l'una o l'altra delle opzioni ogni possibilità potrebbe essere considerata altrettanto probabile. Se, tuttavia, si esamina questo documento  nel contesto di tutti gli altri documenti di quel monastero, allora la situazione è piuttosto diversa: quindi se, per esempio, tutti gli altri documenti di quel monastero sembrano essere falsi allora sembra davvero molto probabile che anche questo documento sia un falso. Nel contesto del corpo di materiale di cui è parte integrante e inseparabile, diventa chiaro che le due possibilità consentite dall'evidenza interna non sono infatti altrettanto probabili - quando esaminato alla luce di tutti gli altri materiali rimane remotamente possibile che il documento possa essere vero, ma è infinitamente più probabile che si tratti di un falso. In altre parole, la seria possibilità che il documento sia autentico è solo realmente esistita perché il documento stava per essere analizzato al di fuori del corpo di materiale di cui è parte integrante, cosa che ha indotto ad ignorare informazione essenziae all'interpretazione del documento - quando è considerato nel contesto di tutto il materiale, semplicemente non c'è motivo di pensare che potrebbe essere vero; il contesto del documento è tale che questo non è, in assenza di evidenza a suo favore, una seria possibilità. Allo stesso modo, le conclusioni riguardanti la storicità si possono trarre solo guardando ai testi dell'‘Artù storico’ nel contesto di tutto il corpo di antico materiale. I riferimenti di Historia Brittonum e Annales Cambriae deve essere visti nel contesto di tutto l'antico  materiale arturiano presto, non come discreti pezzi di informazione da cui poter estrarre ‘fatti’; nessun giudizio di qualsivoglia valore può essere fatto attaccando il corpus pre-Galfridiano in modo frammentario - si deve guardare al peso dello stato dell'evidenza nel suo complesso e consentirgli di ‘emergere’. Fare altrimenti polarizza semplicemente le conclusioni e ignora la stragrande maggioranza dell'antica evidenza disponibile.
(D) che il peso del materiale non Galfridiano (antico e posteriore) offre, come numerosi studiosi hanno notato, un ritratto molto chiaro e coerente di Artù come una figura completamente leggendaria del folklore e del mito non associata in alcun modo né con i Sassoni né con Badon, e rassomigliante in molte delle sue caratteristiche (e, invero nello sviluppo della sua leggenda) il gaelico Fionn che era una figura mitica - in origine un dio - più tardi storicizzata con battaglie contro invasori stranieri.


