giovedì 1 settembre 2016

Sul Figlio dell'Uomo come un “altro Gesù” (III) − In omaggio a John M. Allegro



PARABOLE: Apologie o modi indiretti di spiegarsi di cui la divinità si serve spesso nella Scrittura, per paura di parlare in modo intelligibile agli amici che vuole istruire.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

O voi ch'avete li 'ntelletti sani,
mirate la dottrina che s'asconde
sotto 'l velame de li versi strani.

(Alighieri, Divina Commedia: Inferno, canto IX, versi 61−63)

Gli evangelisti furono inventori non i reali conoscitori dei fatti che concernevano Gesù; ognuno di loro infatti scrisse il racconto sulla passione non in modo concorde, ma in modo assolutamente differente: uno infatti racconta che al crocifisso venne data una spugna piena di aceto... questo è Marco. L'altro invece dice: “giunti su un luogo (chiamato) Golgota, gli diedero da bere del vino mischiato e con fiele; e assaggiatolo non volle bere”; e poco dopo: “e verso l'ora nona Gesù gridò a gran voce dicendo: Eloìm, Eloìm, lemà sabactanì, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” E quest'altro è Matteo. Un altro dice: “c'era un vaso pieno d'aceto; quindi avendo legato il vaso pieno d'aceto ad una canna d'issopo, glielo portarono alla sua bocca; quando dunque Gesù prese l'aceto disse: tutto è compiuto. E chinato il capo, rese lo spirito”. E questo è Giovanni. Un altro dice: “e gridando a gran voce disse: Padre nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Questo si trova in Luca. Da tale racconto debole e discordante si comprende che non c'è un solo crocifisso ma molti: infatti se uno dice “nelle tue mani rimetto il mio spirito”, e l'altro dice: “tutto è compiuto”, e l'altro ancora: “Dio mio, perchè mi hai abbandonato? E l'altro: “Oh Dio, Dio mio perchè mi hai oltraggiato?” È chiaro che la stessa invenzione è discordante; oppure che si riferisce a molti crocifissi, oppure (che si riferisce) ad un'unica persona morta tra gli spasimi ma che non ha mostrato in modo chiaro ai presenti la sua passione. Se quindi non hanno potuto indicare in modo veritiero il modo della morte, essi hanno fatto soltanto una vana cantilena, e non sono stati chiari nemmeno sul resto.
(Porfirio, Contro i Cristiani, frammento preservato in Macario, Apocriticus II:12)

Di recente la ricerca delle allegorie nella Bibbia ha ottenuto grandi risultati. Quando si confrontano i moderni commentari di Marco con i libri della cosiddetta Third Quest, così ingenuamente fiduciosi di aver pescato il vero Gesù storico e senza il benchè minimo dubbio sulla sua esistenza, è inevitabile sorridere per così tanta ingenuità. Così come stanno, tutti i libri sul Gesù storico prodotti finora, compresi coloro che si trascinano dietro quel puerile e infantile desiderio di poterlo recuperare, dovrebbero essere scaraventati nel più vicino cestino della spazzatura senza troppe cerimonie. E tuttavia vorrei prestare il mio omaggio a uno solo degli studiosi che si sono illusi di aver pescato il vero Gesù, in quel caos sterminato di pretendenti. Non si tratta del prof Stevan L. Davies, nonostante la profonda umanità e apertura mentale da lui manifestata in un dialogo online con me. Non si tratta neppure di Robert Conner, autore di un libro, Gesù il Mago, che da me potrebbe riuscire a strappare magari solo il mio tiepido tifo da spettatore di una partita di calcio, qualora si dovesse scommettere sull'identità di un IPOTETICO Gesù storico, ma chiaramente le probabilità che un Gesù esistette sono veramente minime e vicinissime allo zero. È irrazionale credere alla storicità di Gesù, in primo luogo perchè Paolo non sembra essere affatto a conoscenza di un essere umano dietro il suo arcangelo celeste Gesù (che non sia la rarefatta figura umana, o meglio umanoide, di un arcangelo celeste mai sceso sulla terra, appunto), in secondo luogo perchè gli dèi e i semidèi (gli equivalenti pagani degli ebraici angeli e arcangeli) di solito non sono persone davvero esistite, e in terzo luogo perchè l'idea di un mero figlio d'uomo terreno dietro il Figlio di Dio spirituale appare per la prima volta solo un centinaio d'anni dopo i presunti fatti (se si concede che Tacito seppe dai cristiani a lui contemporanei che “Cristo fu condannato alla pena capitale sotto il procuratore Pilato”) e per giunta tramite un'assurda agiografia mitica e anonima, e da quel momento in poi in tutte le altre agiografie (altrettanto assurde, mitiche e anonime) che alla prima si ispirarono più o meno liberamente: vale a dire, nessun'altra informazione sembra essere esistita o almeno sopravvissuta a proposito di questo Gesù terreno, che non si possa far risalire ad un attento scrutinio, direttamente o indirettamente, ai soli vangeli, ciascuno dei quali a loro volta tutti basati, chi in una maniera e chi nell'altra, sul primo di essi: una chiara allegoria scritta da un anonimo, etichettato “Marco” da una setta cristiana assai posteriore (la chiesa che di solito si indica come proto−cattolica o proto−ortodossa) che aveva tanto diritto di tenersi solo per sè quell'allegoria quanto chiunque altro in tutto l'Impero romano. 

La realtà di quei tre punti prova la maggiore probabilità del miticismo minimale rispetto alla storicità.


E quei tre punti è possibile dimostrarli appieno solo con le recenti conoscenze scientifiche, frutto dell'analisi dei testi degli ultimi sessant'anni. In passato quei tre punti potevano soltanto essere proposti ma ora sono dimostrati essere veri e nessun folle apologeta cristiano può sfuggire a quei tre punti, pena altrimenti l'esposizione al pubblico ludibrio.

E tuttavia, ho detto, voglio omaggiare in questo post uno studioso, per la precisione un filologo, la cui esistenza fu rovinosamente distrutta dai bastardi e dementi cristiani della sua nazione.

E voglio omaggiarlo non tanto perchè fu nè il primo, nè tantomeno l'ultimo, ad assaggiare l'intrinseca cattiveria dei veri cristiani (perchè se un dio creatore esiste, non può che essere malvagio, perciò i suoi legittimi adoratori sono solo i fanatici che se la sentono di adorarlo di buon grado per come sarebbe davvero se davvero esistente). Bensì perchè aveva intuito, prima di tutti gli altri, il potere delle allucinazioni nella formazione del più antico kerygma cristiano, così come per un altro aspetto, che tra poco illustrerò.
Elemento 15: Numerosi importanti primi cristiani fecero dichiarazioni di visioni e voci, e potrebbero essere stati schizotipi. Io ho qu fatto un leggero miglioramento, dal momento che Carrier esordisce con un definitivo “il Cristianesimo cominciò come...” che io sento è un pochettino più forte, a questa fase. La mia più sfumata versione non è in discussione. Noi osserviamo nelle epistole di Paolo, per esempio, la nostra più antica fonte cristiana, che tutte le sue interazioni con Gesù erano essenzialmente allucinazioni. In realtà, questo è necessario, dal momento che perfino gli storicisti riconoscono che Paolo non conobbe il Gesù Storico, sicchè questo elemento funziona su entrambe le teorie.  Carrier cita parecchie fonti che collegano esperienze religiose a spiegazioni naturalistiche, non lasciando alcun dubbio che i primi cristiani come Paolo probabilmente erano mentalmente malati, altrimenti schizotipi, oppure (eventualmente ben intenzionati) bugiardi. Anche, in un curioso miscuglio di opzioni, Carrier si chiede addirittura se la gente pretendeva di aver tali allucinazioni, data la riverenza verso tali  “santi uomini”. Invero, Paolo indica quanto fossero desiderabili tali “doni spirituali” in 1 Corinzi.

Tutti fuorchè gli studiosi conservatori cristiani − che io escludo da questo dibattito tra atei − dovrebbero felicemente accettare quest'elemento. Gli storicisti potrebbero procedere a sostenere che ciò è irrilevante in quanto Paolo è non davvero una nostra più antica fonte cristiana, se lo desiderano, ma ciò si baserebbe su un appello fallace alle innumerevoli fonti immaginarie dietro i vangeli alle quali storicisti come Ehrman e Casey “pretendono” di avere accesso.

(Jesus Did Not Exist − A Debate Among Atheists, Raphael Lataster / Richard Carrier, 2015, pag. 313, mia libera traduzione)

John M. Allegro è stato un filologo. Egli giunse per suo conto alla conclusione che i vangeli sono solo un elaborato messaggio in codice, e che Gesù mai esistette come personaggio storico reale.

Ma la versione delle origini cristiane proposta da John Allegro era piuttosto eccentrica, per non dire bizzarra: secondo lui, i vangeli erano istruzioni per l'uso e consumo di riti misterici che comportavano l'adozione di allucinogeni (nello specifico, un fungo particolare, l'amanita muscaria). Questa tesi fu esposta in un libro, Il Fungo Sacro e la Croce. L'idea è che il cristianesimo primitivo fu influenzato dagli esseni, presunti autori dei rotoli del Mar Morto. Il qumranico Maestro di Giudizia sarebbe stato un modello per il Gesù dei vangeli, a sua volta un simbolo creato dagli esseni. La teoria di Allegro prendeva le mosse da antichi riti magici:
“I racconti popolari degli antichi avevano contenuto dai tempi più remoti miti basati sulle personificazioni di piante e alberi. Erano rivestiti di umane facoltà e qualità e i loro nomi e le loro caratteristiche fisiche erano applicate agli eroi e alle eroine delle storie”.
(estratto e libera traduzione da The Sacred Mushroom and the Cross - A study of the nature and origins  of Christianity within the fertility cults of the ancient Near East di John M. Allegro)

 I vangeli non fecero eccezione.