Queste quattro conclusioni relativamente incontrovertibili hanno, come dovrebbe essere ovvio, alcune conseguenze molto interessanti per la questione della storicità di Arthur. Seguendole attraverso, sembra chiaro che se quei pochi riferimenti che ritraggono Artù come storico sono visti nel contesto del materiale nel suo complesso - come devono essere - allora il peso del materiale è tale che non c'è assolutamente alcuna giustificazione per credenre che vi sia stata una figura storica del quinto o sesto secolo di nome Artù, alla base di tutte le leggende successive. Quando i riferimenti ‘storici’ sono tirati fuori dal loro contesto e visti in isolamento allora, come abbiamo visto, potrebbero eventualmente rappresentare le tradizioni distorte di una figura storica, ma almeno altrettanto bene non potrebbero. Tuttavia, quando vengono analizzati, come devono essere, nel contesto del corpo di materiale di cui sono parte integrante questo ‘forse’ evapora. Tutta l'altra evidenza, la stragrande maggioranza del materiale più antico, ritrae Artù come una figura del tutto leggendaria della stessa lega del gaelico Fionn, ed egli non è mai collegato in questo materiale in qualsiasi modo né ai sassoni né a Badon. Come tale semplicemente non c'è motivo di pensare che ci fosse un Artù storico. Il ‘forse’ appare solo quando è costretto ad apparire,  quando i pochi riferimenti a uno ‘storico’ Artù sono divorziati dal loro contesto e indotti a rispondere a domande riguardanti la possibilità di un Artù storico. Se ci chiediamo che cosa dice il materiale in realtà invece di cercare di forzare alcun preconcetto su di esso, allora esso, come Padel ha osservato, sembra parlarci molto chiaramente di una figura leggendaria del folklore denominata Artù che è stata storicizzata nel pressochè lo stesso modo come lo furono Hengest o Fionn - la seria possibilità della presenza di un ‘Artù storico’ che fu l'‘originale’ da cui tutti i più tardi racconti più germogliarono è semplicemente una costruzione basata su un uso improprio delle fonti. Pertanto, piuttosto che essere il folcloristico Artù evidenziato nella Historia Brittonum capitolo 73  un'elaborazione dello ‘storico’ Artù del capitolo 56, questo ‘mitico’ Artù sembra essere ‘quello vero, e lo ‘‘storico’’ Artù...  lo sviluppo secondario.’ (Padel, 1994: 30), una logica estensione del suo ruolo folcloristico, con non solo l'esistenza di Artù, ma anche la sua associazione con il quinto e sesto secolo da considerare molto probabilmente spurio (per quanto riguarda questo, va osservato che il periodo post-romano non era l'unico periodo in cui Artù fu storicizzato - vedi sotto). Per dirla in altro modo, il contesto dei pochi riferimenti ‘‘storici’’ è tale che l'onere della prova sembrerebbe venire a trovarsi saldamente sulle spalle di coloro che vorrebbero avere un Artù storico del quinto/sesto secolo alla  base di tutte le leggende più tardi - in assenza di evidenza della storicità (e in assenza di assunzioni a priori e della forzatura di agende preconcette sulle fonti) semplicemente non c'è ragione di pensare che un ‘Artù storico’ sia una seria possibilità. Dobbiamo quindi chiedere, può l'‘evidenza’ a favore di uno ‘storico’ Artù del V/VI secolo reggere questo onere della prova? Offre qualche ragione per credere che ci fosse stata una figura del quinto o sesto secolo, di nome Artù? Presa da solo quell'evidenza, si può legittimamente dire che la risposta a questa domanda è ‘no’. Anche se visto al di fuori del contesto del corpo intero di materiale iniziale, quindi nelle condizioni più vantaggiose, si può (come si è visto sopra) soltanto produrre la risposta ‘forse; forse’; L'Artù ritratto nella Historia Brittonum e negli Annales Cambriae potrebbe facilmente essere inteso o come figura storica o come una figura leggendaria storicizzata. Nel contesto della documentazione pre-Galfridiana questa risposta diventa priva di significato a causa dello spostamento dell'onere della prova - come tale il ‘forse’ deve essere preso per un ‘no’. La Historia e gli Annales non forniscono la dimostrazione necessaria che ci permetterebbe