Essi erano scritti “per comunicare la storia di un maestro di nome Gesù, e rivestirlo del potere e dei nomi della droga magica”. Le comunità primitive, pretendeva di sapere Allegro, vedevano nella pioggia che rende fertile il raccolto lo stesso sperma fuoriuscito dal pene di Dio. Il potere di portare la pioggia, ottenuto mediante un rito magico, era equivalente al potere sullo stesso fallo di Dio. 
L'ebraismo (da cui derivò il cristianesimo) sarebbe stato in epoche ancestrali solo un culto della fertilità. Allegro sosteneva che le parole “YHWH” e “Gesù” fossero entrambe di derivazione sumera, a significare entrambe “sperma”. Nel I secolo Era Comune, lo scopo del rito divino non consisteva più nel potere di far piovere per assicurare un buon raccolto, bensì nell'ottenimento dela salvezza personale e di capacità profetiche. E da qui alle religioni misteriche, in quanto religioni dedite al perseguimento di una sacra rivelazione, il passo fu breve. Per i primi cristiani, secondo Allegro, questo obiettivo fu realizzato tramite il consumo di erbe e piante. In breve, l'estasi prodotta dai funghi allucinogeni coincideva per loro con la conoscenza divina. Uno di quei funghi allucinogeni era appunto il fungo di nome amanita muscaria. Allegro si spinge addirittura a identificare riferimenti biblici a questo fungo sacro. Ad esempio, laddove Gesù si rivolge a Pietro in quello che appare un atto fondativo di una chiesa in Matteo:
E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.
(Matteo 16:18)
...per Allegro si tratterrebbe invece di un'allusione al fungo sacro, dato che udendo la parola greca per “chiavi” e il nome petros si otterrebbe la stessa radice sumerica del termine aramaico per “fungo”: PTR. Le “chiavi” ricorderebbero, all'epoca, la tipica forma di un fungo.

Questo “fungo sacro” era perciò la chiave che permetteva l'accesso al cielo e all'inferno. Si noti come l'apparente volgare letteralismo dell'esegesi viene eluso con un'abile espediente: la chiave allude al fungo che fa da chiave del regno, aprendo a percezioni extra−sensoriali.

Ovviamente questa teoria non ha avuto molto successo, nonostante Allegro fosse ritenuto così perniciosamente eretico dai folli apologeti cristiani dell'epoca da meritare l'ostracismo e perfino la diffamazione. Eppure spesso, unendosi al coro di chi liquida troppo rumorosamente le opinioni del prof John Allegro, ci si dimentica di constatare dove precisamente avrebbe sbagliato nel suo metodo. Di certo l'errore metodologico di fondo è nell'introdurre l'ipotesi completamente gratuita di un “Matteo” (autore) che fosse a conoscenza dell'antico termine sumerico per “fungo” quando comprendeva anche il nome di Pietro. Ma Allegro non aveva torto quando sosteneva che il cristianesimo ha origini esclusivamente ebraiche (al contrario dello scemo astroteologo di turno). Allegro non aveva torto quando sosteneva che le esperienze del Cristo risorto non erano nient'altro che mere allucinazioni individuali e/o collettive (un fatto confermato come evidenza di background dal consensus scientifico corrente − che è la ragione per la quale non mi va di perdere tempo a persuadere di questo fatto ormai auto−evidente i folli apologeti cristiani). L'errore di John Allegro, come riportò il quotidiano The Times, è stato più precisamente di “aver rintracciato la sorgente del cristianesimo ad un fungo commestibile”. Il vero errore è stato, in realtà, di aver confuso le esperienze allucinatorie tipiche dei consumatori di droga con le esperienze allucinatorie delle persone affette da comportamenti schizotipici. In altre parole, chi pensa di liquidare sommariamente il miticismo minimale riducendo l'affermazione miticista (corretta) che “i primi cristiani erano allucinati perchè schizotipici” all'affermazione (errata) che “i primi cristiani erano allucinati perchè schizofrenici” non è poi così lontano dagli errori e dai difetti realizzati da John Allegro. Come questo scambiava l'allucinazione schizotipica con l'allucinazione di un drogato (e a quest'ultima pretendeva di piegare l'intera esegesi biblica), così i folli apologeti cristiani scambiano l'allucinazione schizotipica con l'allucinazione schizofrenica per liquidarle entrambe come impossibili per le origini cristiane (fallacia nota come
«argomento dell'uomo di paglia»), non tenendo affatto conto (volutamente?) della precisa differenza che corre tra un individuo schizotipico (che “vede” Madonne e angeli e arcangeli celesti e tuttavia appare sanissimo di mente e sincerissimo nelle intenzioni, e magari riesce perfino ad attirare migliaia di fedeli alla sua setta senza aspettare neppure l'imprimatur ecclesiastico, che spesso tarda ad arrivare) e un individuo schizofrenico (che “vede” purtroppo le cose ad un livello tale di disconnessione mentale da richiedere l'internamento in un manicomio, e Dio solo sa perchè non vi ficcano invece i dementi apologeti cristiani).

Perciò Allegro aveva torto a far risalire le origini cristiane ad un fungo, ma aveva certamente ragione nel far risalire le origini cristiane al primo che esperì allucinazioni di tipo schizotipico avente per oggetto un'entità spirituale identificata con un arcangelo celeste di nome Gesù Cristo: un ebreo di nome Cefa, Pietro per i non−ebrei.  E nell'aver fatto coincidere con Pietro la vera causa del cristianesimo (corollario inevitabile della sua opinione che fu Pietro per primo a esperire in un'allucinazione il regno celeste mediante previo consumo del suo fungo sacro “Gesù”) John Allegro porta a casa un importante risultato scientifico ora corroborato definitivamente dalla ricerca più recente. Poichè il Credo Corinzio è autentico, non c'è nessuna ragione che impedisca di attribuire ad un solo uomo, sotto il paradigma del miticismo minimale, la responsabilità di aver originato il cristianesimo, con le sue allucinazioni: l'apostolo Pietro.

L'anno dopo il suo Il Fungo Sacro e la Croce, John Allegro era ancora dell'opinione che i vangeli fossero un “aide−memoir scritto cripticamente degli adoratori del fungo sacro. Il “Gesù”, alla pari del “Dioniso” della relativa religione bacchica, non è che una personificazione di un fungo sacro, il “profumato” o unto, il “Cristo”, il rappresentante fallico dell'antico dio della fertilità Yahweh/Zeus”. Poi di nuovo, le visioni apocalittiche infernali che troviamo nell'Apocalisse darebbero la loro esistenza agli imprevedibili effetti del “fungo sacro”.  Quel libro sarebbe stato scritto davvero sull'isola greca di Patmos dove l'amanita muscaria era diffusa da millenni. I suoi sintomi di visione allucinogena, euforia, perfino mania e psicosi, sono altrettanto ben noti.

Quanto a John Allegro, si deve sottolineare che non è mai stato un teologo (non che il titolo importi molto, dopotutto), ma un filologo. E concordo con Friedrich Nietzsche allorchè precisò chi è un vero filologo (non certo un folle apologeta cristiano):
In effetti non si è filologi e medici senza essere al tempo stesso anche anticristiani. Infatti, come filologi guardiamo dietro i «sacri libri». come medici dietro l'imbastardimento fisiologico del cristiano tipico. Il medico dice «inguaribile», il filologo «imbroglio»...
(L'Anticristo, 47)

Così come non posso che concordare con lo stesso Allegro quando ha scritto che i vangeli erano un “dispositivo letterario adatto a diffondere conoscenza occulta ai fedeli”. Allegro non aveva realizzato ancora che ogni vangelo − soprattutto il primo di essi, il vangelo di Marco, al quale tutti gli altri dipendono così oltre misura da non poterli in nessun modo definire “fonti indipendenti” − si legge apprezzando in primo luogo l'elevato tasso di indebitamento alla letteratura sacra precedente, e di certo  non poteva essere biasimato per questo poichè non aveva neppure gli strumenti adatti per farlo, in realtà nessuno al suo giorno li aveva, anzi erano così ignoranti tutti i cosiddetti “esperti” del suo giorno da rifiutare di vedere Marco come un vangelo squisitamente paolino (e ho detto tutto). Epperò John Allegro aveva realizzato da subito la vera natura del vangelo: uno scrigno zeppo di segrete metafore ancora tutte da scoprire, dove la storiella “raccontata così vividamente nei vangeli non fu mai intesa a venir letta come storia dalle comunità alle quali erano inviati gli scritti”.

Quelli scritti − interpretati correttamente − veicolavano il loro significato nascosto soltanto a coloro in potere di vederli per ciò che sono.

Un esempio concreto fra tutti.

Un outsider pagano, di certo non un accolito del particolare culto misterico dove un certo “Marco” ideò a tavolino la sua allegoria, ricavò quest'impressione assai giustificata leggendo nel primo vangelo a proposito di un enigmatico “mare di Galilea”:

Suvvia, scopriamo quel passo del Vangelo scritto in modo così risibile e incredibile che racconta una storiella ancora più ridicola, quando Gesù dopo cena mandati i discepoli ad attraversare il mare, apparve loro in persona durante la quarta vigilia della notte, terribilmente estenuati dal turbine della tempesta, visto che avevano lottato per tutta la notte (contro) la violenza delle onde; infatti la quarta vigilia della notte è la decima ora della notte, dopo la quale rimangono altre tre ore. Tuttavia coloro che dicono la verità su quei luoghi sostengono che lì non vi è alcun mare, ma un piccolo lago creato da un fiume sotto un monte presso la regione della Galilea, vicino la città di Tiberiade, che è facile attraversare facilmente con dei piccoli canotti in non più di due ore, e non vi è più possibilità che si formino nè onde, nè tempeste. Dunque allontanandosi parecchio dalla realtà Marco scrive in modo assolutamente risibile questo racconto secondo cui nove ore erano trascorse, e alla decima − cioè la quarta vigilia della notte − Gesù, dopo aver camminato (sulle acque, va) a trovare i discepoli che navigavano sullo stagno. Inoltre egli parla di un mare, e non semplicemente di un mare, ma (un mare) colpito dalla tempesta, terribilmente infuriato e che era agitato spaventosamente dal tumulto delle onde, tutto ciò per mostrare Cristo che compie qualcosa di grande, un miracolo, mentre calma una violenta e straordinaria tempesta, e salva dalla profondità del mare i discepoli che correvano un pericolo da poco. Da questi racconti infantili comprendiamo che il Vangelo è una finzione ben congegnata. Esaminiamo (allora) più profondamente ciascuna di esse.
(frammento di Porfirio, Contro i Cristiani, preservato in Macario, Apocritico, III, 6)

Quelle sono le parole di un outsider, di un pagano alle prese col messaggio cristiano come predicato da cristiani che sono a loro volta outsiders, per nulla iniziati e accoliti al significato più esoterico del testo (a differenza degli insiders). In realtà è facile dimostrare quanto facilmente poteva cadere in un gigantesco, marchiano equivoco un qualunque pagano (o per quella materia, ogni cristiano outsider, appena battezzato) quando non messo debitamente a parte di ciò che vuole significare “mare di Galilea” nel vangelo di Marco.