di trascurare il contesto del materiale pre-Galfridiano (speqie quando la seconda fonte è molto probabilmente derivata dalla prima, e la prima fonte è nota per ritrarre figure mitiche come storiche) e quindi sulla base di questi pezzi di evidenza siamo costretti a concludere che non vi è, allo stato attuale, alcuna ragione convincente per pensare che ci fosse un Artù storico post-romano. Invece lo si vede meglio, al pari di Fionn per le regioni gaeliche, come un eroe folcloristico, che vive in terre selvagge del paesaggio e protegge la Britannia da tutti i tipi di minacce soprannaturali, proprio come suggerisce la stragrande maggioranza dell'evidenza. Infatti vale la pena di sottolineare ancora una volta che il racconto di Artù della Historia Brittonum nel capitolo 56 sembra non solo includere gesta di un certo numero di guerrieri precedenti, come Urien di Rheged e Ambrosio Aureliano, ma anche elementi mitici identificabili che sono stati storicizzati in questo testo - il poema forse molto antico Kat Godeu sembrerebbe essere relativo ad una battaglia mitica in cui Artù interpreta qualche parte (forse importante)  ed in cui gli alberi della Coed Celyddon sono magicamente animati per combattere, mostrando quindi la battaglia di Coit Celidon (‘la Foresta Caledoniana’) ricordata nel capitolo 56 della Historia Brittonum in una luce molto interessante. Allo stesso modo, la ‘battaglia sulla riva di un fiume che si chiama Tribruit’ nel capitolo 56 della Historia appare altrove, nei primi anni del Pa gur yv y porthaur? (Che riassume una serie di racconti arturiani preesistenti) sotto forma di una battaglia del tutto mitica contro lupi mannari (Per quanto riguarda le battaglie citate nella Historia Brittonum, si dovrebbe forse sottolineare che non vi è alcuna ragione di pensare che tutte le battaglie utilizzate per storicizzare Artù fossero vere battaglie storiche - almeno alcune delle battaglie utilizzate per storicizzare Fionn sembrano essere state inventate spontaneamente ai fini della storicizzazione e questo poteva essere il caso  altrettanto bene qui (un fatto che potrebbe ben spiegare alcuni dei problemi nell'identificare le battaglie nel capitolo 56 di Historia Brittonum, vedi Padel, 1994: 21; Jackson, 1945-6)). Le conclusioni di cui sopra possono anche aiutare a spiegare alcuni aspetti sconcertanti della leggenda di Re Artù, in particolare la strana assenza che è stata spesso notata (ad esempio Bromwich, 1978a: 274, Thomas, 1995: 389) di Artù dalle prime genealogie gallesi. Tali testi sono forse meglio compresi come  ‘propaganda’ dinastica (v. Dumville, 1977a, 1977b), e se Artù fosse stato generalmente ritenuto un grande leader storico, al momento della loro compilazione, la sua assenza sarebbe davvero imbarazzante; se, d'altra parte, egli non era visto in questa luce, ma invece come un eroe folcloristico pan-britanno allora la sua assenza è del tutto comprensibile (vedi Gowans 1988 per una situazione simile che coinvolge Cai). Questa nozione, di una certa riluttanza a usare il nome di un eroe nazionale folcloristico, può anche fornire l'unica spiegazione valida di uno dei primi pezzi di evidenza qui esaminati, cioè le quattro (o cinque) occorrenze del nome Artù in contesti del VI e VII secolo, come Padel ha recentemente osservato (1994: 24). Padel osserva, come altri hanno fatto prima di lui, che tutte le occorrenze del nome di ‘Artù’ sono ricordate nelle fonti gaeliche e si ripetono nel contesto dei coloni irlandesi nel Galles e nella Scozia occidentale (vedi Bromwich 1975-6, Barber, 1972) e suggerisce che l'assenza di questo nome in contesti britannici è dovuta alla considerazione di Artù  ‘con eccezionale timore reverenziale’, come un eroe leggendario e Protettore della Britannia, mentre gli irlandesi ‘quando sono venuti in contatto con il folklore come risultato dei loro insediamenti nella parte occidentale della Gran Bretagna, non hanno avuto bisogno di aver sentito tanta reverenza o riluttanza’ (Padel, 1994: 24) e di conseguenza hanno fatto uso di questo nome (la data di adozione di questo nome, naturalmente, dipenderebbe da