Tanto per cominciare, l'apologia di Girolamo (quell'idiota cristiano che tradusse la Vulgata) a difesa di un ipotetico letteralista “Marco” (cioè di un Marco che davvero soleva chiamare “mare” quello che è agli occhi di tutti un risibile laghetto) si può liquidare tranquillamente come folle e degna del peggior folle apologeta cristiano, a tal punto fa “acqua” (è il caso di dirlo!) da tutte le parti:
Bisogna osservare che tutte le masse d'acqua, sia salata che dolce, in ebraico vengono chiamate mari; quindi senza motivo Porfirio accusa gli Evangelisti di chiamare “mare” il lago di Genezareth al (solo) scopo di presentare agli ignoranti il miracolo in cui il Signore aveva camminato sul mare, in quanto ogni lago ed ogni massa d'acqua vengono chiamati “mari”.
(Girolamo, Domande sulla Genesi, c.1, 10)

Che San Girolamo fosse un gran pezzo di scemo, un folle apologeta cristiano in vena di imbrogliare, è il caso di dirlo!, le “acque”, lo dimostra il fatto semplice eppur banale che la lingua greca, proprio come l'italiano, permetteva benissimo a Marco, se solo l'avesse voluto fare, di distinguere eccome tra laghi (limne) e oceani (thalassa), ergo Marco non avrebbe avuto alcun problema a sfruttare la differenza, a meno che non intendesse rivelarci qualcos'altro, perciò la saccente ostentazione di sapienza che fa San Girolamo dell'ebraico antico il folle apologeta cristiano poteva bene mettersela nel culo! Con noi atei intelligenti la sua fottura logica contorta non regge affatto!

Si dirà che la scemenza di San Girolamo è un caso patologico isolato e invece no: viene puntualmente replicata da quei moderni studiosi che non appena vedono la possibilità di un semitismo dietro Marco, subito saltano illogicamente alla conclusione che tale semitismo è “molto probabile” (!!), per poi, consci come sono che l'unico a parlare aramaico in Giudea del I secolo era il loro preferito Gesù storico (!!!), fanno ancora un ulteriore salto illogico alla “conclusione” che quel semitismo risale alle ipsissima verba (!!!!) del loro preferito Gesù storico! Insomma, un coacervo assurdo e incredibile di fallacie del possibiliter ergo probabiliter.
 Ma lasciamo stare le stronzate dei folli apologeti cristiani (e dei loro accoliti in accademia che si lustrano fraudolentemente del titolo di professori) per andare dritto al sodo della vera spiegazione. 

Ad oggi, sono a conoscenza di tre ipotesi interpretative sorte in ambito accademico che affrontano direttamente il problema di un “lago” trasformato impunemente in “mare”.

Secondo il prof Dennis MacDonald, il “mare di Galilea” in questione sarebbe allegoria del più vasto Mar Mediterraneo, dove l'antieroe che Gesù, nelle intenzioni di Marco, dovrebbe emulare e superare, altri non è che Odisseo di Omero (le cui opere erano note per default a tutti coloro in grado di scrivere in greco, Marco compreso).
Un perspicace lettore greco dovrebbe essere stato anche sospettoso di imitazioni omeriche quando incontra il “mare di Galilea”, come se si trattasse di un possente oceano, un mostro che viveva nelle caverne, un Gesù che manda Legione nei porci, o un albero di fico atteso di portare frutti fuori stagione. Tali connessioni a quanto pare non sfuggirono agli intellettuali bizantini responsabili dei Centoni omerici e della Passione e la Resurrezione di Gesù scritto da Enea. Quelli autori riscrivevano storie del vangelo e ampliavano la loro impresa mimetica prendendo righe in prestito direttamente dai poemi epici.
Le imitazioni omerici dei vangeli sarebbero state particolarmente significative nel primo secolo dell'Era Comune, se li si legga in concorrenza con l'Eneide, riscrittura di Virgilio dell'Iliade e dell'Odissea, per fornire un'epica legittimizzante ad Augusto e al nuovo Impero Romano.

(Mythologizing Jesus − From Jewish Teacher to Epic Hero, pag. 139, mia libera traduzione)

Esempi specifici di mimesi omerica nei vangeli si possono trovare in questa lista più generale.

Secondo un'altra ipotesi interpretativa invece, il “mare di Galilea” serviva a fare un punto preciso sul Messia, alla luce del salmo seguente:
Coloro che solcavano il mare sulle barche
e commerciavano sulle grandi acque,
videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.

(Salmo 107:23−29)

Si noti il riferimento alle “barche” in entrambe le scene:
In quello stesso giorno, alla sera, Gesù disse loro: «Passiamo all'altra riva». E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano delle altre barche con lui. 
(Marco 4:35−36)
 Coloro che solcavano il mare sulle barche
e commerciavano sulle grandi acque,

(Salmo 107:23)

Tenendo in debito conto che noi siamo già abituati ai tiri mancini di Marco in fatto di geografia (e sappiamo benissimo cosa vogliano dire, sia la direzione dei suoi spostamenti,
sia il significato dei particolari “luoghi” attraversati) allora la prova che Marco introdusse un “mare di Galilea” per motivi esclusivamente simbolici è pressochè schiacciante.

Talmente schiacciante che non solo il “mare di Galilea” ma anche la “Galilea” stessa non sfugge alla legge incontrastata del simbolo e dell'allegoria, in Marco.

 Così parlò il profeta, infatti:
poiché non ci sarà più oscurità
dove ora è angoscia.
In passato umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la Galilea delle nazioni.
Il popolo che camminava nelle tenebre
vide una grande luce;
su coloro che abitavano in terra tenebrosa
una luce rifulse.

(Isaia 8:23−9:1)

Se è vero che tre punti fanno una sola retta,
allora è altresì vero che:

1)  poichè “Nazaret” è un nome artificiale che rimanda al messia davidico (perchè altrimenti come diavolo avrebbe potuto farcela un cieco a salutare il Messia come “figlio di Davide!” al solo sentore che era “Nazareno”?) ,

2) poichè il “mare” doveva essere placato dal messia come vuole il Salmo 107 appena ilustrato,

3) poichè la “Galilea” medesima doveva essere a sua volta associata alla “via del mare” che il futuro renderà “gloriosa” per Isaia 8:23 perchè a solcarla sarà il Messia in persona, come illustra la mappa seguente dei presunti “spostamenti” di Gesù :


...allora c'è poco dubbio che gli evangelisti, come affermò Porfirio, “furono inventori non i reali conoscitori dei fatti che concernevano Gesù”. Cos'è più probabile, che un insignificante profeta ebreo del I secolo EC si mettesse a fare viaggi come indicato per filo e per segno in Isaia 3:28 trasformato nel più grottesco dei modi in depliant turistico, oppure che quei spostamenti  furono inventati appositamente per fare il punto semplice e chiaro che Gesù è il Messia  ?

Marco 7:31
Isaia 8:23
“Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone…”
“In passato umiliò la terra di Zàbulon…” [l'estremo limite settentrionale idealizzato della “terra di Zèbulon”]
“…venne verso il mare di Galilea…”
“…e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare…”
 “…attraverso il pieno territorio della Decàpoli.”
“…oltre il Giordano e la Galilea delle nazioni.”


Dal momento che non mi fido delle guide turistiche
(specie quando vestono i panni dei teologi sotto mentite spoglie di storici) preferisco di gran lunga la seconda opzione: quindi addio presunto ministero galileo di Gesù. L'evidenza di un Gesù galileo evapora brutalmente, sotto i colpi infallibili del midrash, dell'allegoria, del simbolo e del mito. 

Ma non si pensi che sia ancora finita con la “Galilea” e il suo presunto “mare”.


Secondo la terza ipotesi interpretativa, preferita dal prof Bartosz Adamczewski e dal serio e competente ricercatore Tom Dykstra, il “mare di Galilea” simboleggia sì il Mar Mediterraneo:
    ...Marco inventò il termine ''Mar di Galilea'' per quello che in realtà non è che un grande lago, precisamente allo scopo di aiutare i suoi lettori a cogliere l'allusione al mare Mediterraneo.
    (Mark Canonizer of Paul, pag.86, mia libera traduzione e mia enfasi)


...ma questo perchè l'uomo sulla cui reale esistenza storica Marco stava costruendo quella del suo fittizio Gesù era l'apostolo chiamato Paolo. Era infatti Paolo a predicare il vangelo ora agli ebrei e ora, solcando il mare Mediterraneo, ai non−ebrei, cioè a tutti i pagani. Il figlio dell'uomo posseduto dal Figlio di Dio non poteva che comportarsi come Paolo in tutto e per tutto, in quello che faceva e in quello che diceva:
L'affermazione riguardante la predicazione di Gesù del vangelo (τὸ  εὐαγγέλιον) in Galilea (Marco 1:14−15) illustra la dichiarazione di Paolo che egli fu chiamato a predicare il vangelo (εὐαγγελίζω) tra i gentili (Galati 1:16b). Di conseguenza, per mezzo della procedura ipertestuale di traslazione spaziale, la Galilea evidentemente di nuovo funziona qui (si veda prima ancora Marco 1:9b) come il territorio dei gentili.
L'idea particolare di predicare il vangelo di Dio (κηρύσσων  τὸ  εὐαγγέλιον  τοῦ  Θεοῦ) come sintesi dell'attività del personaggio principale in un territorio non−giudeo (Marco 1:14) è evidentemente paolina (1 Tessalonicesi 2:9; si veda 2 Corinzi 11:4; Galati 2:2; si veda anche Colossesi 1:23). Parimenti, l'idea della pienezza del tempo (πληρ* : Marco 1:15) fu copiata dal testo paolino Galati 4:4), e la frase non−scritturale “il regno di Dio” (ἡ  βασιλεία  τοῦ  Θεοῦ: Marco 1:15 ecc.) fu copiata dai testi paolini 1 Corinzi 4:20; Romani 14:17 ecc. (si veda Colossesi 4:11).
Per giunta, il messaggio programmatico riguardante il ruolo fondamentale della fede (πιστ*) nel vangelo (εὐαγγελ*) per il raggiungimento del regno di Dio (Marco 1:15b.d) è evidentemente post−paolino (si veda Romani 1:16; Galati 1:23 ecc.). La frase
ἐν  τῷ  εὐαγγελίῳ, alquanto sorprendentemente utilizzata come un complemento indiretto (Marco 1:15), può anche essere considerata caratteristicamente paolina (si veda 2 Corinzi 10:14; Filippesi 4:3 ecc.).
La scena della chiamata Marco 1:16−20 ulteriormente illustra l'idea di Paolo di essere chiamato a predicare il vangelo tra i gentili (Galati 1:15c.16b). Il verbo chiave paolino “chiamare” (καλέω: Galati 1:15c) fu usato in Marco 1:20.