interazioni e sviluppi culturali complessi e così il fatto che non viene subito adottato non deve essere visto come significativo). Oltre a spiegare in modo soddisfacente tutte le prove disponibili questo suggerimento guadagna una notevole quantità di credibilità dal fatto che lo studio dettagliato dei tratti genealogici gallesi rivela che non una singola persona di discendenza britannica nel Galles portava il nome di ‘Artù’ nelle genealogie fino alla fine del XVI secolo, al più presto, una situazione che Bartrum suggerisce potrebbe ben essere il motivo del perché il nome veicolava qualche sorta di superstizione con sé (Bartrum, 1965). Se Artù doveva essere visto come storico, piuttosto che leggendario, allora la spiegazione di quei tre pezzi di informazione (l'assenza di Artù dalle prime genealogie reali, l'improvvisa comparsa di quattro persone di nome Artù, nel contesto dei coloni irlandesi in Galles e in Scozia, il fatto che non una sola persona in Galles di discendenza britannica possa esser mostrata di portare il nome Artù almeno fino alla fine del XVI secolo) sarebbe un problema veramente difficile. Un'altro aspetto ‘sconcertante’ particolarmente degno di nota è il fatto che, al di fuori della Historia Brittonum capitolo 56, degli Annales Cambriae (che sono dipendenti dalla Historia Brittonum), della Vita bretone di Saint Goueznou eventualmente dell'XI secolo (che parafrasa la Historia Brittonum) e delle Gesta Regum di Guglielmo di Malmesbury dell‘XII secolo  (che parafrasa nuovamente la Historia Brittonum e gli Annales Cambriae), Artù non è mai associato in tutto il corpo di letteratura pre-Galfridiana alla disfatta post-romana dei Sassoni - una situazione sicuramente molto strana per uno che si suppone essere famoso proprio a causa di una tale associazione. Tuttavia, tale aspetto si adatta con il fatto che sembra che ci sia una buona ragione per credere che ci fosse una tradizione non-arturiana separata per quanto riguarda la battaglia di Badon (la quale, ancora una volta, è sempre e solo associata ad Artù nelle poche fonti (di cui sopra) che sono direttamente derivate dalla Historia Brittonum - in fonti che non sono connesse con la Historia, Badon non è collegato ad Arthur, né è Artù collegato a Badon (si veda Bromwich, 1978a), il singolo evento che colloca le presunte vittorie di Artù nei regni della Storia e che, in sostanza, definisce il suo ruolo di vincitore sui Sassoni. Entrambe queste caratteristiche, soprattutto se assunte insieme, appaiono altamente suggestive. Ci si deve chiedere, perché, se il motivo per cui Artù fosse così onorato nella tradizione gallese era che aveva guidato la resistenza britannica e aveva vinto la famosa battaglia di Badon, questo fatto viene ignorato e forse anche messo in dubbio dai ‘‘guardiani della tradizione gallese’’? Perché, nella stragrande maggioranza dei casi, entrambi tardo e posteriore, dipingono invece un quadro coerente di Artù come una figura del folklore che era molto simile in effetti al gaelico Fionn, una figura del tutto mitica che giunse ad essere storicizzata (associandolo) con grandi battaglie contro gli invasori vichinghi dell'Irlanda? Invero, ci si potrebbe ulteriormente chiedere perché, se Artù era universalmente  famoso non per essere un protettore folkloristico della Britannia, ma piuttosto per essere il vincitore sui  Sassoni, la Cornovaglia si sentiva perfettamente in grado di ignorare totalmente le associazioni sassoni e invece si sentiva capace di storicizzarlo nella lontana antichità e nel periodo delle incursioni vichinghe (v. Hunt, 1881; Courtney, 1890) Tali considerazioni come quelle di cui sopra, a prescindere dal fatto che l'adozione di una profonda metodologia ci costringa a concludere che Artù era con ogni probabilità un folkloristico ‘Protettore della Britannia’, suggeriscono che tale interpretazione è quella corretta. Un Artù storico del V o VI secolo non è in alcun modo necessario alla comprensione dell'Artù pre-Galfridiano e la prova che abbiamo rende la presupposizione di una tale figura non solo inutile, ma anche completamente ingiustificabile.