(Bartosz Adamczewski, The Gospel of Mark − A Hypertextual Commentary, pag. 43, mia libera traduzione)

 Io preferisco soprattutto la terza ipotesi, seguita in termini di probabilità dalla seconda e dalla prima. A mio parere, solo in alcuni punti di Marco (ad esempio, l'episodio dell'indemoniato di Genesaret, una chiara allegoria di Polifemo dell'Odissea, una mimesi riconosciuta pure dal prof Adamczewski) il prof MacDonald ha davvero ragione da vendere.

Questo per dire in conclusione che se la Galilea fu introdotta per esaudire il salmo e se il nome Nazaret fu introdotto per spiegare che a ricercare invano il perdono dei propri peccati presso Giovanni il Battista (e con lui, tutti i profeti della tradizione ebraica) fu qualunque potenziale ebreo davidico (il villaggio di Nazaret in Galilea essendo apposta lasciato indefinito così che tutti e nessuno, tra i galilei, potessero provenire con egual diritto ''da Nazaret'', ovvero essere potenziali discendenti di Davide e quindi aspiranti messia), allora il punto esoterico di Marco fu che quell'agognata espiazione dei peccati per il messianico Figlio dell'Uomo, vale a dire per tutto Israele, si poteva conseguire solo e soltanto su una croce romana, allegoria piuttosto ovvia del drammatico fato che subirono nella Storia reale migliaia e migliaia di ebrei nel 70 Era Comune, crocifissi in massa letteralmente ad opera dei romani di Tito, proprio di fronte a Gerusalemme, sul Golgota (la vasta area orientale della città livellata da Tito al principio dell'assedio, e perciò resa di fatto “calva” come un “cranio”), osservati da una Torre Mariamne (alias “Maria Maddalena” o “Maria Turrita”) risparmiata dalla distruzione assieme ad altre due.



Ma tornando a Porfirio, fu davvero così boccalone da credere ad un Gesù storico? Possibile che un pagano colto come Porfirio non abbia subodorato puzza di menzogna, confrontando tra loro i vangeli? Eccome che la avvertì. E fu talmente astuto da ritorcere contro i cristiani le stesse parole del Gesù dei vangeli, quando scrisse:
Presta attenzione ad un passo uguale a quello che segue: “Se avrete fede quanto un granello di senape, in verità vi dico, direte a questa montagna: 'Alzati e gettati in mare', e nulla vi sarà impossibile”. È chiaro dunque che colui che non può per comando  muovere una montagnanon merita di essere considerato come un membro della famiglia dei Fedeli. Perciò convincetevi chiaramente del vostro errore (e cioè) che non solo la rimanente parte dei Cristiani non può essere annoverata tra i Fedeli, ma non c'è nessuno tra i vescovi o tra i preti che sia degno di questo nome.
(Porfirio, Contro i Cristiani, frammento preservato in Macario, Apocritico, III, 17)
Si noti tra le rige la caustica ironia di Porfirio: se i cristiani credono alla lettera ai loro vangeli, come loro vogliono e insistono che i non−cristiani debbano credere, allora sono costretti a proclamarsi a loro volta non−cristiani, dato che nessuno di loro ha una fede così grande da letteralmente “spostare le montagne”. Ma se, d'altro canto, i cristiani interlocutori di Porfirio avessero voluto replicare che l'invito di Gesù ad avere una fede capace di “spostare le montagne” si trattava solo di una metafora per indicare qualcos'altro, allora per la stessa ragione − è la logica inferenza che si deduce necessariamente da quel frammento preservatoci − Porfirio sta di fatto implicitamente accusando i cristiani di non essere comunque in ogni caso dei veri “Fedeli” (vale a dire, dei veri iniziati alle verità esoteriche del culto) dato che non erano a conoscenza di tutte le metafore, le allegorie, i simboli, le allusioni, i messaggi esoterici veicolati nei vangeli e noti ai soli iniziati. 

Perchè, a parte il fatto che quel detto sullo spostare le montagne non lo disse affatto Gesù ma Paolo l'apostolo:
 Se avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare i monti, ma non avessi amore, non sarei nulla.
(1 Corinzi 13:2)

...chiaramente Marco lo mise in bocca al suo Gesù per rivolgersi non ai suoi idioti discepoli, ma piuttosto ai privilegiati lettori insiders:

    Il tempio fisico di Gerusalemme non era di nessun'importanza per Paolo; esso si era in un certo senso ''seccato fino alle radici'' essendo sostituito dalla ''Gerusalemme di sopra'' (Gal 4:25−26). Questa Gerusalemme di sopra era disponibile a tutti, compresi i gentili, dovunque vivevano; quindi ''la casa di preghiera per tutte le nazioni'' era metaforicamente gettata nel mare romano.
    (Mark Canonizer of Paul, pag. 91, mia libera traduzione e mia enfasi)