3. La storicizzazione di Artù
Qualsiasi altra cosa sia Artù, egli è una figura composita. Attraverso i secoli il concetto di Artù non è rimasto lo stesso - non c'è leggenda di Re Artù ‘standard’ in quanto questa leggenda è il risultato di un Artù che attrae a sé sia le gesta e sia le caratteristiche di altre storie e personaggi. Questo porta direttamente alla domanda di cui sopra - non possiamo concludere che non c'era nessun Artù storico in quanto vi era uno, nella misura in cui alcuni testi, in particolare la Historia Brittonum, gli Annales Cambriae e la Historia Regum Britanniae di Goffredo, hanno un concetto di Artù che è chiaramente storico. Mentre l'Artù che loro ritraggono non può essere visto, alla luce di quanto sopra, come l'Artù ‘originale’, è sicuramente ancora un esercizio prezioso investigare riguardo a quelle azioni che vennero  successivamente conferite ad Artù, in quanto quelle azioni sono parte integrante di molte rappresentazioni successive  di Artù e come tali costituiscono parte delle origini di Artù. Che ne è allora dell'Artù di Historia Brittonum capitolo 56? Mentre potremmo legittimamente cercare un ‘originale’ per ciascuna delle battaglie, dobbiamo anche chiederci se l'intero concetto presentato nel capitolo 56 della Historia si basa su una singola figura. Il candidato ideale per questo ‘onore’ deve essere, naturalmente, Ambrosio Aureliano. Nel De Excidio Britanniae ad Ambrosio è dato risalto in quanto l'iniziatore del controattacco britanno che, dopo il combattimento di numerose battaglie, culmina nella battaglia di Badon, proprio come Artù nella Historia Brittonum inizia la riscossa dei britanni che, dopo il combattimento di numerose battaglie, culmina nella battaglia di Badon. Sulla base di questo potremmo anche essere in grado di dire che, in qualche misura, abbiamo uno storico Artù- Ambrosio - nel senso che il concetto di Artù come figura storica e la cornice per la sua storicizzazione fu basata sulle sue gesta. Per quanto riguarda le singole battaglie, questo è forse più difficile. Come osservato nella discussione precedente, la ‘battaglia sulla riva di un fiume che si chiama Tribruit’ e Cat Coit Celidon potrebbero ben essere reali battaglie mitiche arturiane. Altre potrebbero essere ‘reali’ o potrebbero essere inventate: Badon, come è stato sostenuto in precedenza, può essere facilmente associato ad Ambrosio, proprio come l'intera cornice di storicizzazione, e Breguoin appare altrove in molte fonti antiche come una battaglia combattuta da Urien di Rheged. Altre invece potevano semplicemente essere inventate, come si pensa fosse il caso per le battaglie utilizzate per storicizzare Fionn nella sua lista di battaglie e come è stato suggerito in precedenza in questo studio. Il problema di intraprendere qualsiasi esercizio di questo tipo è il fatto che i nomi dati alle battaglie potevano rappresentare molte aree - solo poche possono in realtà essere definite sicure e sulla base di questa lista sono state costruite teorie di un Artù meridionale, di un Artù delle Midland e di un Artù settentrionale. Una soluzione parziale è quella di dividere la lista fino in personaggi separati come sopra ma va ricordato che si può solo arrivare fin qui. Il desiderio di identificare queste battaglie è spesso grande, ma questo non deve impedirci di riconoscere che, con sufficiente ‘ingenuità’ possono essere inventate per adattarsi a qualsiasi area e parecchie potrebbero non essere, in realtà, identificabili o persino avere identificazioni.  Per quanto riguarda l'intera questione della storicità e storicizzazione, è stato suggerito che, invece di interrogarci se non vi è qualche giustificazione per postulare un Artù storico, dovremmo chiederci se qualche candidato si adatti ai ‘fatti’ - di certo intraprendere un simile esercizio è molto utile, ma probabilmente in realtà non mostra nulla, almeno per quanto riguarda la storicità. Per fare un esempio, diverse persone hanno suggerito, nel corso degli anni, che Ambrosio è Artù sulla base di Historia Brittonum capitolo 56 Tuttavia, quello che vedono può essere una delle due cose - o che stanno vedendo la ‘verità’, che Ambrosio era Artù, o che stanno vedendo una parziale verità, che la rappresentazione di Artù in queste fonti è basata su Ambrosio ma che si tratta di uno sviluppo secondario di un Artù folcloristico; in un certo senso Ambrosio era Artù, ma non nel senso che la maggior parte della gente vorrebbe dire quando si cerca una risposta a questa domanda. Come si fa a eludere il problema? L'unico modo che io posso vedere è adottare la metodologia di cui sopra, chiedendosi quale giustificazione c'è per postulare un Artù storico. Anzi, dovrebbe essere ulteriormente sottolineato che ci sono certi pericoli nel guardare a personaggi che ‘si adattano ai fatti’ - per fare l'esempio del capitolo 56 della Historia Brittonum ancora una volta, con sufficiente ‘fantasia’ e ginnastica linguistica, come è stato osservato, la lista delle battaglie in questo capitolo può essere fatta adattare a qualsiasi località si possa pensare e, come tali queste teorie si annullano reciprocamente e sono metodologicamente indifendibili - così Collingwood (1929) è riuscito a ‘scoprire’ tutte le battaglie del sud-est, che felicemente si adatta alla sua teoria che Artù solo sconfisse gli Juti; Anscombe (1904) ‘trovò’ che tutte le battaglie furono combattute nelle Midlands; e Skene (1868: I, 52-58) ‘scoprì’ che tutte le battaglie potevano essere identificate con luoghi in Scozia! Le considerazioni metodologiche di sopra valgono se uno è alla ricerca di modelli per la storicizzazione ovvero ad ‘‘originali Artù’’ - una vasta letteratura è stata generata, sia online che offline, sotto l'impulso di una ricerca di personaggi storici che ‘si adattano ai fatti’, ma la semplice verità della questione è che la stragrande maggioranza di questi sforzi sono metodologicamente indifendibili. Seppure internamente coerenti, queste teorie si annullano tutte reciprocamente, spiegano solo una piccola parte della leggenda, se qualcuna di essa, e un numero quasi infinito di tali identificazioni può essere fatto (soprattutto quando un colpo di ‘ingenuità’ viene aggiunto alla miscela), il tutto impossibile da confutare, ma ugualmente quasi tutto di quelle teorie è invalido. Un altro aspetto della leggenda di Re Artù che è stato molto discusso è l'invasione gallica. Questo aspetto del personaggio di Artù appare per la prima  volta nella Historia Regum Britanniae  di Goffredo di Monmouth, nella Vita bretone di Saint Goueznou e Culhwch ac Olwen (anche se il riferimento a quest'ultimo è probabilmente o Galfridiano in origine o semplice fantasia, si veda Bromwich e Evans, 1992: 58 -59). Alcuni, in particolare Geoffrey Ashe (1981, 1985; 1995) e C. Scott Littleton e Linda Malcor (1994), vedrebbero questo come un elemento originale della tradizione arturiana. Tuttavia, come Padel (1995: 109-10), Bromwich (1991: 5-6) e altri hanno notato, non c'è niente di suggestivo di una tale nozione di Artù come un avventuriero gallico nelle prime fonti insulari (tranne che per Culhwch , ma vedi sopra) e perciò se si tratta di un elemento antico dovrebbe essere visto come assente dalla tradizione insulare e, quindi, continentale in origine (come suggerito dalla sua apparizione nella vita bretone). Forse la spiegazione migliore è quella di vedere nella campagna gallica una storicizzazione non-insulare (Bretone?) dell'Artù pan-britanno folcloristico più o meno allo stesso modo come suggerito per Historia Brittonum capitolo 56, ma in questo caso con un ricordo composito di campagne inglesi sul continente - attenzione potrebbe essere particolarmente attirata a Riotamus (sulla base dell'evidenza di Ashe) e alla potente leggenda dell'imperatore Massimo, il gallese Maxen Wledig, che si credeva avesse conquistato Roma e dopo avesse lasciato le sue truppe come primi colonizzatori della Bretagna, in quanto candidati per una tale ‘storicizzazione’.


Paradossalmente, la stessa mania di identificare in questo o quel personaggio di Flavio Giuseppe il vero volto del ''Gesù storico'' ha colto anche i più illusi ed entusiasti tra coloro che si sono volti alla sua ricerca e tuttavia riluttanti a sposare la vulgata tradizionale dei folli apologeti del Consensus su quale e come dovrebbe essere concepito IL Gesù storico.
E come i folli apologeti ''arturiani'' del nostro tempo hanno preso la controfigura di Artù, ovvero Ambrosio Aureliano oppure Riotamus, oppure addirittura Romolo Augustolo (come fa Valerio Massimo Manfredi nel suo romanzo storico L'ultima legione)  per il ''vero'' Gesù storico, così i folli apologeti ''gesuani'' del nostro tempo hanno preso eventuali controfigure storiche di Gesù, ovvero Giuda il Galileo, Giovanni il Battista, il Gesù vissuto al tempo di Alessandro Ianneo, il Maestro di Giustizia qumranico, il Figlio della Menzogna qumranico, ''uno dei figli'' di Giuda il Galileo, il profeta egiziano, Simon Mago, Apollonio di Tiana, Giuseppe Flavio, Tito, Giovanni di Gamala, Giacomo il Giusto, Simone bar Jora, il re di Edessa (!), Giulio Cesare (!), Eleazaro (!), ecc., ecc., per il vero e autentico ''Gesù storico''.