Il dilemma logico sollevato da Porfirio è in sintesi il seguente: prese alla lettera, le sacre scritture sono false.
E se qualcuno volesse parlare anche di quella storia, sembrerebbe veramente una sciocchezza (detta) a buon mercato, allorchè Matteo dice che due demoni (usciti) dai sepolcri andarono incontro a Cristo, ma poi per timore di Cristo entrarono nei porci e ne uccisero molti. Marco inoltre non si è nemmeno vergognato di inventare un numero smisurato di porci. Così racconta: “Egli disse: 'Esci da quest'uomo o spirito impuro; ed (egli) gli domandò: qual'è il tuo nome? E quello rispose [...], perchè (siamo) molti. [...] E lo pregò di non buttarlo fuori dal paese. Ora si trovava là un branco di porci che pascolava e i demoni lo pregarono affinchè permettesse loro di entrare nei porci; e, una volta entrati nei porci, si gettarono, (erano) circa in duemila, dal dirupo nel mare, e annegarono. I pastori invece fuggirono via. Oh favola oh sciocchezza, oh ridicolaggine veramente enorme. Una massa di circa duemila porci ha corso verso il mare e sono morti i porci tutti annegati. E non so come qualcuno, udendo che i demoni (lo) pregano di non essere mandati nell'abisso, e quindi Cristo, supplicato da loro, non li manda, ma li fa entrare nei porci, non direbbe: “oh che ignoranza! Ah che comica aberrazione, accogliere la richiesta di spiriti assassini che hanno fatto parecchio danno nel mondo e permettere loro (di fare) ciò che volevano”. Infatti i demoni volevano nella vita danzare e fare del mondo un incessante sollazzo; volevano mescolare la terra e il mare e fare di (questa) fusione uno spettacolo lugubre; volevano sconvolgere gli elementi nella confusione e distruggere tutto l'universo (mandandolo) in rovina. Non era infatti opportuno dunque gettare nell'abisso, verso cui avevano supplicato (Cristo di non andare), coloro che erano malvagiamente disposti nei confronti dell'uomo, (cioè) i principi del male, e senza farsi piegare dalla loro supplica, affidare (loro) un altro destino da compiere. Infatti se realmente ciò è vero e non si tratta di un'invenzione, come sosteniamo, l'episodio di Cristo mostra molta malizia: cacciare i demoni da un uomo, mandarli in porci privi di ragione, atterrire i porcari e farli fuggire a perdifiato in preda alla confusione e mettere in agitazione e in subbuglio la città per l'accaduto. Infatti non sarebbe stato giusto curare il male di uno solo o di due o di tre o di tredici, ma di ciascun uomo, soprattutto perchè, come da lui stesso testimoniato, era venuto al mondo per questo motivo? Per farla breve liberare una sola persona dalle catene invisibili, per trasferire segretamente le catene ad altri; alcuni opportunamente liberati dalle paure, altri incomprensibilmente incatenati alle paure; questo fatto potrebbe giustamente chiamarsi non una buona azione ma una cattiveria. Non solo, ma accettando la supplica dei nemici di abitare e danneggiare un altro paese, si comporta alla stessa maniera di un re che manda in rovina i sudditi, e che incapace di cacciare lo straniero da tutto il paese, lo manda a dimorare da una parte all'altra, liberando dal male (una parte del) paese e dando in consegna (l'altra parte) allo (stesso) male. Se allora dunque anche Cristo incapace allo stesso modo di cacciare il demone dal territorio lo fece entrare in un branco di porci, questo fatto è veramente mostruoso e capace di profanare l'orecchio, e rende (questo racconto) pieno di senso malvagio. Giustamente infatti una persona prudente, dopo aver ascoltato ciò, e dopo essersi fatto un'opinione, a subito condannato il racconto, ed è giunto ad un'adeguata opinione sul fatto dicendo: “se non libera tutto il mondo dal male, ma scaccia gli spiriti del male in diversi paesi e si preoccupa di alcuni ma non si interessa di altri, non vi è alcuna sicurezza nel rifugiarsi e nell'affidarsi a lui”. Infatti colui che è salvato addolora lo stato d'animo di chi non è salvato e chi non è salvato diventa l'accusatore di chi è salvato. Da ciò (ne consegue), come io ritengo, che il racconto di questa storia è una finzione. E se non si tratta di una finzione, ma qualche cosa di simile alla verità, allora è veramente degno di risate a crepapelle. Ebbene dunque esaminiamo qui attentamente come a quei tempi, un tale numero di porci pascolava in terra di Giudea, soprattutto perchè fin dal principio (erano considerati) animali impuri e odiati dai Giudei; e in che modo poi tutti quei porci annegarono, dal momento che vi era una palude e non un mare profondo? Lasceremo allora giudicare queste cose ai fanciulli!
(Porfirio, Contro i Cristiani, frammento preservatoci in Macario, Apocritico, III, 4)

Se n'era accorto anche Giuliano l'Apostata a proposito di tutta la Bibbia, a dire il vero:
Ora ciascuno di questi racconti, nel caso che non sia, com'è mia convinzione, un mito dal significato nascosto, è una vera offesa per la divinità. Infatti l'ignorare che colei che veniva fatta nascere come aiuto avrebbe provocato la caduta, il negare la conoscenza del bene e del male, unico fondamento, a quanto sembra della vita umana ed infine l'essere geloso che l'uomo partecipe della vita divenisse da mortale immortale, sono tutte caratteristiche di un essere estremamente invidioso e malvagio.
(Giuliano, Contra Galilaeos, frammento 1) 

Precisamente.

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