Coll'inevitabile, ridicolo risultato che i primi finiscono per SCAMBIARE L'EVENTUALE CANDIDATO AL RUOLO DELL'ARTÙ mitico storicizzato PER L'ORIGINALE ARTÙ storico miticizzato, mentre i secondi finiscono per SCAMBIARE L'EVENTUALE CANDIDATO AL RUOLO DEL GESÙ mitico storicizzato PER L'ORIGINALE GESÙ storico miticizzato.


E c'è anche un altro aspetto in comune nella storicizzazione di Artù e di Gesù sulla Terra.

Artù fu collocato sulla Terra ora nei panni dello sgominatore dei Sassoni sul monte Badon (usurpando il ruolo che fu di Ambrosio Aureliano), ora nella veste di un condottiero bretone in guerra sul continente, in Armorica (l'attuale Bretagna), mimando la parte che fu di Riotamus (si veda cosa ne dice il prof Green) o dell'autoproclamatosi imperatore romano Massimo (la cui memoria si era evoluta nel fratempo nella forma del ''gallese Maxen Wledig'').

Ma si dà il caso che Riotamus, Ambrosio Aureliano e Massimo non erano fra loro contemporanei, seppure sono personaggi veramente esistiti.

Dunque anche nel caso dell'Artù mitologico, come nel caso del Gesù mitico, si assiste a quel curioso fenomeno per cui alcuni lo storicizzano in un dato punto spazio-temporale nei panni di x, altri in un altro momento nei panni di y, e altri ancora in un altro contesto nei panni di z.

I folli apologeti non riescono a spiegarsi, se non ricorrendo alle più tortuose spiegazioni apologetiche, perchè i cristiani ad est dell'Impero romano, ovvero i cristiani della Partia (che per numero rappresentavano esattamente LA METÀ di tutti i cristiani del tempo) credevano che Gesù fosse stato condannato a morte UN CENTINAIO DI ANNI PRIMA del Gesù dei vangeli. O perchè per Ireneo il Gesù storico morì all'età di CINQUANT'ANNI sotto il regno di Claudio, e non di Tiberio.

E il bello è che Richard Carrier assicura di avere la corretta spiegazione del perchè tali date così diverse da quelle canoniche, una spiegazione di cui i folli apologeti sono colpevolmente carenti.


E qui noto un'altra sottile differenza tra Gesù e Artù, per nulla favorevole ai  folli apologeti.


Perchè mentre i fans di un Artù storico sono lasciati con la vaga possibilità di identificare almeno una controfigura di Artù nel vero vincitore sui Sassoni alla battaglia del Monte Badon, ovvero quel romano Ambrosio Aureliano di cui ci parla Gildas, i fans del Gesù storico ''a tutti i costi'' non sanno neppure identificare con certezza la sagoma di un'eventuale controfigura per Gesù, che si presti realisticamente al ruolo: tanto incomprensibili suonano i vangeli quando si vuole identificare un preciso personaggio storico dietro di loro, a meno di non ricorrere alle più arzigogolate armonizzazioni degna della peggior, demente apologetica.


E c'è anche la questione del nome.

L'unica seria obiezione che possono sollevare i disperati, ultimi fans di uno storico Artù è che il nome di ''Arthur'' non sembra mai associato esplicitamente ad un supereroe dalle caratteristiche mitologiche, ma solo sue più o meno plausibili etimologie.
Proprio come si possono identificare con una certa dose di ingenuo entusiasmo un numero quasi infinito di prototipi storici per Artù, sembra altrettanto probabile che si possa indentificare anche un numero simile di prototipi mitici per lo stesso Artù e perciò parecchia cautela è necessaria.


Laddove invece il nome di Gesù viene associato ad un'entità metafisica nientemeno che da... ...Filone di Alessandria!


 È di particolare interesse che il filosofo ebreo ellenistico Filone di Alessandria (vissuto alll'incirca tra il 20 AEC e il 50 EC), presunto contemporaneo di Gesù, le cui opere vengono prima degli scritti di Paolo e dei vangeli, non fa alcuna menzione di Gesù di Nazaret o dei suoi seguaci, ma si riferisce ad una figura celeste, una figura puramente soprannaturale, chiamata Logos (si veda Giovanni 1:1). Il fatto sorprendente è che questa figura puramente soprannaturale ricorda molto da vicino Gesù Cristo. Richard Carrier ha richiamato l'attenzione al fatto che questa figura del Logos è descritta varie volte da Filone come


1) il “primogenito figlio di Dio”


Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli.
(Romani 8:29)

2) la celeste “immagine di Dio”
...in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio.
(2 Corinzi 4:44)


3) l'“agente divino della creazione”


...per noi c’è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui.
(1 Corinzi 8:6)


4) il “sommo sacerdote di Dio”
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
(Colossesi 1:18)

Avendo dunque un grande sommo sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figlio di Dio, stiamo fermi nella fede che professiamo.
(Ebrei 4:14)


Se le figure messaniche del Logos e del Cristo di Paolo (e di altri autori di epistole) sono del tutto scollegate tra loro, si tratta di un'enorme coincidenza. E d'altro canto, neppure sembra ovvio che Paolo avesse adattato la figura del Logos di Filone nel suo concetto personale di Gesù Cristo. Una “coincidenza” altrettanto impressionante sarebbe che, nel discutere di questa figura apparentemente anonima, Filone allude ad un passo dell'Antico Testamento, che fornisce l'unica cosa che secondo l'accademico Arthur Droge è necessaria per iniziare una religione: un nome.

Il lettore può probabilmente immaginare dove va a ricercare Filone... Nella Septuaginta, a questa figura viene dato un nome, “Gesù”.
Prendi quella corona e quell'oro e ne farai una corona che porrai sul capo di Giosuè figlio di Iozedàk, sommo sacerdote. Gli riferirai: Dice il Signore degli eserciti: Ecco un uomo che si chiama Germoglio: spunterà da sé e ricostruirà il tempio del Signore. Sì, egli ricostruirà il tempio del Signore, egli riceverà la gloria, egli siederà da sovrano sul suo trono. Un sacerdote sarà alla sua destra e fra i due regnerà una pace perfetta.
(Zaccaria 6:11-13)



Al di là se questo passo di Zaccaria dove esorta a dare “una corona che porrai sul capo di Gesù”  sia servito a presagire il futuro Gesù Cristo o no (come i folli apologeti cristiani potrebbero desiderare), ad importare è l'interpretazione di questo passo da parte di Filone. Questo passo di Zaccaria fu commentato da Filone, che instaura un collegamento alla sua figura soprannaturale e divina del Logos, nell'opera Sulla Confusione delle Lingue 62-63:
“Ecco, l'uomo che si chiama ‘Germoglio’!” è proprio un insolito appellativo, invero, se lo consideri pronunciato a proposito di un uomo che è composto di corpo e anima. Ma se guardi ad esso come se fosse stato applicato a quell'entità incorporea che in alcun modo differisce dalla divina immagine, allora riconoscerai che il nome di ‘Germoglio’ gli è stato dato assai felicemente. Infatti il Padre dell'Universo lo ha innalzato in quanto il figlio maggiore, che in un altro passo egli chiama il primogenito. E lui che è dunque generato, imita le vie di suo padre...


Ora, per quale motivo assistiamo al FATTO significativo che il contemporaneo di Gesù, Filone, manca totalmente di menzionare Gesù Cristo (o un “Gesù Storico”), ma al contrario si dilunga sul Logos, in possesso degli stessi attributi metafisici del Cristo di Paolo, dandogli implicitamente addirittura il nome di Gesù (vedendolo allegorizzato nel Gesù/Giosuè di Zaccaria 6:11-12) per incredibile coincidenza, talmente incredibile che dunque, per definizione, non può essere una coincidenza, quando quell'identità era nota solo a pochi?

Una domanda alla quale i folli apologeti non sanno rispondere.


E dunque sono costretti DE FACTO a concludere che si tratti di una totale (e quindi straordinaria) coincidenza che il Gesù di Paolo e il Gesù di Filone siano in possesso degli stessi attributi metafisici (essere pre-esistente, agente della creazione, immagine di Dio, primogenito di Dio, il nome Gesù). Per definizione le coincidenze straordinarie sono improbabili. Una comune tradizione precristiana sviluppata indipendentemente in modi e luoghi diversi sia da cristiani come Paolo sia da ebrei come Filone spiega tutta l'evidenza facendo a meno di postulare improbabili e quasi impossibili coincidenze. Si tratta perciò della miglior spiegazione di quell'evidenza.



Che i folli apologeti cristiani attivi sul web vogliano ostentare tutto il loro dissenso e disapprovazione di fronte a tale scoperta è comprensibile, anche se ovviamente non è l'ideale. Ma che le istituzioni accademiche facciano lo stesso, rivela davvero chiaramente che esistono problemi reali all'interno dell'accademia, in particolare nel campo degli studi delle origini cristiane.

Dunque la conclusione è inevitabile: in termini di probabilità, Gesù è più mitico rispetto al pur mitico Artù, in quanto il nome del primo, a differenza del nome del secondo, è direttamente associato ad un'entità immaginaria: non solo da Paolo, non solo dall'anonimo autore della lettera agli Ebrei, non solo dagli altri autori cristiani di epistole, ma anche dall'ebreo alessandrino Filone.